"SFUEI DAL FRIÛL LIBAR - IL GIORNALE DEL FRIULI LIBERO". INDIRIZZO INTERNET http://www.ilgiornaledelfriuli.net EDIZIONE ON LINE DELLA TESTATA ISCRITTA COME GIORNALE QUOTIDIANO ON LINE, A STAMPA, RADIOFONICO E TELEVISIVO NEL REGISTRO DEL TRIBUNALE DI UDINE IN DATA 8 APRILE 2009 AL N. 9/2009. Si pubblica dal 25 novembre 2008. Proprietario: Alberto di Caporiacco. Direttore responsabile: Alberto di Caporiacco. Sede di rappresentanza in Udine, piazza S. Giacomo 11/16, 2. piano.

SFUEI DAL FRIÛL LIBAR. ULTIMO AGGIORNAMENTO ORE 11.46 DI MERCOLEDI' 15 APRILE.

IL NOSTRO GIORNALE E' COMPLETAMENTE GRATUITO. MA CHI VUOLE PUO' SOSTENERCI CON UNA DONAZIONE

Notizie del giorno e l'archivio completo cronologico del giornale

domenica 12 aprile 2009

RASSEGNA STAMPA: MESSAGGERO VENETO, IL GAZZETTINO, IL PICCOLO

Cominciamo con la prima pagina del Messaggero Veneto

===

Ieri nuove scosse nelle aree terremotate.

Trovati altri tre cadaveri, il bilancio delle vittime sale a quota 293. Da oggi non si scava più Schifani torna in visita sul luogo del disastro e un medico gli dice: «Basta strette di mano, fate di più»

Volontari Fvg, Pasqua tra le macerie

Hanno raggiunto L’Aquila altri 250 uomini della protezione civile regionale: «Il nostro posto è qui»

Sequestri e perizie sugli edifici crollati. Il pm: arresteremo i responsabili



UDINE. Sono molti i volontari friulani che oggi passeranno la Pasqua lontano dalle proprie famiglie, tra gli sfollati in Abruzzo. «Un’altra “famiglia”, da sostenere e aiutare», assicurano quelli che da lunedì sono al lavoro perché l’Aquilano rinasca. Ieri dall’Abruzzo sono partiti circa 400 volontari della Protezione civile per ritornare in Friuli, una squadra sostituita da altri 250 volontari.




Forgaria Lucia Petri, 40 anni: una tragedia che mi insegue

Da bambina rimase sepolta per ore sotto i detriti.

Ora si è salvata per miracolo dal crollo della casa

Dal Friuli all’Aquila: «Io per due volte sfuggita al sisma»



FORGARIA. «Il terremoto mi segue. Non c’è niente da fare». Sono queste le parole piene di sconforto e fatalismo pronunciate da una donna di 40 anni che il sisma l’ha vissuto per 2 volte: la prima in Friuli, nel maggio 1976, la seconda lo scorso lunedì notte, a L’Aquila. Si chiama Lucia Petri, è friulana di nascita e abruzzese d’adozione.



Caso Eluana, scritte a Roma contro Fini



ROMA. Solidarietà unanime, da parte di tutti gli schieramenti politici e dai rappresentanti delle istituzioni del Lazio e di Roma, al presidente della Camera Gianfranco Fini e condanna, altrettanto unanime, per la scritta, a firma Militia Christi, scoperta la scorsa notte nella capitale, che recita: «Omicidio di Eluana, Fini come Pilato».
In vernice rossa e nera, la scritta lunga circa 9 metri e larga 60 centimetri, è comparsa nei pressi della tangenziale est a Roma e si riferisce alle dichiarazioni del presidente della Camera sul caso di Eluana Englaro. Segnalata da alcuni passanti alla polizia è stata subito rimossa. Ma l'attacco alla terza carica dello Stato è difficile da cancellare.Solidarietà a Fini è venuta dal ministro per l'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi secondo cui «la difesa delle idee e, in questo caso, della laicità dello Stato non può e non deve essere messa in dubbio da scritte inquietanti che vanno condannate senza se e senza ma». Il vice presidente della Camera, Maurizio Lupi ritiene che «per difendere certi valori servano il confronto e il dialogo, non gli insulti».Per il vicepresidente vicario dei deputati, Italo Bocchino «le scritte sono gravi non solo perchè coinvolgono i massimi vertici delle istituzioni, ma anche perchè manifestano un tentativo estremista di aggredire chi su temi delicati e dipendenti esclusivamente dalla coscienza del singolo esprime opinioni non condivise» mentre per il deputato Pdl Benedetto Della Vedova si tratta di «un'offensiva estremista, nel linguaggio e nei toni, contro chi ha avuto il solo “torto” nella vicenda di Eluana Englaro, di assumere una posizione moderata, liberale, europea; informata alla pietà e al dubbio piuttosto che alle certezze espresse da tanti».A reagire anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti e il Presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Se per Alemanno «ognuno deve essere libero di esprimere le proprie idee e i propri convincimenti, soprattutto una carica dello Stato, deve poter svolgere il proprio incarico senza subire per questo etichettature e insulti inaccettabili»; per Zingaretti, Fini «è colpevole solo di aver espresso le proprie idee». Per Marrazzo, la scritta è un «segno di un vuoto di pensiero riempito con il semplice cemento dell' intolleranza più bieca».



Dopo il “caso Pordenone” la polemica si estende a tutti i comuni interessati dal voto di giugno Candidature alle Europee Il Pdl potrebbe puntare su un industriale veneto

Elezioni, gelo fra Lega e Pdl

Lo strappo del Carroccio: «Siamo pronti a correre da soli»



CANDIDATURE. Per la Provincia di Pordenone si contrappongono Alessando Ciriani (ex An, incoronato dopo il via libera a Gottardo coordinatore regionale Pdl) e il leghista Enzo Bortolotti.
CASO SACILE. Il Carroccio vuole indicare il candidato sindaco del centro-destra, ma Gottardo, che nel Giardino della Serenissima è di casa, ha già scelto il fedelissimo Roberto Ceraolo.


di STEFANO POLZOT

PORDENONE. «Spetta a lorsignori interrompere il countdown, ma sappiamo che siamo ormai agli sgoccioli». La Lega Nord tira dritto e dopo aver rotto le trattative con il Pdl sulle amministrative nel pordenonese (tra Tagliamento e Livenza la Provincia e 26 Comuni) si prepara a correre da sola dappertutto, salvo che il tavolo regionale non sbrogli la matassa.
Sono acqua fresca per i vertici del Carroccio le dichiarazioni del neo-leader del Pdl regionale Isidoro Gottardo («L’alleanza non è in discussione, Berlusconi e Bossi l’hanno ribadita»). Al vertice di Arcore, durante il quale si sono spartite le Province, per ammissione dello stesso segretario friulano della Lega, Pietro Fontanini, «si sono dimenticati di Pordenone». E questo lascia margini di manovra. Ma dopo l’apertura di Fontanini su una possibile intesa al primo turno, il tavolo provinciale è andato in frantumi: troppi i pugni sul tavolo del sindaco anti-burqa, Enzo Bortolotti, che la Lega ha candidato alla Provincia, a fronte dei no del Pdl.Dissensi motivati dal fatto che il Carroccio ha alzato il tiro: se la presidenza della Provincia va al Pdl (l’uscente Alessandro Ciriani), metà degli assessori devono essere leghisti e in 13 dei 26 Comuni il candidato della coalizione deve essere leghista, a partire da Sacile, secondo comune del Friuli occidentale, e, soprattutto, “patria” di Gottardo. «E l’Udc?», ha chiesto il coordinatore provinciale del Pdl, Angioletto Tubaro. «Affari vostri», ha replicato Bortolotti, già infastidito dal metodo proposto dal Pdl: trattative distinte tra Provincia e Comuni.Ieri Bortolotti ha concluso i contatti con le segreterie locali, alle quali ha ribadito che dappertutto il partito correra da solo. Salvo che il tavolo regionale, chiesto dai bossiani, non rimedi alla situazione. Un livello fortemente voluto da Narduzzi e Bortolotti per mantenere alto il tenore della trattativa, che va allargata anche alle nomine negli enti in scadenza di spettanza della Regione. Sondaggi alla mano, i leghisti sostengono di essere il primo partito nella Destra Tagliamento «e non intendiamo svendere questo patrimonio», tuona Bortolotti. «Se dovessi scommettere – aggiunge – in questo momento punterei sulla corsa in solitario». Dal Pdl si alzano gli scudi («Non ci facciamo intimidire», ha dichiarato Tubaro, braccio destro di Gottardo), ma parallelamente si tesse la tela della mediazione. Sta di fatto che della questione Pordenone si discuterà nei prossimi giorni a Trieste, in attesa del prossimo fine settimana quando ad Azzano Decimo sono attesi, per la festa padana, i ministri Roberto Maroni e Roberto Calderoli e, forse, il leader Umberto Bossi. Dal Palaverde potrebbe giungere la parola definitiva.



Snaidero, altro ko Speranze ridotte al lumicino



di VALERIO MORELLI


SNAIDERO-AIR AVELLINO 66-79

SNAIDERO UDINE Anderson 6, Musso, D’Ercole 6, Ortner 12, Antonutti 10, Di Giuliomaria 5, Forte 5, Romero 18, Allen 4. Coach Blasone.

AIR AVELLINO Warren 10, Radulovic 8, Porta 5, Best 8, Cinciarini 14, Crosariol 8, Williams 9, Diener 17. Coach Markovski.

ARBITRI Facchini, Tullio e Crescenti.

NOTE Quarti: 21-20, 46-35, 51-62. Tiri liberi: Snaidero 6/11, Air 8/11. Tiri da tre: Snaidero 6/24, Air 13/29. Rimbalzi: Snaidero 34, Air 39. 5 falli: Radulovic. Spettatori: 2.400 per 21 mila euro d’incasso.


UDINE. Falsa partenza della prima Snaidero alla Blasone - Allen che, nell’11ª di ritorno di A al Carnera, dà via libera per 66-79 all’Air Avellino che rivince fuori dopo 5 gare. O, meglio, capitan Di Giuliomaria e compagni partono bene abusando di un’Air svogliata: al riposo sono a +11, ma al 30’ a -11 devastati da un 5-27 in 10 minuti, frutto di più difesa irpina. L’attacco alla zona, finalizzato da Diener, poi fa il resto. Nonostante gli stop di Rieti e Gmac, la salvezza è un miraggio.
La Snaidero, senza Buskevics ko all’ultima ora, parte con Allen, Anderson, Antonutti, Romero e capitan Di Giuliomaria. L’Air, con Tusek infortunato, risponde con Best, Cinciarini, Warren, Crosariol e Williams. Un 8-0 firmato da Antonutti e Di Giuliomaria (5) ribalta il 2-4 irpino al 2’. L’Air pareggia in un amen sul 10-10 e Cinciarini, con 3 triple e 2 liberi (11 punti), firma il 16-20 al 9’. Con Forte riproposto play per Allen, il finale di quarto è tutto di Antonutti (5) che segna da sotto, Romero che stoppa Warren e D’Ercole che sulla sirena mette la tripla dalla sua metà campo: 21-20 al 10’.Il secondo periodo si apre con un 6-2 di Ortner (4) e Forte, adesso guardia con D’Ercole play. Cinciarini (14) è contrato da Antonutti da tre per il 30-25 al 14’. Dentro Anderson, Forte di nuovo play, Romero dalla lunetta fissa il massimo vantaggio sul +7 (32-25) al 15’, ma Diener dall’arco e Best in contropiede dicono subito -2. Dopo un time out arancione, Ortner (6) e Romero rilanciano a +7. Radulivoc restituisce subito a Forte la tripla del +10 (40-30) al 18’. Romero (13) corregge a canestro un errore di Allen e al riposo fissa il 46-35.Nella ripresa, due triple di Warren e Diener riaprono subito la partita. Dopo un altro time out arancione al 24’ Anderson fa 2+0 sul terzo fallo di Cinciarini, ma Rashad ne commette pure tre e Radulovic fa 2+1: 48-44. Udine, in rottura prolungata, va sotto fino sul 50-59 al 29’ per il 51-62 al 30’: da +11 a -11 in un quarto solo con un imbarazzante parziale negativo di 5-27, frutto di un’Air più arcigna in difesa.La malaparata arancione prosegue sino al 55-73 al 35’, quando diventa immarcabile Diener: 17 punti, 8 nell’ultimo quarto con un semplice movimento di pendolo contro la zona, punita due volte da tre. Sul 57-75 un 8-0 udinese è firmato da Ortner, D’Ercole da tre e Romero (1/2 ai liberi) nonostante il rientro di Best per gestire: Travis esordisce con un fallo su Hector, unico extracominutario arancione rimasto sul parquet. Crosariol, rientrato per Williams infortunatosi, interrompe il break e al 40’ è 66-79 con la ripresa finita 20-44 per l’Air.In una serata ravvivata solo dai clown voolontari che il 19 aprile andranno in piazza a Udine per la 5ª Giornata del naso rosso, da segnalare lo striscione che ha accomunato le due tifoserie: Friuli 1976, Irpinia 1980, Abruzzo 2009, uniti al vostro dolore.




Svolta Trudi, non più solo peluche

Anche giochi e accessori nel futuro dell’azienda friulana

Tarcento Leader mondiale, compie 55 anni e amplia la produzione



LA NOVITÀ

Scommettiamo sui negozi in franchising
di RENATO D’ARGENIO

TARCENTO. Una macchina da cucire, un fresa e un pennello. Poi tanta abilità manuale e passione: ecco fatto il giocattolo che incanta bambini e adulti. Il peluche della Trudi compie 55 anni, anche se non li dimostra. L’azienda è “cresciuta”, è cambiata la gestione, ma lo spirito di Gertrude (“Trudi”) Müller Patriarca è lo stesso. Oggi le redini le ha in mano Paolo Nino, 36 anni e Ad del gruppo Trudi, Sevi e Olli Olbot. Sì perchè a Tarcento, da un po’ di anni, non si fanno più soltanto peluche e si pensa in grande. Abbiamo incontrato Nino in azienda.Ci racconti come la Trudi è passata da gestione familiare a manageriale.«La Trudi nasce nel 1954, grazie alla passione della signora Gertrude. La piccola azienda a gestione familiare cresce bene. Alla fine degli anni Novanta comincia il passaggio generazionale: il figlio Giuseppe prende il controllo, esercitandolo fino al 2005, quando comincia una fase intermedia in cui l’azienda è gestita dalla proprietà e dal fondo Bain. Verso la fine di quell’anno rileviamo il 100% della società».Cos’ha comportato a livello pratico e organizzativo? Cos’è cambiato rispetto a prima?«Diciamo prima cosa non è cambiato. I valori sono rimasti gli stessi di 55 anni fa. Qualità, innovazione, passione e sicurezza sono rimasti al centro della mission. Possiamo dire che il dna della Trudi sarà sempre tramandato. Sono cambiati gli obiettivi di crescita: oggi sono particolarmente ambiziosi».Parliamone«Prima di tutto ci siamo trasformati da azienda monomarca in multimarchio con l’acquisizione dei marchi Sevi e Olli Olbot. In azienda di multiprodotti. La Sevi 1831 fa tendenzialmente prodotti in legno o decorazioni per la camerette; Olli Olbot prodotti vicini al mondo del peluche. Non solo: anche all’interno del marchio Trudi si è passati dal peluche classico a nuove linee di prodotto che sposino la filosofia del marchio».Si riferisce ai prodotti per la scuola?«Si, ma non solo. E’ stata creata una linea Trudi indirizzata al mondo baby (0-12 mesi); oggetti con caratteristiche diverse da quelli classici, anche a livello di sicurezza. Poi ci sono sono le collezioni per la scuola, quelle per il viaggio e il tempo libero. Borse e accessori. Ma non finisce qui. Rendendoci conto della forza dei nostri marchi abbiamo dato il via a un progetto ambizioso di “affido delle licenze”. Abbiamo scelto una serie di partner primari, che sposano i valori della nostra azienda, per realizzare prodotti marchiati Trudi. Per esempio la Gabel cura la parte del tessile per la casa, ma ci sono anche l’abbigliamento, gli orologi o le camerette da letto per i bambini. Abbiamo unito la nostra forza con quella delle aziende che, come noi, entrano nel mondo del bambino... anche se il peluche è un prodotto trasversale; un prodotto che piace anche ai più grandi e per questo stiamo pensando noi sviluppano collezioni con ambiti diversi: andiamo nello stesso mondo e cioè nel mondo del bambino, anche se il peluche è un prodotto molto trasversale. Per questo stiamo sviluppando prodotti per eventi come San Valentino».E’ cambiata anche la politica di promozione all’estero?«E’ stata intensificata. Essendo già leader in Italia con una quota superiore al 30%, stiamo cercando di portare i nostri prodotti e la nostra filosofia sui mercati dell’Ue, di Stati Uniti, Russia e Giappone. Naturalmente ci vogliamo posizionare su prodotti di alta fascia e qualità».Trudi, Olli e Sevi: si realizza tutto a Tarcento?«I prodotti nascondo tutti a Tarcento. Qui nascono le idee, si sviluppano, si pensa al marketing si realizza il prodotto. Abbiamo un team di 15 creativi che a partire da un foglio bianco danno vita ai prodotti. Poi la carta si trasforma in prototipo. Quindi nasce il peluche o il pezzo di legno. I metodi di lavoro non sono cambiati, ma è aumentato il numero degli impiegati. Soltanto la Sevi ha comportato un incremento dei creativi e la creazione di un laboratorio del legno».Quanto pesa la crisi sul gruppo?«I cali di vendita riguardano tutti compreso il mondo dei giochi. Noi abbiamo avuto un leggero incremento degli insoluti a fine anno. La Trudi va bene: continuiamo ad aumentare le quote di mercato. Quest’anno contiamo di chiudere con un fatturato di 40 milioni. Inevitabilmente, il calo dei consumi si sente, ma non ha inciso sulla forza lavoro».Un’altra novità riguarda i negozi franchising. Perchè questa scelta.«Anche questo è un progetto ambizioso legato alla trasformazione dell’azienda: la vendita dei nostri prodotti in negozi diretti. Dopo aver attestato il “format” – come richiede la legge – abbiamo deciso di passare in franchising. I punti di forza di questo progetto sono diversi. Innazitutto abbiamo alcuni prodotti che garantiscono margini molto elevati al negoziante. Secondo: abbiamo un prodotto che non invecchia. Uno dei problemi principali dei negozianti è appunto quello di dover vendere più di metà merce con i saldi per rinnovare il magazzino. Il nostro è un prodotto continuativo. Non è legato alle stagioni. E’ sempre attuale anche se tutti gli anni rinnoviamo i soggetti. Infine, oggi possiamo contare su un’ampia gamma di prodotti».Perchè un bradipo (l’ultimo nato, foto in alto) piuttosto che un maialino? Cosa determina la scelta?«Premesso che abbiamo uno storico di 55 anni e che tendenzialmente li facciamo tutti, molti sono scelti dai nostri clienti. Ci scrivono (ora su internet; c’è una community) chiedendoci o suggerendoci iniziative. E’ chiaro che gli orsi sono i best-seller, così come i cani e i gatti».Soffrite la concorrenza all’estero o un problema di copie?«Copiare i nostri prodotti è molto difficile. Non abbiamo grandi problemi di copie. E’ chiaro che la maggior parte dei nostri concorrenti aspettano le nostre novità per fare qualcosa di simile: siamo nel mirino perchè ispiratori di idee e per certi versi è anche un onore. Vale per Trudi come per Sevi. Noi abbiamo creato le lettere in legno realizzate e pitturate a mano. In Europa si trovano moltissime copie».Obbligatorio, visti i vostri “clienti”, uno sguardo al problema della sicurezza.«Abbiamo un professionista dedicato solo al problema sicurezza e non a caso in 55 anni non abbiamo avuto un ritiro. Applichiamo gli standard americani, quando molte aziende europee rinunciano e non tanto per il costo del test ma semplicemente perchè non lo passano».Come e dove acquistate le materie prime?«Alcune in Italia altre all’estero. I peli sono sviluppati da noi; quasi tutti in Corea: è il mercato, assieme al Giappone, dove si realizzano i migliori peli. I nostri hanno il nostro marchio e sono richiesti da aziende del lusso. Non mi chieda quali: non glielo posso dire».



