"SFUEI DAL FRIÛL LIBAR - IL GIORNALE DEL FRIULI LIBERO". INDIRIZZO INTERNET http://www.ilgiornaledelfriuli.net EDIZIONE ON LINE DELLA TESTATA ISCRITTA COME GIORNALE QUOTIDIANO ON LINE, A STAMPA, RADIOFONICO E TELEVISIVO NEL REGISTRO DEL TRIBUNALE DI UDINE IN DATA 8 APRILE 2009 AL N. 9/2009. Si pubblica dal 25 novembre 2008. Proprietario: Alberto di Caporiacco. Direttore responsabile: Alberto di Caporiacco. Sede di rappresentanza in Udine, piazza S. Giacomo 11/16, 2. piano.

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venerdì 17 aprile 2009

RASSEGNA STAMPA: IL PICCOLO

AUTOSTRADE D’ORO
In Autovie corsa alle assunzioni: 50 in cinque mesi
L’organico tocca ormai quota 628 «Destra e sinistra lottizzano la società»

di MARTINA MILIA
TRIESTE Boom di assunzioni in Autovie Venete. Il personale, dopo diversi anni, torna a superare le 600 unità toccando quota (dati del 30 marzo scorso) 628. E mentre circolano voci che la corsa al posto fisso, scattata a fine anno prima che entrasse in vigore la normativa che impone una procedura di evidenza pubblica nelle assunzioni, abbia trovato per una volta d’accordo uomini di destra, sinistra e centro, si calcola che in un anno le new entry – comprese le sostituzioni dei pensionamenti – siano state una cinquantina.LA SOCIETA’ Autovie, che ha in gestione la rete autostradale della regione (circa 180 chilometri di autostrada) e che ha nel proprio piano finanziario la realizzazione della terza corsia della A 4, oltre al completamento delle Portogruaro – Conegliano, si conferma un punto fermo dell’economia regionale non solo per gli esercizi finanziari che godono di ottima salute, ma anche per l’occupazione. Laddove altre società tagliano, Autovie incrementa tornando ai livelli di fine anni ’90. Numeri che fanno riflettere se si pensa che la società ha investito molto nell’automazione del traffico per cui, almeno per quel che riguarda il personale che lavora lungo la rete autostradale (i casellanti), c’è stata una diminuzione. D’altro canto l’accelerazione dei cantieri e l’attenzione alle procedure di sicurezza ha richiesto un potenziamento di altre figure operative. L’ORGANIGRAMMA Se a fine marzo del 2008 i dipendenti in carico alla società erano 594, nello stesso mese dell’anno in corso sfiorano quota 630. Da un anno all’altro i posti in più sarebbero 35, ma le assunzioni una cinquantina perché, ai nuovi profili, si aggiungerebbero quanti hanno sostituito i lavoratori andati in pensione. Ad ingrossare le fila della società pubblica ci sarebbe soprattutto personale tecnico, ma non mancherebbero le figure amministrative. «Non è un segreto – mormora più di qualcuno – che quando si tratta di fare assunzioni in Autovie tutte le forze politiche si muovono, senza distinzioni di colore». La quota maggiore, una ventina di dipendenti, sarebbe stata assunta entro fine ottobre, prima che la normativa imponesse procedure di gara trasparenti per le società pubbliche. Alcuni ingressi e alcune promozioni si giustificherebbero con il trasferimento di alcune professionalità della struttura commissariale, ma quest’ultima non durerà in eterno visto che la terza corsia sarà conclusa – secondo il cronoprogramma – entro il 2014.LE VOCI Nelle ultime settimane rincorrono le voci secondo le quali la corsa alla sistemazione sarebbe ripresa nell’ultimo mese, in vista della scadenza dell’attuale consiglio di amministrazione, ma su questo la società smentisce categoricamente. «Le ultime assunzioni, sull’ordine della ventina di persone – chiarisce l’amministratore delegato Pietro Del Fabbro, che ha la delega al personale – risalgono a fine 2008. Non c’è alcun piano per nuovi ingressi». Tanto più che la nuova legge, come conferma l’ad, impone procedure di evidenza pubblica nelle assunzioni.GLI ESUBERI Autovie si trova anche a dover gestire una trentina di esuberi di casellanti che derivano dall’entrata in funzione del passante di Mestre e dalla trasformazione della barriera di Venezia est. Di queste posizioni – il personale non sarà licenziato ma sarà stabilizzato attraverso contrattazione individuale – e del futuro della società si parlerà oggi in un incontro in programma tra i vertici della società e le organizzazioni sindacali.


ATTORNO AL TERREMOTO IN ABRUZZO SI ACCENDE LO SCONTRO POLITICO Referendum, l’ultima parola al premier
Al voto il 21 giugno o rinvio al 2010. Berlusconi a L’Aquila: «Case per tutti entro l’estate»

