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lunedì 2 febbraio 2009

ELUANA ENGLARO. QUEL CHE NON CAPIAMO DEL SIG. BEPPINO (E SATURNA, MOGLIE INVISIBILE)



Personalmente sono stato toccato nei miei affetti più cari allorquando (1980) mia madre Milvia si è ammalata di cancro al seno, allora difficilmente curabile. La sua agonia durò 3 anni e morì appena 49enne, la mia attuale età.
Ripensarlo mi mette ancora i brividi e sono passati ormai 25 anni dalla sua morte.
Di sicuro posso dire una cosa: allora mio padre ed io non lasciammo nulla di intentato per sfidare il destino. Vi fossero state cliniche in grado di curarla, naturalmente al di fuori del Friuli e dell'Italia, là l'avremmo portata. Ma purtroppo non ci fu nulla da fare.
Nella disperazione della famiglia Englaro, che ha visto la figlia ridursi a uno stato di non vita e di non morte e che in questo stato permane da moltissimi anni, francamente non riusciamo a capire - se il bene supremo è la volontà della figlia, ovvero l'impedire quello che per i signori Englaro è ritenuto umanamente uno strazio - per quale motivo, anziché ingaggiare battaglie legali che presumiamo costose, non si siano andate a cercare 'le cure' per la figlia (che in questo caso sono 'non cure', ovvero staccare la spina) in giro per il mondo, così come noi abbiamo cercato per nostra madre 'le cure', ovunque potessero darcele.
E non occorrerebbe neppure andare lontano perché, posto che siamo cittadini d'Europa e addirittura siamo compresi nella cosiddetta area Schengen, basterebbe caricare la sventurata Eluana su un'ambulanza e trasportarla in Belgio o in Olanda dove quella che (abbiamo almeno il coraggio di definirla con il suo termine!) chiamasi eutanasia è perfettamente legale.
E allora? Perché non lo si fa?
Davvero non capiamo.
Il bene supremo, pare di capire, è la dignità di Eluana, non battersi contro lo stato italiano, dimenticandosi che si è cittadini del mondo e che la salute è un bene universale e non racchiuso entro provincialistici confini regionali o nazionali.
Sempre che si voglia fare il bene di Eluana e che non ci si sia innamorati, invece, di un protagonismo che può umanamente compensare il dramma di un genitore sovraesposto (il padre) e quello di una genitrice che non compare mai (la madre).
ALBERTO di CAPORIACCO

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