Il vescovo alla Safilo: non perdete la speranza

Monsignor Brollo agli operai: è brutto quando a comandare sono soltanto i soldi

Martignacco Gesto di solidarietà del presule: la crisi sta mostrando il suo volto più terribile



UDINE. Li ha guardati in faccia, ha stretto mani e ascoltato le testimonianze più forti. Ha sorriso ai bambini, che gli hanno regalato un bellissimo mazzo di fiori. E poi ha fatto parlare il cuore e le emozioni. Alla vigilia della Pasqua, anche l’arcivescovo di Udine, monsignor Pietro Brollo, ha voluto ribadire la propria solidarietà ai lavoratori che a causa della crisi economica globale rischiano di perdere il posto di lavoro. Per questo motivo, ieri, il presule ha incontrato i dipendenti Safilo.



TANTO NESSUNO CONTROLLA

CEMENTO E SABBIA di FERDINANDO CAMON


Terremoto, è il momento delle accuse e delle polemiche. Si discute in particolare sulla qualità dei materiali usati nelle costruzioni. Ma si vede già come va a finire, nascono continue contestazioni fra gli esperti, a chi osserva che il rapporto sabbia-cemento è nei limiti della norma c’è chi obietta che però la sabbia non è sabbia di cava, ma di mare.La sabbia di mare contiene salnitro, il salnitro mangia il ferro, il cemento senza ferro non è più cemento armato. Non sarà facile arrivare a una conclusione univoca. E purtroppo ormai i morti sono morti. I controlli, come li intende la legge, sono a posteriori, sull’opera eseguita. Per servire a qualcosa, dovrebbero essere eseguiti in contemporanea, quando le opere partono e procedono e sono in corso. Non controlli dunque, ma sorveglianza. È questa che manca in Italia. C’è perfino un ingegnere che preme il pollice sul cemento di un lastrone, e sentenzia: «Il pollice entra, questo non è cemento, è pasta». Ma non si poteva vedere che era pasta quando la impastavano le betoniere?Sulla costruzione dell’ospedale (che doveva restare intatto e invece ha seppellito 4 dei suoi piccoli ricoverati), si può fare un ragionamento che spiega perché abbiamo con una certa frequenza catastrofi come questa, perché si afferma sempre che dei responsabili ci sono, ma non si trovano mai. La costruzione è durata trent’anni, in trent’anni l’assegnatario della commessa è cambiato più volte, gli stanziamenti sono stati erogati ripetutamente, e alla fine l’opera è costata quel che doveva costare all’inizio moltiplicato per nove. Qui non c’è un problema di controllo o certificazione mancanti a lavoro finito, c’è un problema di controllo mancato per trent’anni. E non sono due cose diverse, sono la stessa cosa. Se lo Stato non riesce a supervisionare l’erogazione dei fondi, a scaglionarli lungo il corso dei lavori, perde il controllo di tutta l’opera dalla fase della commessa all’esecuzione al risultato finale. Le tre centinaia di morti che questo terremoto costa all’Italia non sono il risultato di un atto finale, un errato o infedele o mancato controllo conclusivo, ma di decenni di mancati controlli. In questi decenni si sono ruotati in Italia governi di tutti i colori politici. Prima la Democrazia cristiana, poi il centro-destra e il centro-sinistra alternati. Qui non è questione di destra o di sinistra. È questione di come si fanno i lavori pubblici in Italia. Lo Stato dovrebbe avere imparato a sue spese che i lavori pubblici hanno bisogno di un controllo costante in ogni fase.Anzi, non solo non va bene che il controllo avvenga a lavoro finito, ma non basta nemmeno che avvenga a lavoro in corso: ci dovrebb’essere anche una prevenzione di queste catastrofi, che cerchi di evitarle prima ancora che s’intravedano. Se tra le imprese che hanno costruito i palazzi pubblici crollati a L’Aquila ce ne fossero alcune che si sono candidate per la costruzione di altre opere (per esempio, il Ponte sullo Stretto), non sarebbe opportuno sospenderle dalla lista, in attesa di verifiche finali? Questa sarebbe la prevenzione. Le gravi malattie si combattono meglio con la prevenzione che con la terapia. Meglio non ammalarsi che ammalarsi e curarsi.Ieri sul fronte degli sciacalli han fatto la loro comparsa gli stranieri. Una badante romena e quattro suoi connazionali sono entrati nella casa di un anziano, che era scappato, e han rubato oro e banconote. Va bene, questi son gli sciacalli classici, ladri che rubano nei terremoti, nei bombardamenti, nelle inondazioni. Somigliano a quelli che rubano negli armadietti dei ricoverati in ospedale. Ma c’è un’altra forma di sciacalli, paralegale. Sono i mercanti che nei luoghi del disastro alzano i prezzi. Loro applicano la legge del mercato: se un prodotto scarseggia, se l’acquirente ne ha proprio bisogno, il prezzo sale. E così la benzina intorno a L’Aquila veniva venduta a 5 euro il litro. Fermare questi sciacalli legali è più difficile: sono figli della borghesia, l’affare vien prima dell’amicizia, nella borghesia imperante si mimetizzano. Ma sono sciacalli.Infine, l’esodo, andare via, rifarsi la casa da un’altra parte. Ha un senso. Ma l’altra parte non può essere nelle vicinanze, l’idea di fare L’Aquila 2, che starebbe a L’Aquila come Milano 2 sta a Milano, è un compromesso, non una salvezza. Nelle vicinanze il rischio di un altro terremoto resta uguale. Meglio un trasferimento lontano, un’emigrazione. Non è facile restare in un’area di terremoti, dove sai che ogni generazione pagherà un tributo di vittime: tu avrai qualche morto nella tua famiglia, i tuoi figli nella loro, e i tuoi nipoti nella loro. Non è facile restare. Eppure la gente vuole restare. Come mai? Per capirlo, dobbiamo ricordarci le immagini dei serbi in fuga dalla Bosnia e dal Kosovo durante la guerra civile: scappavano portando sul carretto tutti i beni che non volevano perdere, e tra questi c’eran le bare dei loro morti: le avevano dissotterrate dai cimiteri. L’esodo non è una rottura con una terra o un ambiente. È una rottura con la propria famiglia, con la propria storia. Un tradimento.(fercamon@alice.it)



Sicurezza delle scuole pool di esperti udinesi



UDINE. L’agibilità delle scuole abruzzesi lesionate dal sisma sarà certificata dagli ingegneri dell’università di Udine. Martedì dal polo scientifico dei Rizzi partirà il primo gruppo di esperti coordinati dal professor Gaetano Russo che, come richiesto dal premier Berlusconi, verificherà la stabilità degli edifici scolastici.




L’idea: celebrare Tina Modotti con Madonna come sponsor



UDINE. Una grande progetto per rendere omaggio a Tina Modotti, fotografa udinese e artista di fama mondiale dello scorso secolo, grazie all’intervento diretto di uno sponsor d’eccezione come la popstar Madonna. A questo sta lavorando l’assessorato comunale alla cultura di Udine assieme al Comitato Tina Modotti. La città di Udine potrebbe così celebrare una delle sue “figlie” più celebri, approfittando anche della tappa friulana a luglio, con la sua tournée, della regina mondiale del pop, da sempre grandissima estimatrice della fotografa friulana. L’assessore alla cultura Luigi Reitani ieri ha confermato che il Comune sta cercando di realizzare questo importante progetto, attraverso anche un contatto diretto con la star americana che a luglio sarà a Udine.


TORVISCOSA

La Via Crucis si ferma davanti alla Caffaro



HINTERLAND

«Tangenziale per evitare la strada-killer»


LIGNANO

La stagione parte alla grande: già 30 mila turisti


UDINE

Auto in via Buttrio troppo veloci Scatta la protesta


CALCIO Negli stadi lutto e solidarietà all’Abruzzo

La serie A non si ferma, oggi tocca all’Udinese


Assalto pirata a nave italiana: 10 sequestrati

YEMEN

===

Proseguiamo con la prima pagina de Il Gazzettino, edizione Friuli

===

Dati del primo trimestre
Sedia, i numeri della crisi
"Cassa" per altre 50 aziende
Il caso di un ex operaio che ha tentato invano di avviare una propria attività

Manzano «Va sempre peggio». Stefano De Zotti sindacalista della Fillea-Cgil, dati alla mano, parla di una situazione «sempre più difficile» per il distretto industriale della sedia. Oltre 3500 dipendenti hanno perso il posto di lavoro dal 2000 a oggi; le imprese artigiane sono in calo (-2,37%) e nel periodo gennaio-febbraio 2009 hanno fatto ricorso all'Ebiart (Ente bilaterale artigianato) per un totale di oltre 500 addetti sospesi dal lavoro. Non va meglio alle piccole-medie imprese che negli ultimi sei mesi hanno fatto richiesta di cassa integrazione per un totale di mille dipendenti. «Il 90% delle pmi e delle imprese artigiane ricorre alla cassa integrazione, alcune imprese la chiedono per un certo periodo di tempo, altre solamente per alcuni lavoratori», spiega De Zotti. Tra gennaio e marzo 2009 tra richieste nuove e rinnovate ben 50 aziende stanno facendo ricorso alla Cigo e 15 aziende artigiane hanno chiuso i battenti, sommandosi alle 50 del 2008. «Se entro settembre non si sblocca la situazione – precisa De Zotti – altre aziende sono destinate a scomparire e per quelle che riusciranno sopravvivere si passerà dalla cassa integrazione ordinaria a quella straordinaria e alla mobilità». Inoltre le aziende che rinnovano la richiesta della Cigo sono obbligate a fare tre settimane di ripresa tra una cassa integrazione e l’altra, ma non tutte ce la fanno: in questi casi scattano i licenziamenti. La crisi della sedia si traduce anche in disagio sociale: chi rimane senza lavoro non riesce a trovare un altro impiego all’interno del comparto. Un caso emblematico fra tanti è quello di A.S., 53 anni, di Pavia di Udine, dipendente della segheria Garzitto, che sta passando dalla cassa integrazione alla mobilità e ha tentato di trovare un’altra collocazione; l’idea era di aprire un locale di pizza al taglio a Udine, ma le banche gli hanno negato il finanziamento nonostante l’Inps conceda l’erogazione della mobilità in un’unica soluzione ai dipendenti che cerchino di avviare un’attività in proprio. L’uomo, con tre figli a carico e una moglie malata, è in odore di sfratto dall’alloggio Ater in cui vive. «È un uomo senza prospettive che si troverà in mezzo alla strada - commenta De Zotti – e tanti altri come lui. Diversi lavoratori del distretto sono andati a cercare lavoro a Lignano come lavapiatti, ma la risposta è sempre la stessa: si assumono solo persone giovani. Il problema sociale della crisi è grave, non c’è più tempo per le chiacchiere, servono risposte immediate e tangibili». Lisa Zancaner


Nuova batosta contro l’Air Avellino
Snaidero sconfitta e rassegnata

Udine Ci hanno provato anche i clown dell’Onlus "Friulclaun" con il loro motto "viviamo positivo" a riportare il sorriso alla Snaidero. In verità un sorriso questi volontari della gioia l’hanno provocato, al "Carnera", ma prima della partita, con la loro iniziativa promozionale. Poi, quando in campo sono entrati i giocatori per la palla a due, il tifoso della Snaidero ha tolto il naso rosso del buonumore e ha bevuto il calice amaro della sua squadra che lentamente, minuto dopo minuto, scivolava nella sua pochezza. All’inizio è il cuore italiano della Snaidero, Antonutti e Di Giuliomaria a far capire ad Avellino che gli arancione non sono vittime sacrificali, anche se stanno salutando la serie A partita dopo partita. Allen fa la doppia regia: dal campo e pensando alla panchina, ma gli irpini hanno come emblema il lupo e azzannano con semplicità e pazienza.


NOI E L’ABRUZZO
Il Friuli ha dimenticato la "lezione"del terremoto
di Francesca Gregoricchio

Un altro terremoto e tutto ritorna alla mente ed al cuore. Il tepore di quella sera di maggio 1976 con la luna immensa che rischiarava il cielo come a giorno. Il boato, il mondo che si squassa, la realtà che si deforma e gli attimi di innaturale, assoluto silenzio dopo la follia di quegli interminabili secondi. Poi le urla, i richiami e le corse verso casa, la famiglia, riunirsi, contarsi, aiutarsi. Frettolosi accampamenti nei giardini, nei parchi, nelle piazze, nelle aiuole spartitraffico. Le prime notizie: Gemona, Venzone, Artegna, Osoppo, Tarcento, Cividale, il Canal del Ferro... Morti, tanti morti. Niente sarà più come prima. Si va, solo con le mani ed i fazzoletti. Gli occhi sgomenti con le ciglia appesantite dalla polvere che si impasta con le lacrime. I corpi avvolti nelle coperte militari della caserma di Venzone, adagiati accanto ai ruderi delle case. Scavare e scavare nel silenzio spettrale e teso, cercando segni di vita. Il caldo soffocante impregnato degli odori della morte e della distruzione. Resti di uomini e donne, raccolti in un grande lenzuolo. Un ragazzo squassato dal pianto, il corpo di un neonato fra le braccia. Il pavimento della palestra della scuola di Maiano coperto di corpi ed ancora corpi, avvolti nelle lenzuola bianche, l’odore della morte e della paura di trovare fra questi un parente, un amico dispersi. Difficile dimenticare. Niente è stato più come prima. Oggi pochi ne parlano ancora di quelle prime ore, di quei primi giorni, quasi che gli avvenimenti successivi, la volontà di non abbandonare i propri territori, la tenacia nel cominciare a ricostruire subito non solo le case ma soprattutto l’organizzazione sociale, vanificati dal forzato esodo dopo le scosse di settembre, abbiano steso un pietoso velo sull’orrore iniziale. (continua a pagina II)


Il presule ha paragonato la crisi attuale al sisma e ha lanciato un appello alle istituzioni
Brollo agli operai: sono con voi
L’arcivescovo ha passato la vigilia di Pasqua nei presìdi dei dipendenti Safilo

Udine «I soldi sono soldi ed è brutto quando comandano perché non guardano in faccia nessuno. Non ho soluzioni, purtroppo, per risolvere il vostro grave problema, ma vi porto la mia solidarietà, dal profondo del cuore». Così l’arcivescovo di Udine, monsignor Pietro Brollo, si è rivolto ieri agli operai e alle operaie Safilo. Nella vigilia di Pasqua, il prelato ha raggiunto dapprima il presidio di Martignacco, alle 9.30 (dove si è trattenuto fino alle 10 parlando con le maestranze), e quindi il sit-in di Precenicco, a metà pomeriggio. Brollo ha ricordato gli anni in cui il settore dell’occhialeria era florido, nel Cadore. «Erano momenti in cui era questo settore produttivo era molto forte tanto è vero che si è espanso parecchio. Quando è cominciata la crisi stavo trascorrendo gli ultimi anni da vescovo a Belluno e molte piccole aziende furono costrette a chiudere. Safilo, tuttavia, teneva bene e dava speranza a molti lavoratori dipendenti. Sentivo da vicino la situazione delle maestranze. Adesso, a Udine, la brutta notizia della possibilità che centinaia di operai perdano il loro posto». Per l’arcivescovo, quella che si sconta ora è una situazione di difficoltà che deriva da uno squilibrio mondiale «per cui non ci siamo mai impegnati abbastanza a cercare una soluzione». «Ciò che mi fa più soffrire, il problema vero, è quello della disoccupazione: ci sono tante persone che anche nella Chiesa locale vengono a cercare aiuto, un consiglio: sono senza lavoro e chiedono e c’è possibilità di occupazione da qualche parte. Tanti di loro sono genitori. Sono condizioni veramente tremende».