di VINDICE LECIS
ROMA Berlusconi rivela che l’election day (l’accorpamento il 6-7 giugno delle elezioni e del referendum) non si farà perché la Lega avrebbe fatto cadere il governo. Nel giorno della decisione di far svolgere la consultazione referendearia il 21 giugno insieme ai ballottaggi per le amministrative vengono alla luce i durissimi contrasti che hanno opposto il Pdl al partito di Bossi. Il leader del Pd Dario Franceschini attacca quella che definisce la Bossi-tax, «una tassa che pagheranno tutti gli italiani grazie al cedimento di Berlusconi alla Lega». Anche Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria denuncia: «È assolutamente inaccettabile non accorpare le date». E Massimo D’Alema commenta che il rinvio di un anno può essere utile per fare in Parlamento «una coraggiosa e radicale riforma della legge elettorale».Il mancato accorpamento delle diverse consultazioni causerà una spesa aggiuntiva per le casse dello Stato di circa 400 milioni, accusa l’opposizione che, con Anna Finocchiaro (Pd), descrive un governo «sotto il ricatto della Lega».Alle critiche del Pd ma anche a quelle del presidente della Camera Gianfranco Fini, Berlusconi replica che non si è trattato di una «una debolezza del presidente del Consiglio, ma abbiamo ceduto alla richiesta di un partito della maggioranza che se non avessimo accettato avrebbe fatto cadere il governo». Una scelta, ha insistito, fatta «per il bene del Paese». È stata decisa una data «che sia il meno peggio». Il presidente del Consiglio liquida dunque le critiche come «polemiche fuori luogo. Non si poteva andare ad inseguire facendo cadere la maggioranza». E sulle accuse di sprechi di pubblico denaro osserva che i 400 milioni sarebbero «cifre lontanissime da quelle reali e comunque le ridurremo accorpando il referendum al ballottaggio per le amministrative». La risposta, insiste, è rivolta solo al Pd: «Nessuna polemica con Fini sul referendum».Affermazioni che non convincono Emma Marcegaglia. «Decidere di non accorpare la data del referendum con quella di altre elezioni, spendendo 400 milioni dei cittadini, è assolutamente inaccettabile - afferma la presidente di Confindustria - prima di parlare di un aumento delle tasse vorrei vedere uno sforzo vero di riduzione della spesa pubblica improduttiva su cui invece non è stato fatto niente». Anche la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro insiste: «Quello che ha detto Berlusconi conferma ciò che noi andiamo dicendo da settimane. La Lega sul referendum ha ricattato il governo». Per giustificare la scelta «hanno detto che c’erano problemi di incostituzionalità, che gli italiani non avrebbero capito e tante altre stupidaggini. La verità è una sola: che per motivazioni puramente politiche e per mantenere il patto con la Lega Berlusconi e il suo governo sprecano centinaia di milioni che avrebbero fatto davvero comodo per rispondere all’emergenza del terremoto». Antonio Di Pietro ritiene che votare per il referendum «in una data diversa da quella delle elezioni è un furto penale, perché c’è l’appropriazione indebita di denaro pubblico e un furto di democrazia». Il Carroccio non vuole però apparire come il partito della spesa pubblica allegra: «Abbiamo soltanto parlato dell’opportunità della data per il referendum e basta» commenta Angelo Alessandri, presidente federale che nega ipotesi di crisi.Il partito del rinvio del referendum esce allo scoperto. Per D’Alema un anno può essere utile per fare una coraggiosa riforma elettorale: «Purtroppo a causa del presidente del Consiglio non è stato possibile svolgere il referendum nella sua data naturale. Del resto per votare il 21 giugno ci vuole una legge. Quindi, legge per legge...». Si associa uno dei coordinatori del Pdl, Ignazio La Russa: «Continuo a pensare che la soluzione del rinvio del referendum sia quella migliore, ma se Berlusconi si è già espresso per il 21 giugno, credo che passerà questa tesi. Abbiamo dato mandato a lui per la decisione».


MA L’ASSOCIAZIONE PORTO FRANCO: «SENTENZA DEL TAR ILLEGITTIMA»
Dipiazza, piano portuale con o senza Fi
Il sindaco: nessun rinvio in Consiglio, tutta la città è dalla stessa parte

di SILVIO MARANZANA
Il sindaco spariglia le carte e sconfessa Piero Camber, il capogruppo del suo stesso partito, Forza Italia. «Le intese per il Piano regolatore del porto - annuncia - saranno approvate dal Consiglio comunale nella seduta di lunedì 27 aprile e il giorno dopo il Comitato portuale potrà adottare il nuovo strumento urbanistico».Dopo averlo preannunciato nei giorni scorsi, mercoledì in sede di Commissione urbanistica Piero Camber ha chiesto al contrario che l’approvazione venga rinviata affinché - questa la motivazione espressa - le interconnessioni con il Piano regolatore del porto siano esaminate congiuntamente al nuovo Piano regolatore del Comune, che però arriverà appena in giunta il 15 maggio. Quasi contemporaneamente, come si legge qui sotto, l’Associazione porto franco internazionale ha scritto al Governo per bloccare la variante, già vigente, che apre il Porto vecchio ad attività di portualità allargata.Sindaco, c’è una regìa comune dietro alle due azioni?Assolutamente no, sono due situazioni completamente diverse. Semmai è un po’ sospetta la frenesìa per il Piano regolatore del porto: non si è fatto nulla per 52 anni e adesso bisogna approvare tutto subito.Allora è d’accordo con Camber, si può aspettare ancora qualche mese?Non si può perché stavolta l’urgenza è reale: mercoledì a Roma il Cipe decide la spartizione dei fondi anche per la Piattaforma logistica e se il Piano regolatore non è in dirittura d’arrivo quei soldi vanno altrove. Per questo martedì convocherò i capigruppo della maggioranza e li convincerò a portare le intese al voto il 27 aprile.Lei ha detto che se viene rimessa in discussione la variante potrebbe incatenarsi davanti alla Prefettura. Se non passano subito le intese potrebbe dimettersi?Ma di cosa stiamo parlando? Ho detto che le intese passeranno. Anche l’opposizione sta dalla mia parte e poi Alleanza nazionale. Ci sono 40 consiglieri, cosa faranno 4, 5 o 6 astensioni o voti contrari?Ha già verificato matematicamente tutto questo?Ho già verificato tutto.Porrà almeno la fiducia?Visto che è tutto chiaro e pacifico non avrò alcun bisogno di farlo. Ma dirò ai capigruppo: datemi la vostra fiducia come avete sempre fatto. È chiaro che ci troviamo in una situazione in cui bisogna agire rapidamente e visto che l’intelligenza non manca, questa esigenza sarà compresa.Ma Forza Italia, cioé proprio il suo partito, o meglio il nucleo del Pdl proveniente da Forza Italia, rischia di rimanere isolato?Potrebbe avvenire in parte, ma non accadrà. Perché come detto martedì chiariremo tutto.Qualche malalingua del centrosinistra ha detto: ora Dipiazza potrà dimostrare se sta dalla parte dei Camber o da quella della città.È da tredici anni, prima da sindaco di Muggia e poi due volte da sindaco di Trieste, che dimostro ogni giorno di stare dalla parte della città.Non vi sono allora poteri occulti che cercano di frenare lo sviluppo o perlomeno un certo tipo di sviluppo del porto?Tutta la città è dalla stessa parte e anche in Comune maggioranza e opposizione spesso lavorano bene assieme.Tutti tranne l’Associazione porto franco internazionale?Esattamente, ma quei quattro signori ora mi hanno proprio rotto le scatole. Hanno già fatto gravi danni a Trieste e vogliono continuare a farli. Ma un giorno o l’altro porto tutta la città sotto le loro finestre e poi vediamo cosa succede.


