
Adino Cisilino, ex assessore (1988-93) e consigliere regionale (1998-2003), uno che il palazzo lo conosce bene ed è in grado di raccontarne vizi privati e pubbliche virtù, parla oggi su Il Gazzettino sul bonus ai consiglieri regionali e fatti ad esso connessi.
Ci sembra opportuno riportare le sue affermazioni.
La Procura della Conte dei Conti ha aperto un’inchiesta sui “bonus” dei consiglieri regionali? «Non solo fa bene, ma è in ritardo». Parola di Adino Cisilino, commercialista udinese che ora guarda la politica a distanza, dopo aver vissuto due mandati nei palazzi regionali. Il primo, dall’88 al ’93, lo fece da assessore eletto nelle fila del Psdi, occupandosi per un periodo di Lavori pubblici e poi di Sport, Parchi e foreste. Il secondo, dal ’98 al 2003, lo visse da consigliere eletto con Fi, partito cui continua ad essere iscritto «pur non chiamando nessuno e non essendo interpellato da alcuno». Due legislature vissute in epoche differenti, in mezzo il passaggio dalla "Prima" alla "Seconda" Repubblica, che hanno consentito a Cisilino di conoscere da vicino quel che oggi si chiama “bonus”, ma che agli inizi del 2000 si definiva “argent de poche”, ricorda. L’uso di interventi puntuali sulla Finanziaria ad opera dei consiglieri, infatti, Cisilino lo fa risalire all’epoca del suo secondo mandato. «Si poteva avere a disposizione una cifra che cominciava con il 50. Non mi ricordo se fossero euro o milioni – aggiunge -, perché la partita iniziò proprio in concomitanza con il passaggio di moneta. Era una pratica cui mi sono sempre rifiutato di aderire», pure in contrasto con colleghi dello stesso partito, «tanto che una volta uno prese la mia quota per destinarla ad un’associazione sportiva udinese». Una presa di distanza che Cisilino motiva ascrivendo la pratica del bonus «ad una sagra di paese, con il principe eletto che si sente padrone in casa sua. Altro che politica, nei fatti è uno scambio elettorale: io ti dò qualcosa ora, perché tu ti ricordi di me alla prossima scadenza elettorale». Inoltre, aggiunge, «è un mezzo del tutto inidoneo e insufficiente, un acconto per mettere in miseria chi lo riceve, perché non è possibile che la vita di singoli progetti o attività siano affidati all’intervento di un consigliere». In sostanza, ribadisce, «sperpero di fondi e soldi buttati, perché non sono spesi nella logica di un gioco di squadra». Tutt’altra aria si respirava sul finire degli anni Ottanta, nonostante che proprio in quel periodo si stessero condensando le pratiche scoperchiate da Tangentopoli. «Durante il mio primo mandato – asserisce infatti Cisilino – l’argent de poche non c’era. C’erano, invece, progetti condivisi con la Giunta. Era l’Esecutivo a gestire il bilancio. Naturalmente il consigliere aveva tutte le possibilità per segnalare l’opportunità di alcuni interventi. L’assessore procedeva a verifica attraverso i suoi uffici, quindi decideva». Anni, quelli che ha vissuto da assessore, che Cisilino cita con soddisfazione, perché mise a segno anche colpi destinati ad intaccare una certa concezione del potere. «Come nel ‘91 – fa sapere –, quando feci pubblicare tutti i nomi dei 6800 che avevano avuto diritto ai contributi per la prima casa. Tra questi, molti che non avevano certo redditi tali da dover ricevere bonus, persino il presidente di una banca». Perciò, da ex politico che sta affacciato all’arena, non solo la sollecitazione ad «eliminare il bonus, ma anche a fare l’elenco delle regalie a disposizione di chi siede in Consiglio».
A.L.
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