TERREMOTO
Tremila in piazza per lo spettacolo solidale

Tremila in piazza San Giacomo ieri pomeriggio per assistere allo spettacolo organizzato dal Rotaract, in aiuto dell’Abruzzo. Nelle quattro ore di show (nella foto sopra un momento dello spettacolo) sono stati raccolti oltre cinquemila euro, ma le sottoscrizioni potranno continuare sul conto corrente. Intanto, a Palmanova ieri pomeriggio sono rientrati dall’Abruzzo i primi volontari della Protezione civile regionale inviati in soccorso alle popolazioni terremotate.


Prezzi ribassati anche nei negozi Tiepolo in mostra hotel con lo sconto

Udine Hotel scontati per i turisti che verranno a Udine in occasione delle Giornate del Tiepolo. Se i negozianti offriranno una settimana di shopping a prezzo ribassato, gli albergatori promuoveranno dei "pacchetti" con sconti consistenti, fino al 40%. A dirlo è il presidente del consorzio Friulaberghi, Ennio Silvano Favetta (che è anche vicepresidente udinese di Confcommercio per il settore turismo). «Visto che il Comune ci ha dato l’opportunità di collaborare per la realizzazione di questo evento, ci siamo impegnati al massimo. Hanno accettato praticamente tutti gli alberghi: nel periodo dal 29 maggio al 6 giugno, in coincidenza con le Giornate del Tiepolo, proporremo dei pacchetti turistici con sconti fino al 30-40%, anche se c’è la Pentecoste di mezzo. Perché dobbiamo aprire le porte della città ai nostri "cugini" austriaci. Chissà che non sia la volta buona per recuperare questi visitatori che negli ultimi anni si sono visti un po’ meno».


LA CJACARADE
Tende dell’Aquila e cancelli della Safilo la Pasqua 2009 ha più che mai bisogno di speranza

di Andrea Valcic Era Pasqua anche quella domenica del 1998, all’ora di pranzo quando i pochi rimasti a Udine tornarono a provare quel sottile senso di paura per una scossa di terremoto. Poi, certo, in alcune zone qualche allarme c’è stato ancora, ma avvertito in maniera quasi distratta, a conferma di quanto venne scritto dopo il ’76: il Friuli deve imparare a convivere con il terremoto. La tragedia dell’Abruzzo ci ha catapultato con inaspettata forza indietro nel tempo. Le immagini della televisione ci hanno restituito le emozioni provate allora: l’angoscia dello scavare tra le macerie, i funerali collettivi, l’interrogativo: Cosa sarà di noi adesso? Non credo si possa essere accusati di egoismo, di mancanza di sensibilità nel riconoscere che almeno per un attimo, ognuno di noi ha scordato l’Abruzzo e ha pensato che tutto potrebbe accadere di nuovo anche qui. Credo che questo pensiero abbia sfiorato soprattutto gli udinesi, gli abitanti della città che pur avendo vissuto la paura delle scosse, i disagi delle prime notti passate in auto, in roulotte o a casa di parenti fuori regione, hanno potuto riprendere presto una vita normale, le loro attività in un complesso urbano solo sfiorato dalla distruzione. Ho immaginato insomma cosa sarebbe questa Pasqua se invece dell’Aquila fosse toccato a Udine. Una pura speculazione di fantasia, ma che non vuole andarsene, quasi un monito sulle certezze della vita. Le stesse che invece sono necessarie sui criteri antisimici delle costruzioni nelle zone a rischio tellurico. Su questo rispetto delle regole si gioca anche il futuro dell’Abruzzo. Oltre alle sottoscrizioni, alla professionalità e bravura ancora una volta dimostrata dai volontari della nostra Protezione Civile, va evidenziata una notizia che non ha ricevuto adeguata sottolineatura. Riguarda la disponibilità degli ex sindaci friulani del terremoto a mettere la loro esperienza nella ricostruzione al servizio dei colleghi abruzzesi. Non un atto di sfiducia o superiorità, ma una dimostrazione di serietà e senso civico. Più che mai dunque quella di oggi vuol essere una Pasqua di Resurrezione non solo per i credenti, ma per tutte quelle situazioni, quelle famiglie che si trovano a dover affrontare un momento duro, difficile della loro esistenza. Nelle tende d’Abruzzo o davanti ai cancelli della Safilo sia un giorno di speranza, nella convinzione che questa si avvera con l’impegno di tutti.

LIGNANO SABBIADORO
Critiche per i costi della pulizia dell’arenile

TREPPO GRANDE
Emigrata in Argentina benefattrice dopo la morte

FIUMICELLO
Dean rompe con il Pd e si ricandida da solo

===

Infine la prima pagina de Il Piccolo

===

I LUOGHI SIMBOLO DI TRIESTE
Il mito asburgico resiste nella stazione di Montebello
Nessuno ha tolto le tabelle in tedesco Presto la struttura diventerà un hotel


ANCORA SCOSSE E TERRORE ALL’AQUILA E DINTORNI
Il pm: «Arresteremo i responsabili dei crolli»
Sono 293 i morti, stop alle ricerche. Il governo: il 5 per mille alle popolazioni colpite

L’AQUILA La terra non smette di tremare in Abruzzo. Nuove scosse e ancora tanta paura tra le popolazioni colpite. Intanto la procura indaga sui crolli e annuncia: «Siamo pronti a mettere sotto sequestro le macerie e ad arrestare i colpevoli». I morti sono 293 e si è esaurita la lista dei dispersi: non si scava più per cercare cadaveri. Il governo si muove e il ministro Tremonti annuncia: «Nelle prossime dichiarazioni dei redditi si potrà destinare il 5 per mille ai terremotati».


IL PAESE DELLE POLEMICHE
DAL TERREMOTO SI PUÒ IMPARARE di FERDINANDO CAMON

Terremoto, è il momento delle accuse e delle polemiche. Si discute in particolare sulla qualità dei materiali usati nelle costruzioni. Ma si vede già come va a finire, nascono continue contestazioni fra gli esperti, a chi osserva che il rapporto sabbia-cemento è nei limiti della norma c'è chi obietta che però la sabbia non è sabbia di cava ma di mare, la sabbia di mare contiene salnitro, il salnitro mangia il ferro, il cemento senza ferro non è più cemento armato. Non sarà facile arrivare ad una conclusione univoca. E purtroppo ormai i morti sono morti. I controlli, come li intende la legge, sono a posteriori, sull'opera eseguita. Per servire a qualcosa dovrebbero essere eseguiti in contemporanea, quando le opere partono e procedono e sono in corso. Non controlli dunque, ma sorveglianza. E' questa che manca in Italia.C'è perfino un ingegnere che preme il pollice sul cemento di un lastrone, e sentenzia: «Il pollice entra, questo non è cemento, è pasta». Ma non si poteva vedere che era pasta quando la impastavano le betoniere?Sulla costruzione dell'ospedale (che doveva restare intatto e invece ha seppellito 4 dei suoi piccoli ricoverati), si può fare un ragionamento che spiega perché abbiamo con una certa frequenza catastrofi come questa, perché si afferma sempre che dei responsabili ci sono ma non si trovano mai. La costruzione è durata trent'anni, in trent'anni l'assegnatario della commessa è cambiato più volte, gli stanziamenti sono stati erogati ripetutamente e alla fine l'opera è costata quel che doveva costare all'inizio moltiplicato per nove. Qui non c'è un problema di controllo o certificazione mancanti a lavoro finito, c'è un problema di controllo mancato per trent'anni. E non sono due cose diverse, sono la stessa cosa. Se lo Stato non riesce a supervisionare l'erogazione dei fondi, a scaglionarli lungo il corso dei lavori, perde il controllo di tutta l'opera dalla fase della commessa all'esecuzione al risultato finale.Le tre centinaia di morti che questo terremoto costa all'Italia non sono il risultato di un atto finale, un errato o infedele o mancato controllo conclusivo, ma di decenni di mancati controlli. In questi decenni si sono ruotati in Italia governi di tutti i colori politici. Prima la Democrazia cristiana, poi il centrodestra e il centrosinistra alternati. Qui non è questione di destra o di sinistra. E' questione di come si fanno i lavori pubblici in Italia.
Lo Stato dovrebbe avere imparato a sue spese che i lavori pubblici hanno bisogno di un controllo costante in ogni fase. Anzi, non solo non va bene che il controllo avvenga a lavoro finito, ma non basta nemmeno che avvenga a lavoro in corso: ci dovrebb'essere anche una prevenzione di queste catastrofi, che cerchi di evitarle prima ancora che s'intravedano. Se tra le imprese che hanno costruito i palazzi pubblici crollati a L'Aquila, ce ne fossero alcune che si sono candidate per la costruzione di altre opere (per esempio, il Ponte sullo Stretto), non sarebbe opportuno sospenderle dalla lista, in attesa di verifiche finali? Questa sarebbe la prevenzione. Le gravi malattie si combattono meglio con la prevenzione che con la terapia. Meglio non ammalarsi che ammalarsi e curarsi. Intanto sul fronte degli sciacalli hanno fatto la loro comparsa gli stranieri. Una badante romena e quattro suoi connazionali sono entrati nella casa di un anziano, che era scappato, e han rubato oro e banconote. Poi sono stati processati per direttissima senza che sia stato possibile dimostrare la loro colpevolezza. Ma l’esempio regge lo stesso: va bene, questi sono gli sciacalli classici, ladri che rubano nei terremoti, nei bombardamenti, nelle inondazioni. Somigliano a quelli che rubano negli armadietti dei ricoverati in ospedale. Ma c'è un'altra forma di sciacalli, paralegale. Sono i mercanti che nei luoghi del disastro alzano i prezzi. Loro applicano la legge del mercato: se un prodotto scarseggia, se l'acquirente ne ha proprio bisogno, il prezzo sale. E così la benzina intorno a L'Aquila veniva venduta a 5 euro al litro. Fermare questi sciacalli-legali è più difficile: sono figli della borghesia, l'affare vien prima dell'amicizia, nella borghesia imperante si mimetizzano. Ma sono sciacalli.Infine, l'esodo, andare via, rifarsi la casa da un'altra parte. Ha un senso. Ma l'altra parte non può essere nelle vicinanze, l'idea di fare L'Aquila 2, che starebbe a L'Aquila come Milano 2 sta a Milano, è un compromesso, non una salvezza. Nelle vicinanze il rischio di un altro terremoto resta uguale. Meglio un trasferimento lontano, un'emigrazione. Non è facile restare in un'area di terremoti, dove sai che ogni generazione pagherà un tributo di vittime: tu avrai qualche morto nella tua famiglia, i tuoi figli nella loro, e i tuoi nipoti nella loro. Non è facile restare. Eppure la gente vuole restare. Come mai? Per capirlo, dobbiamo ricordarci le immagini dei serbi in fuga dalla Bosnia e dal Kosovo durante la guerra civile: scappavano portando sul carretto tutti i beni che non volevano perdere, e tra questi c'eran le bare dei loro morti: le avevano dissotterrate dai cimiteri. L'esodo non è una rottura con una terra o un ambiente. È una rottura con la propria famiglia, con la propria storia. Un tradimento.Ferdinando Camonfercamon@alice.it


TOTOCANDIDATURE A DUE SETTIMANE DALLA CHIUSURA DELLE LISTE
Europee, Pdl e Pd scommettono sui big
Dopo il ”no” di Dipiazza spunta Feltri. A sinistra Vittorio Prodi e Zanonato

TRIESTE Il passo indietro di Roberto Dipiazza. L’insistenza di Roberto Menia e Ferruccio Saro perché tocchi invece al sindaco di Trieste. E adesso anche le voci su Vittorio Feltri paracadutato nella circoscrizione nordestina. Dall’altra parte, a centrosinistra, l’ipotesi Flavio Zanonato capolista e la scommessa Debora Serracchiani, la solidità di Vittorio Prodi, fratello di Romano. Liste entro il 29 aprile.


NEL GOLFO DI ADEN
Nave assaltata dai pirati: dieci italiani a bordo

NAIROBI Un rimorchiatore battente bandiera italiana è stato sequestrato ieri mattina nel golfo di Aden: a bordo sedici membri dell'equipaggio, dieci dei quali italiani. La notizia, diffusa in un primo momento da fonti locali, è stata confermata dalla Farnesina, che ha specificato che sulla vicenda è stato avviato un coordinamento interministeriale ed internazionale. Intanto la fregata Maestrale della Marina militare italiana si sta dirigendo a tutta velocità verso il luogo del sequestro, circa 70 miglia a Sud Est di Aden. La Maestrale partecipa alla missione Atalanta, la prima a guida comunitaria contro la pirateria nelle acque somale, dove però dopo un paio di mesi di relativa calma la situazione appare sempre più esplosiva. Il sequestro è avvenuto intorno alle 11 locali (le dieci in Italia), quando il comandante della nave ha lanciato l'allarme, dichiarando di essere stato attaccato. Il rimorchiatore si chiama «Buccaneer», è di proprietà della Micoperi di Ravenna, il cui titolare, Claudio Bartolotti, ha precisato che la nave - di 75 metri - stava portando due bettoline da Singapore verso Suez. Noti alle autorità i nomi degli italiani sequestrati: per ora, però, ne è stata diffusa solo la provenienza (Torre del Greco, Ortona, Bari, Latina, Trapani e Teramo). Sarebbero comunque tutti in buone condizioni, stando a quanto ha dichiarato a Nairobi Andrew Mwangura, responsabile del programma di assistenza marittima per l'Africa Orientale. Oltre ai dieci connazionali, l'equipaggio è composto da un croato e cinque romeni. La situazione è ancora confusa, ma Bartolotti - facendo intendere di avere contatti con fonti locali - ha riferito di aver avuto «notizie rassicuranti, nel senso che la vicenda si potrebbe risolvere. Anche se - ha aggiunto - non conosco l'evoluzione della situazione». In serata la Farnesina ha fatto sapere anche di essere in contatto - tramite un rappresentante dell'armatore dell'imbarcazione - con i familiari dei membri dell'equipaggio e ha annunciato che manterrà sulla vicenda «il massimo riserbo» per facilitare la soluzione del caso. Continua intanto l'odissea del capitano Richard Phillips, americano. È a bordo di un canotto di salvataggio della Maersk Alabama, nave danese battente bandiera Usa attaccata mercoledì scorso circa 450 km al largo di Mogadiscio. L'equipaggio, 20 persone, tutte americane, era riuscito a reimpadronirsi del vascello, ma non ad evitare che un manipolo di pirati, quattro, riuscisse a fuggire col capitano. Da allora si tratta, mentre sul canotto incombono vascelli da guerra americani. Ieri pomeriggio i pirati avevano tentato una carta molto rischiosa, inviando sul posto una nave tedesca sequestrata, con a bordo l'equipaggio, che avrebbe dovuto fare da scudo, imbarcare il prigioniero e far rotta verso terra. Ma per il Pentagono la possibilità di un americano ostaggio in Somalia, magari nelle mani di terroristi islamici, non è accettabile: si rischiava un serio conflitto. E qualcuno - stando a fonti di intelligence concordi di Nairobi - deve averlo fatto capire. La nave pirata è così rientrata con la motivazione ufficiale di non aver trovato il canotto: improbabile, non solo si sa dove è, ma intorno vi pullulano navi da guerra della quinta flotta Usa. Intanto è stata liberata nella notte una nave norvegese sequestrata a fine marzo: 2,4 milioni di dollari il riscatto.


ITALIANI E SLOVENI
LE DIVISIONI INESISTENTI di ROBERTO MORELLI

È più vera la Trieste che si assiepa alla Stazione marittima per ascoltare un confronto d'alto livello tra due autorevoli rappresentanti degli esuli e della minoranza slovena, interpellati dai direttori del Piccolo e del Primorski Dnevnik; o quella dipinta dal ministro degli sloveni all'estero?


Benzinai senza clienti, affari a picco
Finita l’agevolata, gli automobilisti vanno in Slovenia. Cinquanta licenziati in due anni

TRIESTE «Dopo la fine della benzina agevolata siamo un comparto in ginocchio. Abbiamo famiglia, ma non riusciamo più a lavorare. Nel giro di due anni sono stati licenziati circa 50 benzinai dalle 36 stazioni di servizio della provincia.Solo nel 2008 abbiamo registrato un crollo degli introiti di 80 milioni di euro e nei primi tre mesi di quest’anno siamo scesi ulteriormente del 20-25 per cento».Roberto Ambrosetti, presidente della Figisc (Federazione italiana gestori impianti stradali carburante), snocciola le cifre di un mondo in affanno, strangolato da una competizione impari con la vicina Slovenia e da una crisi economica che non guarda più in faccia a nessuno.