TRA PDL E LEGA
IL VERO VINCITORE di ALBERTO BOLLIS


Lo strappo sull'election day rappresenta la prima vera disputa di potere tra le componenti della maggioranza di governo da quando, poco più di due settimane fa, è nato il Popolo delle Libertà. La Lega ha mostrato i muscoli: mai e poi mai elezioni europee e referendum sulla legge elettorale assieme. Troppo alto il rischio di raggiungere il quorum, anche se in fin dei conti in palio c'è l'abolizione di quel testo che lo stesso suo autore, il padano Calderoni, definì «una porcata».In realtà, ci troviamo di fronte a ben altra posta in gioco. È l'assaggio di quanto ci si prospetta nei prossimi mesi, o addirittura anni: sul tavolo ci sono gli assetti strategici dell'alleanza egemone che governa l'Italia e che "minaccia" di farlo ancora molto a lungo, almeno finché il Pd non riuscirà a costruire una vera alternativa. Prospettiva che, allo stato attuale, non pare nemmeno all'orizzonte.Dunque, nel frangente dell'ipotizzato election day il Carroccio ha voluto far vedere al Paese chi comanda; e sottolineare che il nuovo Pdl, nonostante la fusione di due componenti "pesanti" come Forza Italia e Alleanza nazionale, non può permettersi di prescindere dalla volontà delle schiere leghiste. Per questo Bossi ha alzato il tiro, fino a mettere in discussione la tenuta del patto che unisce il centrodestra. Una prova di forza punteggiata da nervosismi e pubblici scatti d'orgoglio delle prime linee padane, disposte finanche ad assecondare gli alleati su altri argomenti in discussione, come le ronde e il decreto immigrati, ma intransigenti sul tema del no al voto unificato.E così Silvio Berlusconi stavolta ha ceduto. Eppure il successo di Umberto Bossi rischia di rivelarsi una vittoria di Pirro.
Nel darla vinta alla Lega il premier ha senz'altro soppesato pro e contro; si è piegato alle volontà padane soltanto al momento giudicato opportuno, scegliendolo con accuratezza. Lo ha fatto in maniera di ottenere un duplice risultato: ha dato grande risalto mediatico al ricatto impostogli dall'"amico" Umberto, attribuendogli di fatto le responsabilità del mancato risparmio di 400 milioni di euro derivante dal voto accorpato, "dettaglio" che in circostanze di grande emozione collettiva derivanti dal sisma in Abruzzo può avere un impatto assai rilevante sull'opinione pubblica; e ha incamerato nei confronti dei lumbard un credito politico che non mancherà di riscuotere quando sarà l'ora. Non dimentichiamoci, a tal proposito e giusto a mo' d'esempio, che nel 2010 sono in programma le elezioni in Veneto e in Lombardia, adesso a guida forzista, regioni che una Lega "maltrattata" reclamerebbe entrambe, senza se e senza ma.In conclusione, il sacrificio sull'election day, nonostante le apparenze di superficie, presenta per il premier un saldo abbondantemente in attivo. La sua immagine ne esce intonsa, se non addirittura rafforzata: agli occhi dell'elettore di centrodestra non ha colpe o quasi. Avrebbe forse dovuto far saltare tutto? Certo che no: meglio, e più responsabile, salvaguardare la stabilità del governo.Inoltre il lamentìo di Gianfranco Fini sullo spreco di denaro per la doppia chiamata alle urne, una critica chiaramente rivolta a Bossi, consente allo scaltro Cavaliere di confermarsi una volta di più come un uomo solo al comando, vero ago della bilancia, dispensatore di saggezza che pensa al bene supremo della comunità e lascia a chi sta più indietro le dispute minimali.Rimane da chiedersi cosa succederà del Pdl nel giorno in cui si dovesse davvero aprire la corsa alla successione. Ma questa è un'altra storia.Alberto Bollis


LA SCOMMESSA DEL TURISMO NAUTICO
Sulle coste croate arrivano 15mila nuovi posti barca