Riccardo Muti: «Torno a Sarajevo dove la musica unisce i popoli» di PAOLO RUMIZ

«Molim, pasport». All’aeroporto anche a Riccardo Muti chiedono i documenti. Un poliziotto lungo e amaro, senza un sorriso, prototipo Balcani. Messaggio: controlli tosti, altrimenti come facciamo a entrare in Europa. Un inconfessato desiderio di Schengen. Comincia così, in quello che fu il “maybe airport” (gli aerei in guerra partivano sempre ”forse”) il blitz sarajevese di uno dei massimi direttori d’orchestra del mondo. Motivo: annunciare che il Ravenna Festival, cuore dell’estate musicale italiana, celebrerà in data 13 luglio il suo ventennale in Bosnia, con un grande concerto in mondovisione. Nel menu: Brahms, Beethoven e Verdi, con al centro “l’Eroica”, la stessa che l’orchestra e il coro della Scala suonarono nel ’97, prima memorabile trasferta del Maestro nei Balcani.Questi gli appunti del viaggio compiuto due giorni fa per “Repubblica”, insieme a questa straordinaria ambasceria musicale. Oltre il “gate”, con Alessandro Fallavolita, uno degli ambasciatori italiani più simpatici in circolazione (moglie turca, capelli ricci da liceale, niente puzza sotto il naso), c’è il generale Jovan Divjak, eroe di guerra, serbo che ha combattuto per Sarajevo. Zazzera e occhiali scuri, a 72 anni è ancora un ragazzo. Cristina Muti lo abbraccia: lo ha già incontrato duo mesi fa, dopo aver letto il libro “Sarajevo mon amour”, e racconta che una sera, dopo una buona cena e qualche rakija, lui l’ha trascinata in un valzer sotto la neve, in mezzo alle strade deserte della città. «Come sono stata bene!» esclama, e già la missione ufficiale diventa fuga in uno spazio franco.Sarajevo? In pochi posti la forza della musica è più trasparente. I cecchini sparavano colpi, la città rispondeva sparando note. Fra il ’92 e il ’95 i teatri non furono mai chiusi, le sfilate delle miss continuarono anche sotto le bombe. Grazie alla musica in posti come Strumica in Macedonia - terra di contadini e grandissimi suonatori di fiati - turchi, bulgari, serbi, rom e albanesi continuano imperterriti a convivere. La sera, deposta la zappa, invece del kalashinikov afferrano trombe, tamburi e clarinetti, e tutta la città si riempie del ritmo sghembo e martellante di motivi alla Bregovic e Kusturica.Lo schema è chiaro. Qui la musica unisce e le religioni dividono. E pure qui il riscontro è acustico. Per capire basta il viaggio verso il centro. Il canto discreto del muezzin è finito. Trionfano nuove moschee dai minareti acuti come missili – estranei alla tradizione dei Balcani – che lanciano ovunque, in un crescendo di decibel, un messaggio registrato identico a quello di Ryad o Islamabad. Il banale avanza. S’attenua la pluralità delle voci. Cade il fair play con le campane cattoliche e il basso continuo degli archimandriti in quelle ortodosse. Agli sgoccioli la stagione degli ebrei, cuore dell’anima sarajevese, ridotti a borbottare le preghiere del Pesach (la pasqua ebraica) in quattro gatti.Il conflitto non ha premiato nessuno, tranne le religioni. Nella miseria generale, mi dice all’orecchio il generale Divjak, «quella è l’unica industria che funziona». Il silenzio sommesso, le penombre del sacro, gli Dei del luogo sono in ritirata, sembrano essersi dati alla macchia. Quelli nuovi urlano, coprono col frastuono il nulla che sta dietro. Un male mondiale, brontola Muti, e sbeffeggia i canti con chitarra in chiesa, intona con voce volutamente nasale: “E tua sorella che viene con meee… E tuo fratello che viene con meee”.Conferenza stampa, parata di nomenklatura con visi di circostanza. Non c’è più l’ardore degli anni di guerra. Folla di giornalisti e fotografi. L’evento è attesissimo, la città ama gli italiani e ama la musica. Muti insiste. «Nel ’97 quando siamo venuti qui la prima volta abbiamo sentito immediatamente la potenza del messaggio unificante dell’armonia». Ma il bello viene dopo, quando si esce in quell’infinito liston che è la città vecchia. Un mare di giovani, e le ragazze che sculettano di più sono quelle velate. Stangone tirate come leopardi. Cristina è incantata da tanta bellezza. Belli, le dico, ma anche disoccupati. Con meno speranza dei nostri. Anche per questo i caffè sono strapieni in giorno di lavoro.Il Maestro è incontenibile. Ero partito col timore di avere accanto un antipatico, invece è un ragazzo cresciuto carico di gioia. L’armonia? Parla da sola, non richiede intermediari, o occhialuti intenditori, «che generalmente sono pallidi, magri», e terrorizzano la povera gente che vuol godersi in pace un concerto. Brontola: «Non è possibile… oggi uno che esprime semplicemente se stesso è considerato un qualunquista. Guai se non dichiari un’appartenenza a questa o a quella parrocchia». L’Italia non è poi così diverso da questa Bosnia divisa in cantoni dalla pace di Dayton. Con la sola differenza che da noi per ora non ci si spara.I quartieri di Vratnik e Kovaci, stradine con selciati in salita. Il cimitero dei Caduti aperto come un giardino, tra le case, botteghe di ciabattini, panettieri, forni per tostare il caffè. Tutto come una volta, ma subito sopra il bazar di Bascarsija le ruspe spianano il terreno per un mega-centro di cultura islamica che non interessa a nessuno tranne ai politici. «Qui l’armonia non c’è » lamenta una donna bionda dopo aver sentito le parole del magister. Lui: «Cara signora, la mancanza d’armonia è un problema mondiale, lottiamo ogni giorno per ricrearla. Le dico di più, se ci fosse stabilmente e ovunque, non avremmo motivo di esistere».Tiro fuori dal sacco la storia della più bella haggadah del mondo – la haggadah è il libro illustrato sull’esodo degli ebrei dall’Egitto che viene letto in famiglia ogni pasqua – un testo trecentesco approdato a Sarajevo dopo esser partito dalla Spagna e aver viaggiato a lungo in Italia. Un simbolo sfolgorante dei tempi andati: fu un musulmano - il dervisco Korkut – a nascondere a rischio della vita il libro degli israeliti dalle razzie dei nazisti e a riconsegnarlo al museo della città a guerra finita. Senza dire che furono ancora i musulmani a proteggerlo dalle bombe serbe tra il ’92 e il ’95, tempo in cui in città le due religioni fecero causa come ai tempi dell’impero ottomano e della grande stagione araba dell’Andalusia.Passeggiata fino alla biblioteca in restauro. Il tetto non c’è, spade di luce piovono dall’alto tra gli archi moreschi. Si narra che l’architetto cui gli Asburgo avevano commissionato il lavoro (allora era il municipio) si sia sparato alla testa perché l’interno non aveva, a suo dire, abbastanza luce. Ma non importa, qui è la musica che trionfa. Qui tra le macerie vennero Zubin Mehta con un’intera orchestra, in piena guerra. E poi Luciano Pavarotti, Joan Baez, Bono degli U2. E ancora la mitica balalajka di Enrico Ruggeri e il violoncello magico di Vedran Smajlovic. Un altro formidabile epicentro acustico. In molte cose Sarajevo resta sismografo ipersensibile, un archivio dei suoni più memorabili del XX secolo, dalla pistolettata di Gavrilo Princip contro Francesco Ferdinando al colpo secco del cecchino nell’ultima guerra balcanica. In mezzo a quelle montagne sembrano conservare un’eco più durevole, come fossero sempre presenti, qui e ora. Sarajevo è una cassa di risonanza, e fu certamente questo che Muti intese nel memorabile concerto di dodici anni fa, quando le note dell’Eroica furono sentite su tutte le montagne intorno.Ancora Muti, allegro con brio. La musica non è comprensione! E’ «rapimento», e sottolinea la “erre” alzando la mano per impugnare un’invisibile bacchetta. Non fa distinzione di partiti e fedi. Persino gli animali la capiscono. Come una sera a El Djem, in Tunisia, in una trasferta “d’amicizia” del festival ravennate: «Uno sciacallo si mise a ululare in una brevissima pausa del Requiem di Verdi. Attesi che smettesse, e lui niente. Aspettai mezzo minuto, niente. Allora feci segno di attaccare l’Offertorio. Ebbene, appena l’orchestra cominciò con le note basse, l’animale smise. Poi capii. Aveva pianto perché voleva che la musica continuasse. Per dirla con Dante, era stato preso per incantamento».Sosta all’aperto in piena Bascarsija da “Hodzic”, locale che è il cuore olfattivo dei Balcani. C’è tra breve il pranzo ufficiale dal sindaco, ma che importa, Sarajevo è Sarajevo e tutti – ambasciatore e rappresentante ministeriale compresi - ordinano cevapcici. Racconto che quarant’anni fa, in un kibbutz israeliano, un amico di nome Antonio Mallardi, allievo di Pablo Casals, la sera suonava il violoncello sulla porta della sua casetta aperta sul deserto. Appena cominciava, gli sciacalli arrivavano, si acquattavano a pochi metri dal cottage e attaccavano col loro grido lungo. Quando lo strumento passava alle note stridule, impazzivano, sembrava quasi che volessero entrare in casa. Quando invece scendeva sulle note basse, si calmavano uggiolando di nostalgia.Qualcuno stringe la mano al Maestro, i più passano con discrezione, ed è già orientale questa aureola invisibile che rende l’individuo protetto da un involucro di discrezione. Muti addenta il pane con i “piccoli kebab”, si diverte come uno scolaro in gita, sente profumo d’Oriente. Ma il discorso torna inevitabilmente alla musica. Bosnia o Italia non fa differenza, il messaggio è universale. Come nella natìa Molfetta in Puglia, quando inizia la processione del Venerdì santo. «L’ho vista tante volte tra la folla, spostandomi da un punto all’altro, per godermi il momento in cui corni, tube e piatti invadono la strada», ed esplode il motivo del “concia seggiole”, potente e geniale, nato da un’elaborazione sacra del grido del seggiolaio.Tuona, gigioneggia, passa al dialetto pugliese, racconta dei tirannici priori, della congrega di “Santo Stefano” che da secoli porta il Cristo morto, di quella della “Morte col sacco nero”, un plotone incappucciati col bastone col teschio in cima, che va in processione con la Pietà. Ora il tema è l’Italia, il terremoto in Abruzzo, che è anch’esso una specie di dopoguerra. La distruzione di un patrimonio storico ridotto in briciole non solo dal sisma ma anche dall’incuria e dalla mancanza di memoria. Il disastro di un Paese che non ride e non canta più.Alle 4 si riparte, la coppia s’è riempita di souvenir, nuovi controlli aeroportuali. In tutti, una gran voglia di tornare. Salvo Nastasi, impagabile factotum del ministero dei beni culturali, è ancora commosso dai cevapcici e devo consolarlo con strazianti storie balcaniche piene di guzle e amori infelici. Luce dorata, il Maestro è contento, ha assaporato l’Oriente, e l’indomani tornerà a Molfetta per l’ineludibile processione e le campane pasquali della mezzanotte. Poi, il lunedì, New York. Ma intanto, mentre il piccolo jet sorvola l’isola di Curzola, c’è ancora tempo per una storia.«Quando nel luglio del ’97 ripartimmo a notte fonda da quest’aeroporto a concerto finito, mi ritrovai con tutta l’orchestra, i coristi e gli strumento, a un ingresso sbagliato. Lontano, oltre i campi minati e lo sbarramento delle truppe francesi, le luci del “gate” giusto. Dissi perentoriamente: chi vuole mi segua. E partii col mio reggimento musicale in mezzo al buio, per sbucare davanti ai soldati che avevano l’ordine di sparare a vista. Quando il sergente mi riconobbe, e vide dietro di me tutta quella gente, sorrise, aprì la sbarra e disse: potete passare monsieur le commandant! Commandant! Nessuno mi aveva chiamato così. Ne sono ancora fiero».


Prender casa al ”Tergesteo” Attico? Un milione 134mila euro di LAURA TONERO

Gli appartamenti che il gruppo americano Carlyle estate ha cominciato a realizzare nello storico palazzo del Tergesteo vengono venduti a un prezzo al metro quadrato che oscilla tra i 4300 e i 4700 euro. E si tratta ancora di una fase definita promozionale, perché quando il 25 per cento della superficie sarà stato venduto, il costo salità a ben 5000 euro al metro. Attualmente per diventare proprietari di un pied-à-terre da 36 metri quadrati bisogna sborsare 170 mila euro, ma se si punta al super-attico su due piani, da 170 e 69 metri quadrati (la proposta più prestigiosa), occorre la bella cifra di un milione e 134 mila euro. Le soluzioni abitative però sono molte, ben 67. Tre agenzie immobiliari sono al lavoro. E anche gli operai: il cantiere si è aperto sulla parte che si affaccia su piazza Verdi e il completamento dell’intero restauro è previsto per i primi mesi del 2011 (le chiavi di qualche appartamento, dice la Carlyle, «potrebbero essere consegnate però già a Natale del prossimo anno»).E ci sono acquirenti? E chi sono? Si stanno facendo avanti. Sono in gran parte triestini, ma vengono anche dal Veneto e dalla Slovenia. «A oggi è stato venduto oltre il 20% degli alloggi» conferma l’agenzia immobiliare che ha i suoi uffici proprio nella galleria del Tergesteo.I prezzi, su cui la Carlyle ha mantenuto il riserbo fino all’ultimo, anche nel corso delle numerose presentazioni alla città del megaprogetto, sono stati imposti dalla proprietà americana e le agenzie si limitano alla loro funzione di mediatrici. L’acquirente deve versare il 20% dell’importo alla firma del contratto preliminare e il restante 80% lo darà al momento della consegna.Quattro i piani destinati a residenze. L'ultimo è riservato alle mansarde. Anche quelle prestigiose. Alcuni esempi: un appartamento di 83 metri quadrati al quarto e ultimo piano, in parte mansardato con l'altezza massima di 3,43 metri e minima di 1,88, è in vendita a 390 mila euro. Chi vi abiterà avrà a disposizione un soggiorno, una cucina, un bagno e una camera da letto. Qualcuno si sta interessando anche ai monolocali che misurano da 36 a 57 metri quadrati. Stanza, bagno e disimpegno venduti rispettivamente a 170 mila e 240 mila euro. Non è escluso che l’intenzione sia quella di affittare in seguito lo spazio, anche a uffici, vista la prestigiosa sede, e che si faccia dunque conto su un futuro introito prevedibilmente di una certa consistenza.Dal progetto si vede che molte abitazioni con una metratura ridotta sono collocate al primo piano, con le finestre che si affacciano direttamente sulla galleria del Tergesteo. Quella stessa galleria ottocentesca il cui il progetto di riqualificazione è affidato nella direzione dei lavori a Giovanni Cervesi, e alla Rizzani de Eccher per l’esecuzione. Come si sa, la copertura verrà riportata al disegno e ai materiali originali, togliendo il vetrocemento che ora tra l’altro la rende meno luminosa.Chi si reca in una delle agenzie per ottenere informazioni può per ora visionare piantine e progetto. Gli vengono messe sotto gli occhi tutte le soluzioni che verranno ospitate all'interno del palazzo, come la planimetria dell'appartamento da 87 metri quadrati, o da 134, o ancora di quello a due piani da 173 metri quadrati (da 780 mila euro). Un «book» sciorina le varie abitazioni l’una dietro l'altra e in allegato propone anche la fotografia della vista godibile dall'una o dall'altra finestra. Infine i papabili residenti del palazzo ricevono in omaggio una elegante «brochure» intitolata «Palazzo Tergesteo: il neoclassico triestino torna a risplendere»: carta patinata, un'immagine che ritrae la galleria popolata da uomini con il cilindro sul capo e dame con cappelli e mantelli intorno al 1850. Il volantino si propone anche in lingua inglese, specificando quanto il palazzo tra piazza Verdi e piazza della Borsa disti rispettivamente da Vienna, Zagabria, Lubiana e Venezia. E spiegando come raggiungere Trieste attraverso l'autostrada o atterrando a Ronchi dei Legionari. Un segnale che evidentemente gli acquirenti si stanno cercando anche fuori dal perimetro regionale.


SERIE A IN CAMPO. PARI DELL’INTER, PERDE LA JUVE
Dagli spalti un grido: «Forza Abruzzo»

Uno degli striscioni apparsi negli stadi: siamo a Verona

Ammazza a coltellate moglie e figlio di 8 anni poi tenta il suicidio

Dopo Pasqua alberghi a caccia di turisti: in arrivo prezzi stracciati

Artoni e Samer insieme per trasportare in Asia i motori di Wärtsilä


L’INTERVISTA: TOMMASO PADOA SCHIOPPA
«Crisi ancora lunga, serve un governo Ue»

TRIESTE «La crisi economica? Sarà ancora lunga. La vera ripresa non arriverà nemmeno nel 2010». Evita l’ottimismo a tutti i costi Tommaso Padoa Schioppa: per l’ex ministro delle Finanze del governo Prodi, autore di un volume appena uscito in libreria, l’economia globale deve compiere ancora un lungo cammino per uscire dal tunnel. E, a suo parere, l’Europa forse non sta facendo abbastanza: ”colpa” dell’assenza di un’azione davvero congiunta degli Stati membri dell’U. «Quel che manca all’Europa è un governo continentale e la conseguente capacità di decidere».

Cultura
In Bosnia il ventennale del Ravenna festival

Il caso
Con 170mila un monolocale

RASSEGNA STAMPA: MESSAGGERO VENETO, IL GAZZETTINO, IL PICCOLO

Cominciamo con la prima pagina del Messaggero Veneto

===

Ieri nuove scosse nelle aree terremotate.

Trovati altri tre cadaveri, il bilancio delle vittime sale a quota 293. Da oggi non si scava più Schifani torna in visita sul luogo del disastro e un medico gli dice: «Basta strette di mano, fate di più»

Volontari Fvg, Pasqua tra le macerie

Hanno raggiunto L’Aquila altri 250 uomini della protezione civile regionale: «Il nostro posto è qui»

Sequestri e perizie sugli edifici crollati. Il pm: arresteremo i responsabili



UDINE. Sono molti i volontari friulani che oggi passeranno la Pasqua lontano dalle proprie famiglie, tra gli sfollati in Abruzzo. «Un’altra “famiglia”, da sostenere e aiutare», assicurano quelli che da lunedì sono al lavoro perché l’Aquilano rinasca. Ieri dall’Abruzzo sono partiti circa 400 volontari della Protezione civile per ritornare in Friuli, una squadra sostituita da altri 250 volontari.




Forgaria Lucia Petri, 40 anni: una tragedia che mi insegue

Da bambina rimase sepolta per ore sotto i detriti.

Ora si è salvata per miracolo dal crollo della casa

Dal Friuli all’Aquila: «Io per due volte sfuggita al sisma»



FORGARIA. «Il terremoto mi segue. Non c’è niente da fare». Sono queste le parole piene di sconforto e fatalismo pronunciate da una donna di 40 anni che il sisma l’ha vissuto per 2 volte: la prima in Friuli, nel maggio 1976, la seconda lo scorso lunedì notte, a L’Aquila. Si chiama Lucia Petri, è friulana di nascita e abruzzese d’adozione.



Caso Eluana, scritte a Roma contro Fini



ROMA. Solidarietà unanime, da parte di tutti gli schieramenti politici e dai rappresentanti delle istituzioni del Lazio e di Roma, al presidente della Camera Gianfranco Fini e condanna, altrettanto unanime, per la scritta, a firma Militia Christi, scoperta la scorsa notte nella capitale, che recita: «Omicidio di Eluana, Fini come Pilato».
In vernice rossa e nera, la scritta lunga circa 9 metri e larga 60 centimetri, è comparsa nei pressi della tangenziale est a Roma e si riferisce alle dichiarazioni del presidente della Camera sul caso di Eluana Englaro. Segnalata da alcuni passanti alla polizia è stata subito rimossa. Ma l'attacco alla terza carica dello Stato è difficile da cancellare.Solidarietà a Fini è venuta dal ministro per l'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi secondo cui «la difesa delle idee e, in questo caso, della laicità dello Stato non può e non deve essere messa in dubbio da scritte inquietanti che vanno condannate senza se e senza ma». Il vice presidente della Camera, Maurizio Lupi ritiene che «per difendere certi valori servano il confronto e il dialogo, non gli insulti».Per il vicepresidente vicario dei deputati, Italo Bocchino «le scritte sono gravi non solo perchè coinvolgono i massimi vertici delle istituzioni, ma anche perchè manifestano un tentativo estremista di aggredire chi su temi delicati e dipendenti esclusivamente dalla coscienza del singolo esprime opinioni non condivise» mentre per il deputato Pdl Benedetto Della Vedova si tratta di «un'offensiva estremista, nel linguaggio e nei toni, contro chi ha avuto il solo “torto” nella vicenda di Eluana Englaro, di assumere una posizione moderata, liberale, europea; informata alla pietà e al dubbio piuttosto che alle certezze espresse da tanti».A reagire anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti e il Presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Se per Alemanno «ognuno deve essere libero di esprimere le proprie idee e i propri convincimenti, soprattutto una carica dello Stato, deve poter svolgere il proprio incarico senza subire per questo etichettature e insulti inaccettabili»; per Zingaretti, Fini «è colpevole solo di aver espresso le proprie idee». Per Marrazzo, la scritta è un «segno di un vuoto di pensiero riempito con il semplice cemento dell' intolleranza più bieca».



Dopo il “caso Pordenone” la polemica si estende a tutti i comuni interessati dal voto di giugno Candidature alle Europee Il Pdl potrebbe puntare su un industriale veneto

Elezioni, gelo fra Lega e Pdl

Lo strappo del Carroccio: «Siamo pronti a correre da soli»



CANDIDATURE. Per la Provincia di Pordenone si contrappongono Alessando Ciriani (ex An, incoronato dopo il via libera a Gottardo coordinatore regionale Pdl) e il leghista Enzo Bortolotti.
CASO SACILE. Il Carroccio vuole indicare il candidato sindaco del centro-destra, ma Gottardo, che nel Giardino della Serenissima è di casa, ha già scelto il fedelissimo Roberto Ceraolo.


di STEFANO POLZOT

PORDENONE. «Spetta a lorsignori interrompere il countdown, ma sappiamo che siamo ormai agli sgoccioli». La Lega Nord tira dritto e dopo aver rotto le trattative con il Pdl sulle amministrative nel pordenonese (tra Tagliamento e Livenza la Provincia e 26 Comuni) si prepara a correre da sola dappertutto, salvo che il tavolo regionale non sbrogli la matassa.
Sono acqua fresca per i vertici del Carroccio le dichiarazioni del neo-leader del Pdl regionale Isidoro Gottardo («L’alleanza non è in discussione, Berlusconi e Bossi l’hanno ribadita»). Al vertice di Arcore, durante il quale si sono spartite le Province, per ammissione dello stesso segretario friulano della Lega, Pietro Fontanini, «si sono dimenticati di Pordenone». E questo lascia margini di manovra. Ma dopo l’apertura di Fontanini su una possibile intesa al primo turno, il tavolo provinciale è andato in frantumi: troppi i pugni sul tavolo del sindaco anti-burqa, Enzo Bortolotti, che la Lega ha candidato alla Provincia, a fronte dei no del Pdl.Dissensi motivati dal fatto che il Carroccio ha alzato il tiro: se la presidenza della Provincia va al Pdl (l’uscente Alessandro Ciriani), metà degli assessori devono essere leghisti e in 13 dei 26 Comuni il candidato della coalizione deve essere leghista, a partire da Sacile, secondo comune del Friuli occidentale, e, soprattutto, “patria” di Gottardo. «E l’Udc?», ha chiesto il coordinatore provinciale del Pdl, Angioletto Tubaro. «Affari vostri», ha replicato Bortolotti, già infastidito dal metodo proposto dal Pdl: trattative distinte tra Provincia e Comuni.Ieri Bortolotti ha concluso i contatti con le segreterie locali, alle quali ha ribadito che dappertutto il partito correra da solo. Salvo che il tavolo regionale, chiesto dai bossiani, non rimedi alla situazione. Un livello fortemente voluto da Narduzzi e Bortolotti per mantenere alto il tenore della trattativa, che va allargata anche alle nomine negli enti in scadenza di spettanza della Regione. Sondaggi alla mano, i leghisti sostengono di essere il primo partito nella Destra Tagliamento «e non intendiamo svendere questo patrimonio», tuona Bortolotti. «Se dovessi scommettere – aggiunge – in questo momento punterei sulla corsa in solitario». Dal Pdl si alzano gli scudi («Non ci facciamo intimidire», ha dichiarato Tubaro, braccio destro di Gottardo), ma parallelamente si tesse la tela della mediazione. Sta di fatto che della questione Pordenone si discuterà nei prossimi giorni a Trieste, in attesa del prossimo fine settimana quando ad Azzano Decimo sono attesi, per la festa padana, i ministri Roberto Maroni e Roberto Calderoli e, forse, il leader Umberto Bossi. Dal Palaverde potrebbe giungere la parola definitiva.



Snaidero, altro ko Speranze ridotte al lumicino



di VALERIO MORELLI


SNAIDERO-AIR AVELLINO 66-79

SNAIDERO UDINE Anderson 6, Musso, D’Ercole 6, Ortner 12, Antonutti 10, Di Giuliomaria 5, Forte 5, Romero 18, Allen 4. Coach Blasone.

AIR AVELLINO Warren 10, Radulovic 8, Porta 5, Best 8, Cinciarini 14, Crosariol 8, Williams 9, Diener 17. Coach Markovski.

ARBITRI Facchini, Tullio e Crescenti.

NOTE Quarti: 21-20, 46-35, 51-62. Tiri liberi: Snaidero 6/11, Air 8/11. Tiri da tre: Snaidero 6/24, Air 13/29. Rimbalzi: Snaidero 34, Air 39. 5 falli: Radulovic. Spettatori: 2.400 per 21 mila euro d’incasso.


UDINE. Falsa partenza della prima Snaidero alla Blasone - Allen che, nell’11ª di ritorno di A al Carnera, dà via libera per 66-79 all’Air Avellino che rivince fuori dopo 5 gare. O, meglio, capitan Di Giuliomaria e compagni partono bene abusando di un’Air svogliata: al riposo sono a +11, ma al 30’ a -11 devastati da un 5-27 in 10 minuti, frutto di più difesa irpina. L’attacco alla zona, finalizzato da Diener, poi fa il resto. Nonostante gli stop di Rieti e Gmac, la salvezza è un miraggio.
La Snaidero, senza Buskevics ko all’ultima ora, parte con Allen, Anderson, Antonutti, Romero e capitan Di Giuliomaria. L’Air, con Tusek infortunato, risponde con Best, Cinciarini, Warren, Crosariol e Williams. Un 8-0 firmato da Antonutti e Di Giuliomaria (5) ribalta il 2-4 irpino al 2’. L’Air pareggia in un amen sul 10-10 e Cinciarini, con 3 triple e 2 liberi (11 punti), firma il 16-20 al 9’. Con Forte riproposto play per Allen, il finale di quarto è tutto di Antonutti (5) che segna da sotto, Romero che stoppa Warren e D’Ercole che sulla sirena mette la tripla dalla sua metà campo: 21-20 al 10’.Il secondo periodo si apre con un 6-2 di Ortner (4) e Forte, adesso guardia con D’Ercole play. Cinciarini (14) è contrato da Antonutti da tre per il 30-25 al 14’. Dentro Anderson, Forte di nuovo play, Romero dalla lunetta fissa il massimo vantaggio sul +7 (32-25) al 15’, ma Diener dall’arco e Best in contropiede dicono subito -2. Dopo un time out arancione, Ortner (6) e Romero rilanciano a +7. Radulivoc restituisce subito a Forte la tripla del +10 (40-30) al 18’. Romero (13) corregge a canestro un errore di Allen e al riposo fissa il 46-35.Nella ripresa, due triple di Warren e Diener riaprono subito la partita. Dopo un altro time out arancione al 24’ Anderson fa 2+0 sul terzo fallo di Cinciarini, ma Rashad ne commette pure tre e Radulovic fa 2+1: 48-44. Udine, in rottura prolungata, va sotto fino sul 50-59 al 29’ per il 51-62 al 30’: da +11 a -11 in un quarto solo con un imbarazzante parziale negativo di 5-27, frutto di un’Air più arcigna in difesa.La malaparata arancione prosegue sino al 55-73 al 35’, quando diventa immarcabile Diener: 17 punti, 8 nell’ultimo quarto con un semplice movimento di pendolo contro la zona, punita due volte da tre. Sul 57-75 un 8-0 udinese è firmato da Ortner, D’Ercole da tre e Romero (1/2 ai liberi) nonostante il rientro di Best per gestire: Travis esordisce con un fallo su Hector, unico extracominutario arancione rimasto sul parquet. Crosariol, rientrato per Williams infortunatosi, interrompe il break e al 40’ è 66-79 con la ripresa finita 20-44 per l’Air.In una serata ravvivata solo dai clown voolontari che il 19 aprile andranno in piazza a Udine per la 5ª Giornata del naso rosso, da segnalare lo striscione che ha accomunato le due tifoserie: Friuli 1976, Irpinia 1980, Abruzzo 2009, uniti al vostro dolore.




Svolta Trudi, non più solo peluche

Anche giochi e accessori nel futuro dell’azienda friulana

Tarcento Leader mondiale, compie 55 anni e amplia la produzione



LA NOVITÀ

Scommettiamo sui negozi in franchising
di RENATO D’ARGENIO

TARCENTO. Una macchina da cucire, un fresa e un pennello. Poi tanta abilità manuale e passione: ecco fatto il giocattolo che incanta bambini e adulti. Il peluche della Trudi compie 55 anni, anche se non li dimostra. L’azienda è “cresciuta”, è cambiata la gestione, ma lo spirito di Gertrude (“Trudi”) Müller Patriarca è lo stesso. Oggi le redini le ha in mano Paolo Nino, 36 anni e Ad del gruppo Trudi, Sevi e Olli Olbot. Sì perchè a Tarcento, da un po’ di anni, non si fanno più soltanto peluche e si pensa in grande. Abbiamo incontrato Nino in azienda.Ci racconti come la Trudi è passata da gestione familiare a manageriale.«La Trudi nasce nel 1954, grazie alla passione della signora Gertrude. La piccola azienda a gestione familiare cresce bene. Alla fine degli anni Novanta comincia il passaggio generazionale: il figlio Giuseppe prende il controllo, esercitandolo fino al 2005, quando comincia una fase intermedia in cui l’azienda è gestita dalla proprietà e dal fondo Bain. Verso la fine di quell’anno rileviamo il 100% della società».Cos’ha comportato a livello pratico e organizzativo? Cos’è cambiato rispetto a prima?«Diciamo prima cosa non è cambiato. I valori sono rimasti gli stessi di 55 anni fa. Qualità, innovazione, passione e sicurezza sono rimasti al centro della mission. Possiamo dire che il dna della Trudi sarà sempre tramandato. Sono cambiati gli obiettivi di crescita: oggi sono particolarmente ambiziosi».Parliamone«Prima di tutto ci siamo trasformati da azienda monomarca in multimarchio con l’acquisizione dei marchi Sevi e Olli Olbot. In azienda di multiprodotti. La Sevi 1831 fa tendenzialmente prodotti in legno o decorazioni per la camerette; Olli Olbot prodotti vicini al mondo del peluche. Non solo: anche all’interno del marchio Trudi si è passati dal peluche classico a nuove linee di prodotto che sposino la filosofia del marchio».Si riferisce ai prodotti per la scuola?«Si, ma non solo. E’ stata creata una linea Trudi indirizzata al mondo baby (0-12 mesi); oggetti con caratteristiche diverse da quelli classici, anche a livello di sicurezza. Poi ci sono sono le collezioni per la scuola, quelle per il viaggio e il tempo libero. Borse e accessori. Ma non finisce qui. Rendendoci conto della forza dei nostri marchi abbiamo dato il via a un progetto ambizioso di “affido delle licenze”. Abbiamo scelto una serie di partner primari, che sposano i valori della nostra azienda, per realizzare prodotti marchiati Trudi. Per esempio la Gabel cura la parte del tessile per la casa, ma ci sono anche l’abbigliamento, gli orologi o le camerette da letto per i bambini. Abbiamo unito la nostra forza con quella delle aziende che, come noi, entrano nel mondo del bambino... anche se il peluche è un prodotto trasversale; un prodotto che piace anche ai più grandi e per questo stiamo pensando noi sviluppano collezioni con ambiti diversi: andiamo nello stesso mondo e cioè nel mondo del bambino, anche se il peluche è un prodotto molto trasversale. Per questo stiamo sviluppando prodotti per eventi come San Valentino».E’ cambiata anche la politica di promozione all’estero?«E’ stata intensificata. Essendo già leader in Italia con una quota superiore al 30%, stiamo cercando di portare i nostri prodotti e la nostra filosofia sui mercati dell’Ue, di Stati Uniti, Russia e Giappone. Naturalmente ci vogliamo posizionare su prodotti di alta fascia e qualità».Trudi, Olli e Sevi: si realizza tutto a Tarcento?«I prodotti nascondo tutti a Tarcento. Qui nascono le idee, si sviluppano, si pensa al marketing si realizza il prodotto. Abbiamo un team di 15 creativi che a partire da un foglio bianco danno vita ai prodotti. Poi la carta si trasforma in prototipo. Quindi nasce il peluche o il pezzo di legno. I metodi di lavoro non sono cambiati, ma è aumentato il numero degli impiegati. Soltanto la Sevi ha comportato un incremento dei creativi e la creazione di un laboratorio del legno».Quanto pesa la crisi sul gruppo?«I cali di vendita riguardano tutti compreso il mondo dei giochi. Noi abbiamo avuto un leggero incremento degli insoluti a fine anno. La Trudi va bene: continuiamo ad aumentare le quote di mercato. Quest’anno contiamo di chiudere con un fatturato di 40 milioni. Inevitabilmente, il calo dei consumi si sente, ma non ha inciso sulla forza lavoro».Un’altra novità riguarda i negozi franchising. Perchè questa scelta.«Anche questo è un progetto ambizioso legato alla trasformazione dell’azienda: la vendita dei nostri prodotti in negozi diretti. Dopo aver attestato il “format” – come richiede la legge – abbiamo deciso di passare in franchising. I punti di forza di questo progetto sono diversi. Innazitutto abbiamo alcuni prodotti che garantiscono margini molto elevati al negoziante. Secondo: abbiamo un prodotto che non invecchia. Uno dei problemi principali dei negozianti è appunto quello di dover vendere più di metà merce con i saldi per rinnovare il magazzino. Il nostro è un prodotto continuativo. Non è legato alle stagioni. E’ sempre attuale anche se tutti gli anni rinnoviamo i soggetti. Infine, oggi possiamo contare su un’ampia gamma di prodotti».Perchè un bradipo (l’ultimo nato, foto in alto) piuttosto che un maialino? Cosa determina la scelta?«Premesso che abbiamo uno storico di 55 anni e che tendenzialmente li facciamo tutti, molti sono scelti dai nostri clienti. Ci scrivono (ora su internet; c’è una community) chiedendoci o suggerendoci iniziative. E’ chiaro che gli orsi sono i best-seller, così come i cani e i gatti».Soffrite la concorrenza all’estero o un problema di copie?«Copiare i nostri prodotti è molto difficile. Non abbiamo grandi problemi di copie. E’ chiaro che la maggior parte dei nostri concorrenti aspettano le nostre novità per fare qualcosa di simile: siamo nel mirino perchè ispiratori di idee e per certi versi è anche un onore. Vale per Trudi come per Sevi. Noi abbiamo creato le lettere in legno realizzate e pitturate a mano. In Europa si trovano moltissime copie».Obbligatorio, visti i vostri “clienti”, uno sguardo al problema della sicurezza.«Abbiamo un professionista dedicato solo al problema sicurezza e non a caso in 55 anni non abbiamo avuto un ritiro. Applichiamo gli standard americani, quando molte aziende europee rinunciano e non tanto per il costo del test ma semplicemente perchè non lo passano».Come e dove acquistate le materie prime?«Alcune in Italia altre all’estero. I peli sono sviluppati da noi; quasi tutti in Corea: è il mercato, assieme al Giappone, dove si realizzano i migliori peli. I nostri hanno il nostro marchio e sono richiesti da aziende del lusso. Non mi chieda quali: non glielo posso dire».