FIUME Un piano ambizioso, da ben 36 mila ormeggi ma necessario per un settore che non conosce crisi e guarda al futuro con entusiasmo e fiducia. In Croazia è stato messo a punto il Piano strategico per lo sviluppo del turismo nautico, redatto da un team di esperti del Ministero del Mare, trasporti e infrastrutture.Prevede, entro il 2019, un totale di 36 mila posti-barca nei marina disseminati in Istria, Quarnero e Dalmazia, isole comprese. Agli attuali 21 mila posti nei porticcioli turistici, dovrebbero aggiungersene 5 mila nei marina da edificare nei prossimi 10 anni, 5 mila nelle strutture attuali e 5 mila posti per il rimessaggio a secco. È un progetto impegnativo, che contempla l’edificazione di una quindicina d’impianti «ex novo», riguardanti pure le due regioni altoadriatiche croate.Infatti, un marina dovrebbe sorgere a Rovigno, un altro a Pola in zona Santa Caterina e un terzo a Fiume, in Porto Baross. Altri marina sono previsti a Novalja (isola di Pago), a Poschiane (Pakostane), Zara, Sebenico, Dugi Rat, Spalato, Marina, Lissa, Ragusa, Sabbioncello, Slano e Vallegrande (Vela Luka).Le citate località, comprese nel documento, debbono ancora essere convalidate tramite i piani d’impatto ambientale, da armonizzare con i Piani regolatori delle singole Regioni. Anche al Minister del mare preferiscono non sbilanciarsi sulle zone dove potere edificare gli scali turistici, ben sapendo che l’iter di costruzione presenta non poche difficoltà. Non ultima quella legata all’ottenimento della concessione per l’usufrutto del Demanio marittimio. Iter tortuosi dunque ma si può stare certi che si tratta di progetti in grado di avere il gradimento delle autonomie locali e degli organismi statali. Non potrebbe essere diversamente visto che il comparto del turismo nautico è una vera «gallina dalle uova d’oro». Nel 2008 i 58 marina e i 39 porti di vario tipo (sportivi e pubblici) hanno registrato entrate per 491,3 milioni di kune, sui 66,6 milioni di euro, con una lievitazione su base annua di 12 punti percentuali. La gran parte degli introiti, il 75%, risulta realizzata grazie al noleggio dei posti barca. Complessivamente, il settore del turismo nautico ha permesso nel 2008 in Croazia di avere entrate pari a 800 milioni di euro, segno che i diportisti – specie quelli d’Oltreconfine – sono ospiti che spendono. E non poco.In base al Piano strategico, il guadagno dovrebbe crescere di anno in anno, raggiungendo nel 2019 la cifra rispettabilissima di 15 miliardi di kune annui, poco più di 2 miliardi di euro. Fin qui tutto bene. In Croazia sono però registrate addirittura 106 mila imbarcazioni e la confusione non manca. Per tale motivo, ossia per stabilire l’ordine nei vari scali portuali, il ministro del Mare e trasporti Bozidar Kalmeta ha varato un regolamento che disciplina la materia nei 42 scali di competenza regionale e nei 191 sotto l’ingerenza dei Comuni. Tra l’altro, il regolamento stabilisce che nei porti aperti al traffico pubblico vi sia una quota di ormeggi per i diportisti locali. Tornando al Piano strategico, va rilevato che i nuovi 15 mila ormeggi sono frutto di accurate ricerche idrografiche realizzate nei siti dei marina attuali e futuri.Inoltre gli esperti hanno ascoltato i suggerimenti degli oceanografi relativi alla biodiversità nelle acque adriatiche e al grado di minaccia – nelle aree prescelte – derivanti dalla presenza di una struttura quale può essere un porto turistico.Andrea Marsanich


CENTRODESTRA IN FVG
Saro si ribella: «Gottardo sbaglia tutto»

di MARCO BALLICO
UDINE Ferruccio Saro non si smentisce. Dopo il 2003, dopo il 2006, ecco il 2009: ogni tre anni si veste da ribelle, esce dagli schemi, non solo se ne va per conto suo ma anche va contro i suoi. Anni fa erano i forzisti, adesso dicono che lo farà pure con i pidiellini. Comune per comune, insistono i maligni, infilerà i candidati «sariani» alle prossime amministrative. Vero? «Non ho candidati miei, ho solo amici». Ieri, al Podere di Martignacco, terreno di tante dichiarazioni di fuoco, l’ultima puntata. Proprio nel giorno in cui il centrodestra trova l’accordo di coalizione, Saro dice che no, «nelle amministrazioni locali quel modello non può funzionare». E aggiunge: «Il Pdl va allargato alla società civile. Servono le alleanze con le civiche».Quelle di cui le segreterie regionali non sembrano invece sentire il bisogno. Nel 2003 la madre della battaglie, quella del famoso «resistere»: lista kamikaze anti-Cdl e Alessandra Guerra messa fuori gioco. Nel 2006 altra corsa solitaria (stavolta in competizione con Marzio Strassoldo, elezioni provinciali) con una lista autonomista. Una seconda vita politica «contro» quella di Saro: ex socialista, forzista, autonomista, espulso dai berlusconiani, perdonato, reintegrato, di nuovo forzista, poi pidiellino, ma sempre critico, mai allineato. Il senatore non digerisce Isidoro Gottardo coordinatore regionale. E ieri lo ha ripetuto per l’ennesima volta davanti agli aficionados del Podere, circa 150 persone. C’erano gli ex socialisti, tra cui Gianni Bravo e Alessandro Colautti, l’ex presidente di Friulia Franco Asquini, e ancora l’ex parlamentare forzista Manlio Collavini e gli ex consiglieri regionali Giorgio Pozzo e Virgilio Disetti. Gottardo? «Non faccio battaglie personali – dice Saro –, esprimo solo giudizi politici. Ricordo di aver contribuito a portare Gottardo in Fi quando certo non amava Berlusconi e ho avuto pure un ruolo nella sua nomina a coordinatore di Fi. Ma adesso non mi pare che sia la persona giusta al posto giusto». Saro spiega quello che si dovrebbe fare un anno dopo la vittoria alle elezioni e fa capire che non lo si sta facendo: «O il Pdl diventa un partito pluralista che rispetta tutte le posizioni culturali e le diverse sensibilità al suo interno o sarà un progetto destinato al fallimento, né più e né meno del Pd». E, prosegue il senatore di Martignacco, «serve dunque partecipazione in un partito che deve essere aperto e inclusivo, capace di diventare soggetto di riferimento locale, non subalterno a Roma, per poter incidere politicamente su una crisi realmente drammatica sul nostro territorio». Non manca, come annunciato, l’ultimo appello al sindaco di Trieste: «Il Pdl deve chiedere in ginocchio a Roberto Dipiazza di correre per il parlamento europeo, senza aspettare Roma. È un’occasione importante, sarebbe grave che qualcuno non facesse ogni sforzo per candidarlo».