Il vescovo alla Safilo: non perdete la speranza

Monsignor Brollo agli operai: è brutto quando a comandare sono soltanto i soldi

Martignacco Gesto di solidarietà del presule: la crisi sta mostrando il suo volto più terribile



UDINE. Li ha guardati in faccia, ha stretto mani e ascoltato le testimonianze più forti. Ha sorriso ai bambini, che gli hanno regalato un bellissimo mazzo di fiori. E poi ha fatto parlare il cuore e le emozioni. Alla vigilia della Pasqua, anche l’arcivescovo di Udine, monsignor Pietro Brollo, ha voluto ribadire la propria solidarietà ai lavoratori che a causa della crisi economica globale rischiano di perdere il posto di lavoro. Per questo motivo, ieri, il presule ha incontrato i dipendenti Safilo.



TANTO NESSUNO CONTROLLA

CEMENTO E SABBIA di FERDINANDO CAMON


Terremoto, è il momento delle accuse e delle polemiche. Si discute in particolare sulla qualità dei materiali usati nelle costruzioni. Ma si vede già come va a finire, nascono continue contestazioni fra gli esperti, a chi osserva che il rapporto sabbia-cemento è nei limiti della norma c’è chi obietta che però la sabbia non è sabbia di cava, ma di mare.La sabbia di mare contiene salnitro, il salnitro mangia il ferro, il cemento senza ferro non è più cemento armato. Non sarà facile arrivare a una conclusione univoca. E purtroppo ormai i morti sono morti. I controlli, come li intende la legge, sono a posteriori, sull’opera eseguita. Per servire a qualcosa, dovrebbero essere eseguiti in contemporanea, quando le opere partono e procedono e sono in corso. Non controlli dunque, ma sorveglianza. È questa che manca in Italia. C’è perfino un ingegnere che preme il pollice sul cemento di un lastrone, e sentenzia: «Il pollice entra, questo non è cemento, è pasta». Ma non si poteva vedere che era pasta quando la impastavano le betoniere?Sulla costruzione dell’ospedale (che doveva restare intatto e invece ha seppellito 4 dei suoi piccoli ricoverati), si può fare un ragionamento che spiega perché abbiamo con una certa frequenza catastrofi come questa, perché si afferma sempre che dei responsabili ci sono, ma non si trovano mai. La costruzione è durata trent’anni, in trent’anni l’assegnatario della commessa è cambiato più volte, gli stanziamenti sono stati erogati ripetutamente, e alla fine l’opera è costata quel che doveva costare all’inizio moltiplicato per nove. Qui non c’è un problema di controllo o certificazione mancanti a lavoro finito, c’è un problema di controllo mancato per trent’anni. E non sono due cose diverse, sono la stessa cosa. Se lo Stato non riesce a supervisionare l’erogazione dei fondi, a scaglionarli lungo il corso dei lavori, perde il controllo di tutta l’opera dalla fase della commessa all’esecuzione al risultato finale. Le tre centinaia di morti che questo terremoto costa all’Italia non sono il risultato di un atto finale, un errato o infedele o mancato controllo conclusivo, ma di decenni di mancati controlli. In questi decenni si sono ruotati in Italia governi di tutti i colori politici. Prima la Democrazia cristiana, poi il centro-destra e il centro-sinistra alternati. Qui non è questione di destra o di sinistra. È questione di come si fanno i lavori pubblici in Italia. Lo Stato dovrebbe avere imparato a sue spese che i lavori pubblici hanno bisogno di un controllo costante in ogni fase.Anzi, non solo non va bene che il controllo avvenga a lavoro finito, ma non basta nemmeno che avvenga a lavoro in corso: ci dovrebb’essere anche una prevenzione di queste catastrofi, che cerchi di evitarle prima ancora che s’intravedano. Se tra le imprese che hanno costruito i palazzi pubblici crollati a L’Aquila ce ne fossero alcune che si sono candidate per la costruzione di altre opere (per esempio, il Ponte sullo Stretto), non sarebbe opportuno sospenderle dalla lista, in attesa di verifiche finali? Questa sarebbe la prevenzione. Le gravi malattie si combattono meglio con la prevenzione che con la terapia. Meglio non ammalarsi che ammalarsi e curarsi.Ieri sul fronte degli sciacalli han fatto la loro comparsa gli stranieri. Una badante romena e quattro suoi connazionali sono entrati nella casa di un anziano, che era scappato, e han rubato oro e banconote. Va bene, questi son gli sciacalli classici, ladri che rubano nei terremoti, nei bombardamenti, nelle inondazioni. Somigliano a quelli che rubano negli armadietti dei ricoverati in ospedale. Ma c’è un’altra forma di sciacalli, paralegale. Sono i mercanti che nei luoghi del disastro alzano i prezzi. Loro applicano la legge del mercato: se un prodotto scarseggia, se l’acquirente ne ha proprio bisogno, il prezzo sale. E così la benzina intorno a L’Aquila veniva venduta a 5 euro il litro. Fermare questi sciacalli legali è più difficile: sono figli della borghesia, l’affare vien prima dell’amicizia, nella borghesia imperante si mimetizzano. Ma sono sciacalli.Infine, l’esodo, andare via, rifarsi la casa da un’altra parte. Ha un senso. Ma l’altra parte non può essere nelle vicinanze, l’idea di fare L’Aquila 2, che starebbe a L’Aquila come Milano 2 sta a Milano, è un compromesso, non una salvezza. Nelle vicinanze il rischio di un altro terremoto resta uguale. Meglio un trasferimento lontano, un’emigrazione. Non è facile restare in un’area di terremoti, dove sai che ogni generazione pagherà un tributo di vittime: tu avrai qualche morto nella tua famiglia, i tuoi figli nella loro, e i tuoi nipoti nella loro. Non è facile restare. Eppure la gente vuole restare. Come mai? Per capirlo, dobbiamo ricordarci le immagini dei serbi in fuga dalla Bosnia e dal Kosovo durante la guerra civile: scappavano portando sul carretto tutti i beni che non volevano perdere, e tra questi c’eran le bare dei loro morti: le avevano dissotterrate dai cimiteri. L’esodo non è una rottura con una terra o un ambiente. È una rottura con la propria famiglia, con la propria storia. Un tradimento.(fercamon@alice.it)



Sicurezza delle scuole pool di esperti udinesi



UDINE. L’agibilità delle scuole abruzzesi lesionate dal sisma sarà certificata dagli ingegneri dell’università di Udine. Martedì dal polo scientifico dei Rizzi partirà il primo gruppo di esperti coordinati dal professor Gaetano Russo che, come richiesto dal premier Berlusconi, verificherà la stabilità degli edifici scolastici.




L’idea: celebrare Tina Modotti con Madonna come sponsor



UDINE. Una grande progetto per rendere omaggio a Tina Modotti, fotografa udinese e artista di fama mondiale dello scorso secolo, grazie all’intervento diretto di uno sponsor d’eccezione come la popstar Madonna. A questo sta lavorando l’assessorato comunale alla cultura di Udine assieme al Comitato Tina Modotti. La città di Udine potrebbe così celebrare una delle sue “figlie” più celebri, approfittando anche della tappa friulana a luglio, con la sua tournée, della regina mondiale del pop, da sempre grandissima estimatrice della fotografa friulana. L’assessore alla cultura Luigi Reitani ieri ha confermato che il Comune sta cercando di realizzare questo importante progetto, attraverso anche un contatto diretto con la star americana che a luglio sarà a Udine.


TORVISCOSA

La Via Crucis si ferma davanti alla Caffaro



HINTERLAND

«Tangenziale per evitare la strada-killer»


LIGNANO

La stagione parte alla grande: già 30 mila turisti


UDINE

Auto in via Buttrio troppo veloci Scatta la protesta


CALCIO Negli stadi lutto e solidarietà all’Abruzzo

La serie A non si ferma, oggi tocca all’Udinese


Assalto pirata a nave italiana: 10 sequestrati

YEMEN

===

Proseguiamo con la prima pagina de Il Gazzettino, edizione Friuli

===

Dati del primo trimestre
Sedia, i numeri della crisi
"Cassa" per altre 50 aziende
Il caso di un ex operaio che ha tentato invano di avviare una propria attività

Manzano «Va sempre peggio». Stefano De Zotti sindacalista della Fillea-Cgil, dati alla mano, parla di una situazione «sempre più difficile» per il distretto industriale della sedia. Oltre 3500 dipendenti hanno perso il posto di lavoro dal 2000 a oggi; le imprese artigiane sono in calo (-2,37%) e nel periodo gennaio-febbraio 2009 hanno fatto ricorso all'Ebiart (Ente bilaterale artigianato) per un totale di oltre 500 addetti sospesi dal lavoro. Non va meglio alle piccole-medie imprese che negli ultimi sei mesi hanno fatto richiesta di cassa integrazione per un totale di mille dipendenti. «Il 90% delle pmi e delle imprese artigiane ricorre alla cassa integrazione, alcune imprese la chiedono per un certo periodo di tempo, altre solamente per alcuni lavoratori», spiega De Zotti. Tra gennaio e marzo 2009 tra richieste nuove e rinnovate ben 50 aziende stanno facendo ricorso alla Cigo e 15 aziende artigiane hanno chiuso i battenti, sommandosi alle 50 del 2008. «Se entro settembre non si sblocca la situazione – precisa De Zotti – altre aziende sono destinate a scomparire e per quelle che riusciranno sopravvivere si passerà dalla cassa integrazione ordinaria a quella straordinaria e alla mobilità». Inoltre le aziende che rinnovano la richiesta della Cigo sono obbligate a fare tre settimane di ripresa tra una cassa integrazione e l’altra, ma non tutte ce la fanno: in questi casi scattano i licenziamenti. La crisi della sedia si traduce anche in disagio sociale: chi rimane senza lavoro non riesce a trovare un altro impiego all’interno del comparto. Un caso emblematico fra tanti è quello di A.S., 53 anni, di Pavia di Udine, dipendente della segheria Garzitto, che sta passando dalla cassa integrazione alla mobilità e ha tentato di trovare un’altra collocazione; l’idea era di aprire un locale di pizza al taglio a Udine, ma le banche gli hanno negato il finanziamento nonostante l’Inps conceda l’erogazione della mobilità in un’unica soluzione ai dipendenti che cerchino di avviare un’attività in proprio. L’uomo, con tre figli a carico e una moglie malata, è in odore di sfratto dall’alloggio Ater in cui vive. «È un uomo senza prospettive che si troverà in mezzo alla strada - commenta De Zotti – e tanti altri come lui. Diversi lavoratori del distretto sono andati a cercare lavoro a Lignano come lavapiatti, ma la risposta è sempre la stessa: si assumono solo persone giovani. Il problema sociale della crisi è grave, non c’è più tempo per le chiacchiere, servono risposte immediate e tangibili». Lisa Zancaner


Nuova batosta contro l’Air Avellino
Snaidero sconfitta e rassegnata

Udine Ci hanno provato anche i clown dell’Onlus "Friulclaun" con il loro motto "viviamo positivo" a riportare il sorriso alla Snaidero. In verità un sorriso questi volontari della gioia l’hanno provocato, al "Carnera", ma prima della partita, con la loro iniziativa promozionale. Poi, quando in campo sono entrati i giocatori per la palla a due, il tifoso della Snaidero ha tolto il naso rosso del buonumore e ha bevuto il calice amaro della sua squadra che lentamente, minuto dopo minuto, scivolava nella sua pochezza. All’inizio è il cuore italiano della Snaidero, Antonutti e Di Giuliomaria a far capire ad Avellino che gli arancione non sono vittime sacrificali, anche se stanno salutando la serie A partita dopo partita. Allen fa la doppia regia: dal campo e pensando alla panchina, ma gli irpini hanno come emblema il lupo e azzannano con semplicità e pazienza.


NOI E L’ABRUZZO
Il Friuli ha dimenticato la "lezione"del terremoto
di Francesca Gregoricchio

Un altro terremoto e tutto ritorna alla mente ed al cuore. Il tepore di quella sera di maggio 1976 con la luna immensa che rischiarava il cielo come a giorno. Il boato, il mondo che si squassa, la realtà che si deforma e gli attimi di innaturale, assoluto silenzio dopo la follia di quegli interminabili secondi. Poi le urla, i richiami e le corse verso casa, la famiglia, riunirsi, contarsi, aiutarsi. Frettolosi accampamenti nei giardini, nei parchi, nelle piazze, nelle aiuole spartitraffico. Le prime notizie: Gemona, Venzone, Artegna, Osoppo, Tarcento, Cividale, il Canal del Ferro... Morti, tanti morti. Niente sarà più come prima. Si va, solo con le mani ed i fazzoletti. Gli occhi sgomenti con le ciglia appesantite dalla polvere che si impasta con le lacrime. I corpi avvolti nelle coperte militari della caserma di Venzone, adagiati accanto ai ruderi delle case. Scavare e scavare nel silenzio spettrale e teso, cercando segni di vita. Il caldo soffocante impregnato degli odori della morte e della distruzione. Resti di uomini e donne, raccolti in un grande lenzuolo. Un ragazzo squassato dal pianto, il corpo di un neonato fra le braccia. Il pavimento della palestra della scuola di Maiano coperto di corpi ed ancora corpi, avvolti nelle lenzuola bianche, l’odore della morte e della paura di trovare fra questi un parente, un amico dispersi. Difficile dimenticare. Niente è stato più come prima. Oggi pochi ne parlano ancora di quelle prime ore, di quei primi giorni, quasi che gli avvenimenti successivi, la volontà di non abbandonare i propri territori, la tenacia nel cominciare a ricostruire subito non solo le case ma soprattutto l’organizzazione sociale, vanificati dal forzato esodo dopo le scosse di settembre, abbiano steso un pietoso velo sull’orrore iniziale. (continua a pagina II)


Il presule ha paragonato la crisi attuale al sisma e ha lanciato un appello alle istituzioni
Brollo agli operai: sono con voi
L’arcivescovo ha passato la vigilia di Pasqua nei presìdi dei dipendenti Safilo

Udine «I soldi sono soldi ed è brutto quando comandano perché non guardano in faccia nessuno. Non ho soluzioni, purtroppo, per risolvere il vostro grave problema, ma vi porto la mia solidarietà, dal profondo del cuore». Così l’arcivescovo di Udine, monsignor Pietro Brollo, si è rivolto ieri agli operai e alle operaie Safilo. Nella vigilia di Pasqua, il prelato ha raggiunto dapprima il presidio di Martignacco, alle 9.30 (dove si è trattenuto fino alle 10 parlando con le maestranze), e quindi il sit-in di Precenicco, a metà pomeriggio. Brollo ha ricordato gli anni in cui il settore dell’occhialeria era florido, nel Cadore. «Erano momenti in cui era questo settore produttivo era molto forte tanto è vero che si è espanso parecchio. Quando è cominciata la crisi stavo trascorrendo gli ultimi anni da vescovo a Belluno e molte piccole aziende furono costrette a chiudere. Safilo, tuttavia, teneva bene e dava speranza a molti lavoratori dipendenti. Sentivo da vicino la situazione delle maestranze. Adesso, a Udine, la brutta notizia della possibilità che centinaia di operai perdano il loro posto». Per l’arcivescovo, quella che si sconta ora è una situazione di difficoltà che deriva da uno squilibrio mondiale «per cui non ci siamo mai impegnati abbastanza a cercare una soluzione». «Ciò che mi fa più soffrire, il problema vero, è quello della disoccupazione: ci sono tante persone che anche nella Chiesa locale vengono a cercare aiuto, un consiglio: sono senza lavoro e chiedono e c’è possibilità di occupazione da qualche parte. Tanti di loro sono genitori. Sono condizioni veramente tremende».