S’accende la sigaretta, la casa esplode
L’appartamento a Monte Radio era saturo di gas: in fin di vita un uomo di 79 anni

di CORRADO BARBACINI
Si è acceso la prima sigaretta della giornata e nella casa satura di gas si è scatenata una violenta esplosione. Porte e finestre sono volate a decine di metri di distanza, i vetri si sono ridotti in frantumi. In gravissime condizioni all’ospedale di Cattinara è ricoverato Silvano Lassich, 79 anni. Le fiamme scatenate dall’esplosione gli hanno ustionato le braccia, il torace e il volto. Il 50 per cento del corpo.È successo ieri attorno alle 8.30 in un’abitazione di via Terstenico 18, laterale di via Bonomea. A dare l’allarme ai vigili del fuoco è stato Renato Pedersini, vicino di casa di Silvano Lassich. «Ho visto Silvano con il corpo in fiamme mentre cercava di uscire dalla casa. Era impressionante, una torcia umana. Una scena che non dimenticherò mai. Riusciva a parlare a fatica. Mi ha spiegato che pochi istanti prima si era acceso una sigaretta e c’era stato lo scoppio. Poi è crollato a terra, privo di sensi».Pochi minuti dopo è arrivata l’ambulanza del 118. I sanitari hanno subito constatato le gravissime condizioni dell’uomo. Era riverso a terra, davanti a casa, privo di sensi. Gli hanno praticato la terapia di emergenza prima di trasportarlo nel reparto di rianimazione di Cattinara. È possibile che nelle prossime ore Lassich venga trasferito nel reparto grandi ustionati dell’ospedale di Padova.È durato oltre quattro ore il sopralluogo eseguito dai vigili del fuoco, degli agenti della Squadra volante e della scientifica nell’abitazione. Una casetta la cui superficie di una sessantina di metri quadri si sviluppa su due piani. È probabile che durante la notte, a causa di una perdita di una bombola di gas, l’ambiente al pianterreno si sia saturato. Poi c’è stato l’innesco causato, come ha spiegato lo stesso Lassich, dall’accensione della sigaretta. Non è stato chiarito però da quale bombola si sia verificata la perdita. I pompieri, infatti, hanno constatato che tanto la stufa quanto la cucina erano alimentate da bombole di gpl e nell’appartamento vi erano anche bombole di riserva.La casa in cui si è verificato lo scoppio è una piccola costruzione alla fine della viuzza che scende da via Bonomea. È stata posta sotto sequestro per ordine della Procura. Le indagini dovranno chiarire cosa sia accaduto. Certo è che la violenza dell’esplosione ha addirittura formato una crepa sul muro esterno alla cucina, con l’intonaco che si è staccato. Oltre alle finestre sono andati distrutti i mobili del pianterreno. Non è rimasto nulla: solo resti fumanti. Il portoncino di legno è praticamente scomparso, i frammenti sparpagliati in un raggio di una ventina di metri. Danneggiato anche il piccolo fuoristrada Suzuki che l’uomo aveva parcheggiato davanti a casa.«La corte era piena di detriti», ricorda ancora il vicino di casa Renato Pedersini, «c’erano pezzi di mobili e di infissi. Le scarpe di Silvano sono finite in fondo alla stradina. Ho cercato di prestargli soccorso ma non sapevo come fare. E allora ho chiamato il 115 e il 118. Sono stati velocissimi». Pedersini tiene in braccio un barboncino di nome Roy, è ancora spaventatissimo. Lo spostamento d’aria dell’esplosione ha sfondato i vetri di alcune finestre della sua abitazione al numero 25.«Ho avuto paura», interviene con la voce tremante Renato Rebecchi che abita in un’altra casa vicina: «È stata come una bomba. In quel momento ero in casa e mi sono precipitato fuori. Non si vedeva nulla, c’era tanto fumo...»È sconvolto Dario Lassich, nipote di Silvano. «Abito a circa cento metri, in via Bonomea. Sono corso lungo via Terstenico e quando sono arrivato davanti alla casa di mio zio mi sono reso conto che era successo qualcosa di grave. La sua era una vita tranquilla da pensionato. Spero che riescano a salvarlo...»Silvano Lassich era tornato a Trieste nel 1992, dopo aver passato molti anni della sua vita in Australia dove era emigrato. Una volta in pensione aveva scelto di vivere nella casetta alla fine di via Terstenico.


«Il ’68 un’invenzione di D’Annunzio a Fiume» di ALESSANDRO MEZZENA LONA

La fantasia al potere la inventò lui. Quarant’anni prima del Sessantotto. E in fatto di droghe, prostituzione, omosessualità e matrimonio dei preti aveva idee di gran lunga più moderne dei politici del Duemila. Insomma, gli storici dovranno proprio rivedere il loro giudizio su Gabriele D’Annunzio. E sull’impresa di Fiume, liquidata troppo in fretta come una reazione alla ”vittoria mutilata” della Grande guerra. Come un’anticipazione della marcia su Roma, del ventennio fascista.Il momento buono per riaprire gli archivi e studiare più a fondo l’impresa di D’Annunzio capita proprio in questo 2009. A novant’anni dall’avventura fiumana, infatti, libri, mostre, convegni si apprestano a riformulare il giudizio. Mettendo da parte la retorica e raccontando davvero quante idee rivoluzionarie, anticipatrici, modernissime, circolarono in quel lembo d’Europa tra il 1919 e il 1920.Un’occasione per fare il punto sugli studi storici dedicati a Fiume la fornirà il Festival èStoria di Gorizia. Venerdì 22 maggio infatti, alle 18, su ”1919. L’impresa di Fiume” dialogheranno Giordano Bruno Guerri e Francesco Perfetti, coordinati da Alessandro Barbero.Giornalista e docente universitario, collaboratore del ”Giornale” ed ex direttore della rivista ”Storia Illustrata”, autore di libri come ”Giuseppe Bottai: un fascista critico”, ”L’Arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte”, ”Patrizio Peci. Io, l’infame”, ”Povera santa, povero assassino”, ”D’Annunzio, l’amante guerriero”, ”Filippo Tommaso Marinetti”, dice Guerri: «Il Festival di Gorizia sarà un momento importante per chiarirsi le idee sull’impresa di Fiume. A metà maggio, poi, ci sarà un convegno a Roma. Io voglio organizzare almeno tre incontri di studio al Vittoriale tra l’autunno di quest’anno e la primavera del 2010. Forse anche Milano si muoverà per mettere in piedi un evento. In più sto pensando anche a una mostra dedicata a D’Annunzio e Marinetti».Solo retorica su Fiume?«Non c’è mai stato un vero interesse nei confronti dell’impresa di Fiume - dice Giordano Bruno Guerri -. Anzi, credo che l’episodio sia stato stupidamente rimosso. Al massimo l’hanno letto come un’anteprima del fascismo, sbagliando».Perché«Semplice, perché il fascismo si sarebbe affermato anche se l’impresa di D’Annunzio non ci fosse mai stata. Anche se Filippo Tommaso Marinetti non avesse inventato il Futurismo».Ma a Mussolini, l’impresa di Fiume insegnò qualcosa.«Fiume fu per Mussolini la prova che lo Stato poteva essere sfidato e vinto. Del resto, non è un segreto che in quel momento l’Italia dimostrò tutta la sua debolezza. E poi si comportò in modo sbagliato. Cercò il compromesso, scelse l’ipocrisia, per poi arrivare al finale tragico del famoso ”Natale di sangue”. Quando, nel dicembre del 1920, il canoneggiamento della Regia Marina mise fine all’avventura di D’Annunzio».Si è sempre parlato di reazione alla ”vittoria mutilata” nella Grande guerra...«Io direi che è arrivato il momento di dare una lettura nuova dell’impresa di Fiume. Finora si è parlato di nazionalismo, di bellicismo. Io credo, invece, che l’impresa di Fiume abbia precorso per molti versi il pacifismo terzomondista della seconda metà del Novecento».Una sfida all’ordine politico-militare del tempo?«Non bisogna dimenticare che a Fiume prese forma una Lega per rappresentare i popoli oppressi e per dare voce alle nazioni coloniali più deboli. Quelle, insomma, che non venivano mai prese in considerazione dalle grandi potenze. Un’idea che si sarebbe affermata più tardi, al tempo della guerra fredda».Un’idea modernissima?«Così come modernissima, anticipatrice del Sessantotto, fu la Fiume libertaria. Nessuna città al mondo ha goduto di tanta apertura di idee. Erano rispettate le scelte individuali più diverse: dall’omosessualità alla prostituzione, al divorzio, all’aborto. Purtroppo anche alle droghe, di cui allora non si conosceva forse l’esatta pericolosità».Sembra quasi la fantasia al potere...«Ma lo era. A Fiume si affermò la fantasia al potere. Non a caso il suo comandante era un poeta, un uomo abituato a giocare con la fantasia. Inventò addirittura quelle veloci unità navali, che garantivano i rifornimenti ai legionari, chiamandole come gli uscocchi, leggendari pirati dell’antichità. Ma c’è ancora una cosa che rende l’esperimento di Fiume estremamente attuale dal punto di vista sociale».E sarebbe?«La carta costituzionale del Carnaro. Un documento che anticipa le costituzioni più avanzate. E poi non bisogna dimenticare la quantità di giovani, di intellettuali, di avventurieri che richiamò D’Annunzio a Fiume. Quello fu uno dei primi esempi di solidarietà internazionale».Fu anche un incredibile esperimento di convivenza?«Sì, perché all’interno della città, durante l’occupazione, convivevano gli stessi popoli che al di là di quel confine erano ostili tra loro».L’avventura di Fiume faceva paura, doveva finire?«Certo che quello che stava accadendo a Fiume faceva tremare le gambe a più d’uno dei potenti. Non ultima la Chiesa. Lì, ad esempio, alcuni conventi di cappuccini precorsero di gran lunga il Concilio Vaticano II, rivendicando una maggiore democrazia e partecipazione all’interno della struttura ecclesiastica. Qualcuno arrivò a rivendicare il matrimonio dei preti. Ci fu, insomma, una fiammata del modernismo cattolico».Il suo ritratto di Fiume ricorda molto quello di certe rivoluzioni..«Era un esperimento rivoluzionario. Perché disturbava gli equilibri faticosamente raggiunti dopo la Grande guerra. In più, D’Annunzio era un comandante decisamente imprevedibile, ingestibile».Si potrebbe fare un parallelo con le grandi utopie del passato?«Non mi piacciono i parallelismi con altre insurrezioni, con altre rivoluzioni del passato. Certo, potremmo trovare analogie, ma ogni episodio della Storia fa poi parte per sé».Gli storici, insomma, non hanno capito niente?«Il problema è che gli storici sono molto pigri. Hanno accettato una versione di comodo: quella, cioè, dell’impresa di Fiume come una risposta alla ”vittoria mutilata”. E non vanno a leggere i documenti, non approfondiscono. Al contrario, io credo che non ci dobbiamo spaventare se vengono messe in discussione alcune verità accettate, ma pur sempre parziali».