TERREMOTO
Tremila in piazza per lo spettacolo solidale

Tremila in piazza San Giacomo ieri pomeriggio per assistere allo spettacolo organizzato dal Rotaract, in aiuto dell’Abruzzo. Nelle quattro ore di show (nella foto sopra un momento dello spettacolo) sono stati raccolti oltre cinquemila euro, ma le sottoscrizioni potranno continuare sul conto corrente. Intanto, a Palmanova ieri pomeriggio sono rientrati dall’Abruzzo i primi volontari della Protezione civile regionale inviati in soccorso alle popolazioni terremotate.


Prezzi ribassati anche nei negozi Tiepolo in mostra hotel con lo sconto

Udine Hotel scontati per i turisti che verranno a Udine in occasione delle Giornate del Tiepolo. Se i negozianti offriranno una settimana di shopping a prezzo ribassato, gli albergatori promuoveranno dei "pacchetti" con sconti consistenti, fino al 40%. A dirlo è il presidente del consorzio Friulaberghi, Ennio Silvano Favetta (che è anche vicepresidente udinese di Confcommercio per il settore turismo). «Visto che il Comune ci ha dato l’opportunità di collaborare per la realizzazione di questo evento, ci siamo impegnati al massimo. Hanno accettato praticamente tutti gli alberghi: nel periodo dal 29 maggio al 6 giugno, in coincidenza con le Giornate del Tiepolo, proporremo dei pacchetti turistici con sconti fino al 30-40%, anche se c’è la Pentecoste di mezzo. Perché dobbiamo aprire le porte della città ai nostri "cugini" austriaci. Chissà che non sia la volta buona per recuperare questi visitatori che negli ultimi anni si sono visti un po’ meno».


LA CJACARADE
Tende dell’Aquila e cancelli della Safilo la Pasqua 2009 ha più che mai bisogno di speranza

di Andrea Valcic Era Pasqua anche quella domenica del 1998, all’ora di pranzo quando i pochi rimasti a Udine tornarono a provare quel sottile senso di paura per una scossa di terremoto. Poi, certo, in alcune zone qualche allarme c’è stato ancora, ma avvertito in maniera quasi distratta, a conferma di quanto venne scritto dopo il ’76: il Friuli deve imparare a convivere con il terremoto. La tragedia dell’Abruzzo ci ha catapultato con inaspettata forza indietro nel tempo. Le immagini della televisione ci hanno restituito le emozioni provate allora: l’angoscia dello scavare tra le macerie, i funerali collettivi, l’interrogativo: Cosa sarà di noi adesso? Non credo si possa essere accusati di egoismo, di mancanza di sensibilità nel riconoscere che almeno per un attimo, ognuno di noi ha scordato l’Abruzzo e ha pensato che tutto potrebbe accadere di nuovo anche qui. Credo che questo pensiero abbia sfiorato soprattutto gli udinesi, gli abitanti della città che pur avendo vissuto la paura delle scosse, i disagi delle prime notti passate in auto, in roulotte o a casa di parenti fuori regione, hanno potuto riprendere presto una vita normale, le loro attività in un complesso urbano solo sfiorato dalla distruzione. Ho immaginato insomma cosa sarebbe questa Pasqua se invece dell’Aquila fosse toccato a Udine. Una pura speculazione di fantasia, ma che non vuole andarsene, quasi un monito sulle certezze della vita. Le stesse che invece sono necessarie sui criteri antisimici delle costruzioni nelle zone a rischio tellurico. Su questo rispetto delle regole si gioca anche il futuro dell’Abruzzo. Oltre alle sottoscrizioni, alla professionalità e bravura ancora una volta dimostrata dai volontari della nostra Protezione Civile, va evidenziata una notizia che non ha ricevuto adeguata sottolineatura. Riguarda la disponibilità degli ex sindaci friulani del terremoto a mettere la loro esperienza nella ricostruzione al servizio dei colleghi abruzzesi. Non un atto di sfiducia o superiorità, ma una dimostrazione di serietà e senso civico. Più che mai dunque quella di oggi vuol essere una Pasqua di Resurrezione non solo per i credenti, ma per tutte quelle situazioni, quelle famiglie che si trovano a dover affrontare un momento duro, difficile della loro esistenza. Nelle tende d’Abruzzo o davanti ai cancelli della Safilo sia un giorno di speranza, nella convinzione che questa si avvera con l’impegno di tutti.

LIGNANO SABBIADORO
Critiche per i costi della pulizia dell’arenile

TREPPO GRANDE
Emigrata in Argentina benefattrice dopo la morte

FIUMICELLO
Dean rompe con il Pd e si ricandida da solo

===

Infine la prima pagina de Il Piccolo

===

I LUOGHI SIMBOLO DI TRIESTE
Il mito asburgico resiste nella stazione di Montebello
Nessuno ha tolto le tabelle in tedesco Presto la struttura diventerà un hotel


ANCORA SCOSSE E TERRORE ALL’AQUILA E DINTORNI
Il pm: «Arresteremo i responsabili dei crolli»
Sono 293 i morti, stop alle ricerche. Il governo: il 5 per mille alle popolazioni colpite

L’AQUILA La terra non smette di tremare in Abruzzo. Nuove scosse e ancora tanta paura tra le popolazioni colpite. Intanto la procura indaga sui crolli e annuncia: «Siamo pronti a mettere sotto sequestro le macerie e ad arrestare i colpevoli». I morti sono 293 e si è esaurita la lista dei dispersi: non si scava più per cercare cadaveri. Il governo si muove e il ministro Tremonti annuncia: «Nelle prossime dichiarazioni dei redditi si potrà destinare il 5 per mille ai terremotati».


IL PAESE DELLE POLEMICHE
DAL TERREMOTO SI PUÒ IMPARARE di FERDINANDO CAMON

Terremoto, è il momento delle accuse e delle polemiche. Si discute in particolare sulla qualità dei materiali usati nelle costruzioni. Ma si vede già come va a finire, nascono continue contestazioni fra gli esperti, a chi osserva che il rapporto sabbia-cemento è nei limiti della norma c'è chi obietta che però la sabbia non è sabbia di cava ma di mare, la sabbia di mare contiene salnitro, il salnitro mangia il ferro, il cemento senza ferro non è più cemento armato. Non sarà facile arrivare ad una conclusione univoca. E purtroppo ormai i morti sono morti. I controlli, come li intende la legge, sono a posteriori, sull'opera eseguita. Per servire a qualcosa dovrebbero essere eseguiti in contemporanea, quando le opere partono e procedono e sono in corso. Non controlli dunque, ma sorveglianza. E' questa che manca in Italia.C'è perfino un ingegnere che preme il pollice sul cemento di un lastrone, e sentenzia: «Il pollice entra, questo non è cemento, è pasta». Ma non si poteva vedere che era pasta quando la impastavano le betoniere?Sulla costruzione dell'ospedale (che doveva restare intatto e invece ha seppellito 4 dei suoi piccoli ricoverati), si può fare un ragionamento che spiega perché abbiamo con una certa frequenza catastrofi come questa, perché si afferma sempre che dei responsabili ci sono ma non si trovano mai. La costruzione è durata trent'anni, in trent'anni l'assegnatario della commessa è cambiato più volte, gli stanziamenti sono stati erogati ripetutamente e alla fine l'opera è costata quel che doveva costare all'inizio moltiplicato per nove. Qui non c'è un problema di controllo o certificazione mancanti a lavoro finito, c'è un problema di controllo mancato per trent'anni. E non sono due cose diverse, sono la stessa cosa. Se lo Stato non riesce a supervisionare l'erogazione dei fondi, a scaglionarli lungo il corso dei lavori, perde il controllo di tutta l'opera dalla fase della commessa all'esecuzione al risultato finale.Le tre centinaia di morti che questo terremoto costa all'Italia non sono il risultato di un atto finale, un errato o infedele o mancato controllo conclusivo, ma di decenni di mancati controlli. In questi decenni si sono ruotati in Italia governi di tutti i colori politici. Prima la Democrazia cristiana, poi il centrodestra e il centrosinistra alternati. Qui non è questione di destra o di sinistra. E' questione di come si fanno i lavori pubblici in Italia.
Lo Stato dovrebbe avere imparato a sue spese che i lavori pubblici hanno bisogno di un controllo costante in ogni fase. Anzi, non solo non va bene che il controllo avvenga a lavoro finito, ma non basta nemmeno che avvenga a lavoro in corso: ci dovrebb'essere anche una prevenzione di queste catastrofi, che cerchi di evitarle prima ancora che s'intravedano. Se tra le imprese che hanno costruito i palazzi pubblici crollati a L'Aquila, ce ne fossero alcune che si sono candidate per la costruzione di altre opere (per esempio, il Ponte sullo Stretto), non sarebbe opportuno sospenderle dalla lista, in attesa di verifiche finali? Questa sarebbe la prevenzione. Le gravi malattie si combattono meglio con la prevenzione che con la terapia. Meglio non ammalarsi che ammalarsi e curarsi. Intanto sul fronte degli sciacalli hanno fatto la loro comparsa gli stranieri. Una badante romena e quattro suoi connazionali sono entrati nella casa di un anziano, che era scappato, e han rubato oro e banconote. Poi sono stati processati per direttissima senza che sia stato possibile dimostrare la loro colpevolezza. Ma l’esempio regge lo stesso: va bene, questi sono gli sciacalli classici, ladri che rubano nei terremoti, nei bombardamenti, nelle inondazioni. Somigliano a quelli che rubano negli armadietti dei ricoverati in ospedale. Ma c'è un'altra forma di sciacalli, paralegale. Sono i mercanti che nei luoghi del disastro alzano i prezzi. Loro applicano la legge del mercato: se un prodotto scarseggia, se l'acquirente ne ha proprio bisogno, il prezzo sale. E così la benzina intorno a L'Aquila veniva venduta a 5 euro al litro. Fermare questi sciacalli-legali è più difficile: sono figli della borghesia, l'affare vien prima dell'amicizia, nella borghesia imperante si mimetizzano. Ma sono sciacalli.Infine, l'esodo, andare via, rifarsi la casa da un'altra parte. Ha un senso. Ma l'altra parte non può essere nelle vicinanze, l'idea di fare L'Aquila 2, che starebbe a L'Aquila come Milano 2 sta a Milano, è un compromesso, non una salvezza. Nelle vicinanze il rischio di un altro terremoto resta uguale. Meglio un trasferimento lontano, un'emigrazione. Non è facile restare in un'area di terremoti, dove sai che ogni generazione pagherà un tributo di vittime: tu avrai qualche morto nella tua famiglia, i tuoi figli nella loro, e i tuoi nipoti nella loro. Non è facile restare. Eppure la gente vuole restare. Come mai? Per capirlo, dobbiamo ricordarci le immagini dei serbi in fuga dalla Bosnia e dal Kosovo durante la guerra civile: scappavano portando sul carretto tutti i beni che non volevano perdere, e tra questi c'eran le bare dei loro morti: le avevano dissotterrate dai cimiteri. L'esodo non è una rottura con una terra o un ambiente. È una rottura con la propria famiglia, con la propria storia. Un tradimento.Ferdinando Camonfercamon@alice.it


TOTOCANDIDATURE A DUE SETTIMANE DALLA CHIUSURA DELLE LISTE
Europee, Pdl e Pd scommettono sui big
Dopo il ”no” di Dipiazza spunta Feltri. A sinistra Vittorio Prodi e Zanonato

TRIESTE Il passo indietro di Roberto Dipiazza. L’insistenza di Roberto Menia e Ferruccio Saro perché tocchi invece al sindaco di Trieste. E adesso anche le voci su Vittorio Feltri paracadutato nella circoscrizione nordestina. Dall’altra parte, a centrosinistra, l’ipotesi Flavio Zanonato capolista e la scommessa Debora Serracchiani, la solidità di Vittorio Prodi, fratello di Romano. Liste entro il 29 aprile.


NEL GOLFO DI ADEN
Nave assaltata dai pirati: dieci italiani a bordo

NAIROBI Un rimorchiatore battente bandiera italiana è stato sequestrato ieri mattina nel golfo di Aden: a bordo sedici membri dell'equipaggio, dieci dei quali italiani. La notizia, diffusa in un primo momento da fonti locali, è stata confermata dalla Farnesina, che ha specificato che sulla vicenda è stato avviato un coordinamento interministeriale ed internazionale. Intanto la fregata Maestrale della Marina militare italiana si sta dirigendo a tutta velocità verso il luogo del sequestro, circa 70 miglia a Sud Est di Aden. La Maestrale partecipa alla missione Atalanta, la prima a guida comunitaria contro la pirateria nelle acque somale, dove però dopo un paio di mesi di relativa calma la situazione appare sempre più esplosiva. Il sequestro è avvenuto intorno alle 11 locali (le dieci in Italia), quando il comandante della nave ha lanciato l'allarme, dichiarando di essere stato attaccato. Il rimorchiatore si chiama «Buccaneer», è di proprietà della Micoperi di Ravenna, il cui titolare, Claudio Bartolotti, ha precisato che la nave - di 75 metri - stava portando due bettoline da Singapore verso Suez. Noti alle autorità i nomi degli italiani sequestrati: per ora, però, ne è stata diffusa solo la provenienza (Torre del Greco, Ortona, Bari, Latina, Trapani e Teramo). Sarebbero comunque tutti in buone condizioni, stando a quanto ha dichiarato a Nairobi Andrew Mwangura, responsabile del programma di assistenza marittima per l'Africa Orientale. Oltre ai dieci connazionali, l'equipaggio è composto da un croato e cinque romeni. La situazione è ancora confusa, ma Bartolotti - facendo intendere di avere contatti con fonti locali - ha riferito di aver avuto «notizie rassicuranti, nel senso che la vicenda si potrebbe risolvere. Anche se - ha aggiunto - non conosco l'evoluzione della situazione». In serata la Farnesina ha fatto sapere anche di essere in contatto - tramite un rappresentante dell'armatore dell'imbarcazione - con i familiari dei membri dell'equipaggio e ha annunciato che manterrà sulla vicenda «il massimo riserbo» per facilitare la soluzione del caso. Continua intanto l'odissea del capitano Richard Phillips, americano. È a bordo di un canotto di salvataggio della Maersk Alabama, nave danese battente bandiera Usa attaccata mercoledì scorso circa 450 km al largo di Mogadiscio. L'equipaggio, 20 persone, tutte americane, era riuscito a reimpadronirsi del vascello, ma non ad evitare che un manipolo di pirati, quattro, riuscisse a fuggire col capitano. Da allora si tratta, mentre sul canotto incombono vascelli da guerra americani. Ieri pomeriggio i pirati avevano tentato una carta molto rischiosa, inviando sul posto una nave tedesca sequestrata, con a bordo l'equipaggio, che avrebbe dovuto fare da scudo, imbarcare il prigioniero e far rotta verso terra. Ma per il Pentagono la possibilità di un americano ostaggio in Somalia, magari nelle mani di terroristi islamici, non è accettabile: si rischiava un serio conflitto. E qualcuno - stando a fonti di intelligence concordi di Nairobi - deve averlo fatto capire. La nave pirata è così rientrata con la motivazione ufficiale di non aver trovato il canotto: improbabile, non solo si sa dove è, ma intorno vi pullulano navi da guerra della quinta flotta Usa. Intanto è stata liberata nella notte una nave norvegese sequestrata a fine marzo: 2,4 milioni di dollari il riscatto.


ITALIANI E SLOVENI
LE DIVISIONI INESISTENTI di ROBERTO MORELLI

È più vera la Trieste che si assiepa alla Stazione marittima per ascoltare un confronto d'alto livello tra due autorevoli rappresentanti degli esuli e della minoranza slovena, interpellati dai direttori del Piccolo e del Primorski Dnevnik; o quella dipinta dal ministro degli sloveni all'estero?


Benzinai senza clienti, affari a picco
Finita l’agevolata, gli automobilisti vanno in Slovenia. Cinquanta licenziati in due anni

TRIESTE «Dopo la fine della benzina agevolata siamo un comparto in ginocchio. Abbiamo famiglia, ma non riusciamo più a lavorare. Nel giro di due anni sono stati licenziati circa 50 benzinai dalle 36 stazioni di servizio della provincia.Solo nel 2008 abbiamo registrato un crollo degli introiti di 80 milioni di euro e nei primi tre mesi di quest’anno siamo scesi ulteriormente del 20-25 per cento».Roberto Ambrosetti, presidente della Figisc (Federazione italiana gestori impianti stradali carburante), snocciola le cifre di un mondo in affanno, strangolato da una competizione impari con la vicina Slovenia e da una crisi economica che non guarda più in faccia a nessuno.