BANCHE ITALIANE ALL’ESTERO
A EST OPPORTUNITÀ E INCOGNITE di GIUSEPPE DE ARCANGELIS e GIOVANNI FERRI

Banca Intesa San Paolo ha annunciato il ricorso ai Tremonti bond per 4 miliardi di euro. Si tratta della terza banca, dopo Unicredit (4 miliardi di euro richiesti secondo il mandato assegnato all’ad Alessandro Profumo) e Banco Popolare (1,45 miliardi), a ricorrere agli aiuti messi in campo dal governo. Mentre per il Banco Popolare la scelta si spiega con la crisi da mala gestio della controllata Italease, la rapidità con cui anche le due principali banche italiane si sono presentate allo sportello del Tesoro non dipende da situazioni di difficoltà maturate in Italia.
Dipende invece dai contraccolpi che Intesa San Paolo e Unicredit accusano per la loro espansione nell’Europa centro-orientale.Se ancora dieci anni fa il sistema bancario italiano soffriva di basso grado di internazionalizzazione, questi due campioni nazionali hanno perseguito l'espansione all'estero a tappe forzate, acquisendo reti bancarie al dettaglio nei Paesi dell'Europa orientale entrati a far parte dell’Ue negli ultimi anni o tuttora candidati all’adesione. In molte di queste nazioni, oggi in banca si parla italiano.Fin quando il ciclo internazionale è stato favorevole, gli investimenti hanno dato ricchi frutti. Quei Paesi crescevano a ritmi accelerati e il business bancario, depresso in precedenza da sistemi di banche statali e dai fallimenti della fase iniziale di transizione, si espandeva rapidamente. Per di più, l’Europa centro-orientale è stata anche il teatro preferito della delocalizzazione produttiva di molte imprese italiane e, perciò, la diffusa presenza nell’area costituiva per Intesa-San Paolo e Unicredit un fattore competitivo pure nei loro confronti.La situazione è però cambiata decisamente con il dispiegarsi della crisi globale. In un primo tempo, per la verità, si era diffusa la convinzione che vi potesse essere un decoupling dei Paesi emergenti, ivi inclusi quelli dell’Europa centro-orientale, in base al quale essi avrebbero sperimentato solo una decelerazione della crescita, ma non una recessione.Ma lo scenario favorevole si è ben presto rivelato fallace, almeno rispetto ad alcune di quelle economie. Ungheria, Lettonia e Romania tra i Paesi dell'Unione, e in modo simile l’Ucraina, stanno soffrendo una forte crisi di cambio oltreché una crisi bancaria e hanno dovuto valersi di aiuti internazionali del Fondo monetario e di altre istituzioni europee, come la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Per questi Paesi si configura uno scenario simile alla crisi asiatica del 1997 a causa dell’elevato ricorso all’indebitamento in valuta estera, in particolare in euro e in franchi svizzeri, per diminuire lo spread nei tassi di interesse dovuto al rischio di cambio. In Polonia e in altre economie più piccole, come la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Slovenia, la situazione appare meno grave e le prospettive di crescita sono migliori che nell’area dell’euro.Per il gruppo Unicredit, l’Europa centro-orientale rappresenta il 24,4% dei ricavi totali e il 27,6% delle attività tangibili, l’area costituisce invece solo il 6,5% delle attività totali del gruppo Intesa San Paolo. Se si concentra l’attenzione sui paesi più a rischio, i pesi scendono al 6% circa per Unicredit e al 2% per Intesa San Paolo. Si tratta, dunque, di esposizioni non enormi, ma pur sempre significative.In termini assoluti, le banche italiane sono in seconda posizione, assieme a quelle tedesche, come esposizione verso i principali Paesi dell’Europa centro-orientale. La seconda posizione è ancor più solida se consideriamo le perdite potenziali, come riportato in uno studio della Danske Bank e dalla Banca dei regolamenti internazionali e ripreso in un Interactive Graphic del Financial Times.Qualche tempo fa il ministro Tremonti plaudeva al fatto che le nostre banche «non parlassero inglese». Speriamo che abbiano imparato bene le lingue slave e abbiano potuto evitare i bad loans meglio di quanto accaduto nei Paesi anglosassoni.Giuseppe De ArcangelisGiovanni Ferriwww.lavoce.info


Per 180 euro Tondo e Illy vi servono il risottino di FURIO BALDASSI

TRIESTE Vi solletica l’idea di farvi servire un risotto fumante dall’ex presidente della Regione Riccardo Illy, magari mentre l’attuale presidente del Veneto, Giancarlo Galan rinforza pane e grissini e l’amministratore delegato delle «Generali», Sergio Balbinot porta via i piatti usati? No, non è un sogno a occhi aperti e neanche la rivincità del pueblo sofferente. Con 180 euro tutto questo potrà diventare realtà lunedì prossimo, a partire dalle 20, all’Expo Mittelschool di via San Nicolò, sede della nuova edizione di «Quochi di Quore», la classica serata di beneficenza i cui proventi saranno devoluti quest’anno in tempo reale all’Associazione Idea che si occupa di strutture per i malati depressi cronici.L’occasione è ghiotta anche perché pure quest’anno Rossana Bettini, deus ex machina della manifestazione è riuscita a far convergere su Trieste un vero parterre de roi, tra personaggi pubblici e vip assortiti.Oltre a quelli già citati c’è interesse per vedere all’opera Mario Moretti Polegato, il signor Geox, che anticipa antipasti indimenticabili oppure Pietro Marzotto (sì, quei Marzotto) che punta sul suo risotto agli asparagi e su di un pasticcio classico, mentre Fabio de Visintini e Fabio Perasti si giocano tutto sul baccalà della Gina con Polenta. Ma, senza togliere nulla agli chef, è nel parco camerieri che la serata prende quota. Chi parte avvantaggiato è il presidente della Regione Renzo Tondo, che lavora proprio nella ristorazione, mentre del velista Mauro Pelaschier si conoscono discrete doti di cuoco di bordo ma non manovre ardite con i piatti in mano. E lo scrittore Pino Roveredo? Farà capriole in salita servendo la polenta? E cosa c’è da aspettarsi, tra salvamacchia e bottiglie da stappare, da Giovanni Da Pozzo, presidente della Camera di Commercio di Udine?Più tranquillità la riserva infine l’attore Sebastiano Somma, ormai triestino ad honorem, non foss’altro che perchè gli artisti sanno sempre come cavarsela.Tutto «blindato» sul fronte dei vini, chè la presenza di Piera Martellozzo è qualcosa di più di una garanzia, mentre non mancherà neanche il lato ludico tout court, grazie alla programmazione musicale garantita dal d.j. super Zippo. La stessa Bettini si è riservata infine il compito di intrattenere gli ospiti tra un piatto e l’altro. «Quochi di Quore» è un’idea nata nell’autunno del 2007 «per fare del bene cucinando». Da quell’anno in poi è stato un crescendo di partecipanti e, soprattutto, di fondi da destinare a strutture e associazioni. Così ad esempio i quasi 7mila euro raccolti nella prima edizione e versati alla Comunità di san Martino al Campo, sono lievitati nel 2008, quando i « Quochi» hanno lavorato per Azzurra, l’associazione per le malattie rare fondata da Alfredo Sidari.Quest’anno, viste le premesse, «Idea» può essere ottimista in partenza...