Riccardo Muti: «Torno a Sarajevo dove la musica unisce i popoli» di PAOLO RUMIZ

«Molim, pasport». All’aeroporto anche a Riccardo Muti chiedono i documenti. Un poliziotto lungo e amaro, senza un sorriso, prototipo Balcani. Messaggio: controlli tosti, altrimenti come facciamo a entrare in Europa. Un inconfessato desiderio di Schengen. Comincia così, in quello che fu il “maybe airport” (gli aerei in guerra partivano sempre ”forse”) il blitz sarajevese di uno dei massimi direttori d’orchestra del mondo. Motivo: annunciare che il Ravenna Festival, cuore dell’estate musicale italiana, celebrerà in data 13 luglio il suo ventennale in Bosnia, con un grande concerto in mondovisione. Nel menu: Brahms, Beethoven e Verdi, con al centro “l’Eroica”, la stessa che l’orchestra e il coro della Scala suonarono nel ’97, prima memorabile trasferta del Maestro nei Balcani.Questi gli appunti del viaggio compiuto due giorni fa per “Repubblica”, insieme a questa straordinaria ambasceria musicale. Oltre il “gate”, con Alessandro Fallavolita, uno degli ambasciatori italiani più simpatici in circolazione (moglie turca, capelli ricci da liceale, niente puzza sotto il naso), c’è il generale Jovan Divjak, eroe di guerra, serbo che ha combattuto per Sarajevo. Zazzera e occhiali scuri, a 72 anni è ancora un ragazzo. Cristina Muti lo abbraccia: lo ha già incontrato duo mesi fa, dopo aver letto il libro “Sarajevo mon amour”, e racconta che una sera, dopo una buona cena e qualche rakija, lui l’ha trascinata in un valzer sotto la neve, in mezzo alle strade deserte della città. «Come sono stata bene!» esclama, e già la missione ufficiale diventa fuga in uno spazio franco.Sarajevo? In pochi posti la forza della musica è più trasparente. I cecchini sparavano colpi, la città rispondeva sparando note. Fra il ’92 e il ’95 i teatri non furono mai chiusi, le sfilate delle miss continuarono anche sotto le bombe. Grazie alla musica in posti come Strumica in Macedonia - terra di contadini e grandissimi suonatori di fiati - turchi, bulgari, serbi, rom e albanesi continuano imperterriti a convivere. La sera, deposta la zappa, invece del kalashinikov afferrano trombe, tamburi e clarinetti, e tutta la città si riempie del ritmo sghembo e martellante di motivi alla Bregovic e Kusturica.Lo schema è chiaro. Qui la musica unisce e le religioni dividono. E pure qui il riscontro è acustico. Per capire basta il viaggio verso il centro. Il canto discreto del muezzin è finito. Trionfano nuove moschee dai minareti acuti come missili – estranei alla tradizione dei Balcani – che lanciano ovunque, in un crescendo di decibel, un messaggio registrato identico a quello di Ryad o Islamabad. Il banale avanza. S’attenua la pluralità delle voci. Cade il fair play con le campane cattoliche e il basso continuo degli archimandriti in quelle ortodosse. Agli sgoccioli la stagione degli ebrei, cuore dell’anima sarajevese, ridotti a borbottare le preghiere del Pesach (la pasqua ebraica) in quattro gatti.Il conflitto non ha premiato nessuno, tranne le religioni. Nella miseria generale, mi dice all’orecchio il generale Divjak, «quella è l’unica industria che funziona». Il silenzio sommesso, le penombre del sacro, gli Dei del luogo sono in ritirata, sembrano essersi dati alla macchia. Quelli nuovi urlano, coprono col frastuono il nulla che sta dietro. Un male mondiale, brontola Muti, e sbeffeggia i canti con chitarra in chiesa, intona con voce volutamente nasale: “E tua sorella che viene con meee… E tuo fratello che viene con meee”.Conferenza stampa, parata di nomenklatura con visi di circostanza. Non c’è più l’ardore degli anni di guerra. Folla di giornalisti e fotografi. L’evento è attesissimo, la città ama gli italiani e ama la musica. Muti insiste. «Nel ’97 quando siamo venuti qui la prima volta abbiamo sentito immediatamente la potenza del messaggio unificante dell’armonia». Ma il bello viene dopo, quando si esce in quell’infinito liston che è la città vecchia. Un mare di giovani, e le ragazze che sculettano di più sono quelle velate. Stangone tirate come leopardi. Cristina è incantata da tanta bellezza. Belli, le dico, ma anche disoccupati. Con meno speranza dei nostri. Anche per questo i caffè sono strapieni in giorno di lavoro.Il Maestro è incontenibile. Ero partito col timore di avere accanto un antipatico, invece è un ragazzo cresciuto carico di gioia. L’armonia? Parla da sola, non richiede intermediari, o occhialuti intenditori, «che generalmente sono pallidi, magri», e terrorizzano la povera gente che vuol godersi in pace un concerto. Brontola: «Non è possibile… oggi uno che esprime semplicemente se stesso è considerato un qualunquista. Guai se non dichiari un’appartenenza a questa o a quella parrocchia». L’Italia non è poi così diverso da questa Bosnia divisa in cantoni dalla pace di Dayton. Con la sola differenza che da noi per ora non ci si spara.I quartieri di Vratnik e Kovaci, stradine con selciati in salita. Il cimitero dei Caduti aperto come un giardino, tra le case, botteghe di ciabattini, panettieri, forni per tostare il caffè. Tutto come una volta, ma subito sopra il bazar di Bascarsija le ruspe spianano il terreno per un mega-centro di cultura islamica che non interessa a nessuno tranne ai politici. «Qui l’armonia non c’è » lamenta una donna bionda dopo aver sentito le parole del magister. Lui: «Cara signora, la mancanza d’armonia è un problema mondiale, lottiamo ogni giorno per ricrearla. Le dico di più, se ci fosse stabilmente e ovunque, non avremmo motivo di esistere».Tiro fuori dal sacco la storia della più bella haggadah del mondo – la haggadah è il libro illustrato sull’esodo degli ebrei dall’Egitto che viene letto in famiglia ogni pasqua – un testo trecentesco approdato a Sarajevo dopo esser partito dalla Spagna e aver viaggiato a lungo in Italia. Un simbolo sfolgorante dei tempi andati: fu un musulmano - il dervisco Korkut – a nascondere a rischio della vita il libro degli israeliti dalle razzie dei nazisti e a riconsegnarlo al museo della città a guerra finita. Senza dire che furono ancora i musulmani a proteggerlo dalle bombe serbe tra il ’92 e il ’95, tempo in cui in città le due religioni fecero causa come ai tempi dell’impero ottomano e della grande stagione araba dell’Andalusia.Passeggiata fino alla biblioteca in restauro. Il tetto non c’è, spade di luce piovono dall’alto tra gli archi moreschi. Si narra che l’architetto cui gli Asburgo avevano commissionato il lavoro (allora era il municipio) si sia sparato alla testa perché l’interno non aveva, a suo dire, abbastanza luce. Ma non importa, qui è la musica che trionfa. Qui tra le macerie vennero Zubin Mehta con un’intera orchestra, in piena guerra. E poi Luciano Pavarotti, Joan Baez, Bono degli U2. E ancora la mitica balalajka di Enrico Ruggeri e il violoncello magico di Vedran Smajlovic. Un altro formidabile epicentro acustico. In molte cose Sarajevo resta sismografo ipersensibile, un archivio dei suoni più memorabili del XX secolo, dalla pistolettata di Gavrilo Princip contro Francesco Ferdinando al colpo secco del cecchino nell’ultima guerra balcanica. In mezzo a quelle montagne sembrano conservare un’eco più durevole, come fossero sempre presenti, qui e ora. Sarajevo è una cassa di risonanza, e fu certamente questo che Muti intese nel memorabile concerto di dodici anni fa, quando le note dell’Eroica furono sentite su tutte le montagne intorno.Ancora Muti, allegro con brio. La musica non è comprensione! E’ «rapimento», e sottolinea la “erre” alzando la mano per impugnare un’invisibile bacchetta. Non fa distinzione di partiti e fedi. Persino gli animali la capiscono. Come una sera a El Djem, in Tunisia, in una trasferta “d’amicizia” del festival ravennate: «Uno sciacallo si mise a ululare in una brevissima pausa del Requiem di Verdi. Attesi che smettesse, e lui niente. Aspettai mezzo minuto, niente. Allora feci segno di attaccare l’Offertorio. Ebbene, appena l’orchestra cominciò con le note basse, l’animale smise. Poi capii. Aveva pianto perché voleva che la musica continuasse. Per dirla con Dante, era stato preso per incantamento».Sosta all’aperto in piena Bascarsija da “Hodzic”, locale che è il cuore olfattivo dei Balcani. C’è tra breve il pranzo ufficiale dal sindaco, ma che importa, Sarajevo è Sarajevo e tutti – ambasciatore e rappresentante ministeriale compresi - ordinano cevapcici. Racconto che quarant’anni fa, in un kibbutz israeliano, un amico di nome Antonio Mallardi, allievo di Pablo Casals, la sera suonava il violoncello sulla porta della sua casetta aperta sul deserto. Appena cominciava, gli sciacalli arrivavano, si acquattavano a pochi metri dal cottage e attaccavano col loro grido lungo. Quando lo strumento passava alle note stridule, impazzivano, sembrava quasi che volessero entrare in casa. Quando invece scendeva sulle note basse, si calmavano uggiolando di nostalgia.Qualcuno stringe la mano al Maestro, i più passano con discrezione, ed è già orientale questa aureola invisibile che rende l’individuo protetto da un involucro di discrezione. Muti addenta il pane con i “piccoli kebab”, si diverte come uno scolaro in gita, sente profumo d’Oriente. Ma il discorso torna inevitabilmente alla musica. Bosnia o Italia non fa differenza, il messaggio è universale. Come nella natìa Molfetta in Puglia, quando inizia la processione del Venerdì santo. «L’ho vista tante volte tra la folla, spostandomi da un punto all’altro, per godermi il momento in cui corni, tube e piatti invadono la strada», ed esplode il motivo del “concia seggiole”, potente e geniale, nato da un’elaborazione sacra del grido del seggiolaio.Tuona, gigioneggia, passa al dialetto pugliese, racconta dei tirannici priori, della congrega di “Santo Stefano” che da secoli porta il Cristo morto, di quella della “Morte col sacco nero”, un plotone incappucciati col bastone col teschio in cima, che va in processione con la Pietà. Ora il tema è l’Italia, il terremoto in Abruzzo, che è anch’esso una specie di dopoguerra. La distruzione di un patrimonio storico ridotto in briciole non solo dal sisma ma anche dall’incuria e dalla mancanza di memoria. Il disastro di un Paese che non ride e non canta più.Alle 4 si riparte, la coppia s’è riempita di souvenir, nuovi controlli aeroportuali. In tutti, una gran voglia di tornare. Salvo Nastasi, impagabile factotum del ministero dei beni culturali, è ancora commosso dai cevapcici e devo consolarlo con strazianti storie balcaniche piene di guzle e amori infelici. Luce dorata, il Maestro è contento, ha assaporato l’Oriente, e l’indomani tornerà a Molfetta per l’ineludibile processione e le campane pasquali della mezzanotte. Poi, il lunedì, New York. Ma intanto, mentre il piccolo jet sorvola l’isola di Curzola, c’è ancora tempo per una storia.«Quando nel luglio del ’97 ripartimmo a notte fonda da quest’aeroporto a concerto finito, mi ritrovai con tutta l’orchestra, i coristi e gli strumento, a un ingresso sbagliato. Lontano, oltre i campi minati e lo sbarramento delle truppe francesi, le luci del “gate” giusto. Dissi perentoriamente: chi vuole mi segua. E partii col mio reggimento musicale in mezzo al buio, per sbucare davanti ai soldati che avevano l’ordine di sparare a vista. Quando il sergente mi riconobbe, e vide dietro di me tutta quella gente, sorrise, aprì la sbarra e disse: potete passare monsieur le commandant! Commandant! Nessuno mi aveva chiamato così. Ne sono ancora fiero».


Prender casa al ”Tergesteo” Attico? Un milione 134mila euro di LAURA TONERO

Gli appartamenti che il gruppo americano Carlyle estate ha cominciato a realizzare nello storico palazzo del Tergesteo vengono venduti a un prezzo al metro quadrato che oscilla tra i 4300 e i 4700 euro. E si tratta ancora di una fase definita promozionale, perché quando il 25 per cento della superficie sarà stato venduto, il costo salità a ben 5000 euro al metro. Attualmente per diventare proprietari di un pied-à-terre da 36 metri quadrati bisogna sborsare 170 mila euro, ma se si punta al super-attico su due piani, da 170 e 69 metri quadrati (la proposta più prestigiosa), occorre la bella cifra di un milione e 134 mila euro. Le soluzioni abitative però sono molte, ben 67. Tre agenzie immobiliari sono al lavoro. E anche gli operai: il cantiere si è aperto sulla parte che si affaccia su piazza Verdi e il completamento dell’intero restauro è previsto per i primi mesi del 2011 (le chiavi di qualche appartamento, dice la Carlyle, «potrebbero essere consegnate però già a Natale del prossimo anno»).E ci sono acquirenti? E chi sono? Si stanno facendo avanti. Sono in gran parte triestini, ma vengono anche dal Veneto e dalla Slovenia. «A oggi è stato venduto oltre il 20% degli alloggi» conferma l’agenzia immobiliare che ha i suoi uffici proprio nella galleria del Tergesteo.I prezzi, su cui la Carlyle ha mantenuto il riserbo fino all’ultimo, anche nel corso delle numerose presentazioni alla città del megaprogetto, sono stati imposti dalla proprietà americana e le agenzie si limitano alla loro funzione di mediatrici. L’acquirente deve versare il 20% dell’importo alla firma del contratto preliminare e il restante 80% lo darà al momento della consegna.Quattro i piani destinati a residenze. L'ultimo è riservato alle mansarde. Anche quelle prestigiose. Alcuni esempi: un appartamento di 83 metri quadrati al quarto e ultimo piano, in parte mansardato con l'altezza massima di 3,43 metri e minima di 1,88, è in vendita a 390 mila euro. Chi vi abiterà avrà a disposizione un soggiorno, una cucina, un bagno e una camera da letto. Qualcuno si sta interessando anche ai monolocali che misurano da 36 a 57 metri quadrati. Stanza, bagno e disimpegno venduti rispettivamente a 170 mila e 240 mila euro. Non è escluso che l’intenzione sia quella di affittare in seguito lo spazio, anche a uffici, vista la prestigiosa sede, e che si faccia dunque conto su un futuro introito prevedibilmente di una certa consistenza.Dal progetto si vede che molte abitazioni con una metratura ridotta sono collocate al primo piano, con le finestre che si affacciano direttamente sulla galleria del Tergesteo. Quella stessa galleria ottocentesca il cui il progetto di riqualificazione è affidato nella direzione dei lavori a Giovanni Cervesi, e alla Rizzani de Eccher per l’esecuzione. Come si sa, la copertura verrà riportata al disegno e ai materiali originali, togliendo il vetrocemento che ora tra l’altro la rende meno luminosa.Chi si reca in una delle agenzie per ottenere informazioni può per ora visionare piantine e progetto. Gli vengono messe sotto gli occhi tutte le soluzioni che verranno ospitate all'interno del palazzo, come la planimetria dell'appartamento da 87 metri quadrati, o da 134, o ancora di quello a due piani da 173 metri quadrati (da 780 mila euro). Un «book» sciorina le varie abitazioni l’una dietro l'altra e in allegato propone anche la fotografia della vista godibile dall'una o dall'altra finestra. Infine i papabili residenti del palazzo ricevono in omaggio una elegante «brochure» intitolata «Palazzo Tergesteo: il neoclassico triestino torna a risplendere»: carta patinata, un'immagine che ritrae la galleria popolata da uomini con il cilindro sul capo e dame con cappelli e mantelli intorno al 1850. Il volantino si propone anche in lingua inglese, specificando quanto il palazzo tra piazza Verdi e piazza della Borsa disti rispettivamente da Vienna, Zagabria, Lubiana e Venezia. E spiegando come raggiungere Trieste attraverso l'autostrada o atterrando a Ronchi dei Legionari. Un segnale che evidentemente gli acquirenti si stanno cercando anche fuori dal perimetro regionale.


SERIE A IN CAMPO. PARI DELL’INTER, PERDE LA JUVE
Dagli spalti un grido: «Forza Abruzzo»

Uno degli striscioni apparsi negli stadi: siamo a Verona

Ammazza a coltellate moglie e figlio di 8 anni poi tenta il suicidio

Dopo Pasqua alberghi a caccia di turisti: in arrivo prezzi stracciati

Artoni e Samer insieme per trasportare in Asia i motori di Wärtsilä


L’INTERVISTA: TOMMASO PADOA SCHIOPPA
«Crisi ancora lunga, serve un governo Ue»

TRIESTE «La crisi economica? Sarà ancora lunga. La vera ripresa non arriverà nemmeno nel 2010». Evita l’ottimismo a tutti i costi Tommaso Padoa Schioppa: per l’ex ministro delle Finanze del governo Prodi, autore di un volume appena uscito in libreria, l’economia globale deve compiere ancora un lungo cammino per uscire dal tunnel. E, a suo parere, l’Europa forse non sta facendo abbastanza: ”colpa” dell’assenza di un’azione davvero congiunta degli Stati membri dell’U. «Quel che manca all’Europa è un governo continentale e la conseguente capacità di decidere».

Cultura
In Bosnia il ventennale del Ravenna festival

Il caso
Con 170mila un monolocale