Pirati in Corno d’Africa: Frattini esclude il blitz per liberare gli ostaggi

MILANO I negoziati sono in corso ma non ci sarà alcun blitz per liberare i 10 marinai italiani del «Buccaneer», il rimorchiatore d’altura sequestrato dai pirati somali la scorsa settimana.L’ha assicurato il ministro degli Esteri Franco Frattini. «Non organizzeremo nessuna azione che possa mettere a repentaglio la sicurezza degli ostaggi» ha spiegato Frattini. «Il ”Buccaneer” è ormeggiato sulla costa somala e sappiamo bene dove si trova, esattamente. Viene anche sorvegliato da terra» ha proseguito il ministro. In zona è giunta la fregata «Maestrale» della Marina militare: fa parte del dispositivo aeronavale anti pirateria inviato nel Corno d’Africa dall’Unione europea.Resta dunque aperta la strada della trattativa, che viene condotta dalle autorità della regione semi autonoma somala del Puntland in coordinamento con il governo di transizione del Paese del Corno d’Africa. Ieri mattina c’è stato un nuovo contatto telefonico tra l’armatore, Claudio Bartolotti, e il comandante del rimorchiatore Mario Iarloi, il quale ha assicurato che l’intero equipaggio sta bene.Le trattative per la liberazione dei marinai sarabbero a buon punto ma è stato escluso a priori il pagamento di un riscatto, in quanto sarebbe una scelta che incoraggerebbe (come finora è avvenuto) la pirateria. L’ha sottolineato il primo ministro del governo federale di transizione somalo, Omar Abdirashid Ali Sharmake. Il premier ha confermato la strategicità delle relazioni con l’Italia: per questo pone la richiesta che sia proprio l’Italia a rendersi in qualche modo portavoce, a livello internazionale, delle esigenze della Somalia per creare strutture valide. L’Italia, secondo il premier Sharmake, potrebbe rendersi protagonista sul piano bilaterale per la ricostruzione di diversi settori: politica, economia, istruzione, sanità. Non solo ma anche addestrando un nuovo esercito. «Le trattative per il ”Buccaneer” - ha continuato il premier - sono in corso ma bisogna chiarire che il fenomeno della pirateria è politico, economico e sociale. Ovviamente è inaccettabile».Attualmente nelle mani dei pirati somali ci sono 300 ostaggi di diverse nazionalità. Quelli italiani mercoledì hanno potuto telefonare alle rispettive famiglie assicurandole sulle buone condizioni di salute. Particlare non da poco: altri ostaggi di nazionalità diverse hanno riferito in passato di violenze nei loro confronti, oltre a rifornimenti di cibo e acqua non sempre adeguati. Ma la tecnica dei blitz per liberare i marinai non è nelle corde del governo italiano, come ha ribadito il ministro Frattini.Tra gli ostaggi tornati liberi c’è Richard Phillips, comandante del mercantile statunitense «Maersk Alabama», sequestrato dai pirati e liberato dalle forze speciali Usa domenica scorsa. Phillips è giunto in Kenia a bordo dell’incrociatore Usa «Bainbridge», su cui si trova anche l’unico dei quattro pirati sopravvissuto al blitz. Gli altri sono stati uccisi. Non è ancora certo se il bandito sarà processato in Kenia. Se fosse giudicato negli States sarebbe il primo procedimento per pirateria in oltre due secoli: nel codice americano il reato è punito con l’ergastolo. E sono nel frattempo rientrati negli Usa i 19 marinai imbarcati sul «Maersk Alabama», accolti da parenti e amici nel Maryland. (r.r.)


Fmi: «Recessione lunga» Ma l’auto si riprende e la Borsa continua a salire

WASHINGTON La recessione sarà lunga e severa, con una ripresa lenta che partirà dalle economie avanzate: per far fronte alla situazione servono politiche monetarie, fiscali e di budget coordinate. «Le politiche macroeconomiche possono giocare un ruolo importante nell'attuare la recessione e favorire la ripresa». Essenziale è, «come ci insegnano le esperienze passate», ripristinare fiducia sui mercati finanziari. Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) torna a ribadire l'invito ad agire e a farlo in modo coordinato, e fissa a grandi linee in almeno due anni la durata delle recessioni causate dal mix crisi finanziarie e rallentamento economico globale. «Per rivedere i livelli produttivi ante crisi serviranno poi almeno tre anni e mezzo» spiega il Fondo nei capitoli analitici del World Economic Outlook, che sarà diffuso in occasione dell'assemblea di primavera la prossima settimana.«Le analisi suggeriscono che una crisi finanziaria e un rallentamento globale sincronizzato insieme si traducono in una recessione insolitamente severa e lunga. Una combinazione come questa è rara e per questo è necessario evitare conclusioni affrettate. Il fatto che l'attuale rallentamento sia altamente sincronizzato e associato a una profonda crisi finanziaria suggerisce che probabilmente sarà duraturo e con una ripresa più debole della media», afferma il Fmi constatando come «le recessioni globalmente sincronizzate sono più lunghe e profonde delle altre. La durata di tali recessioni è in media una volta e mezzo superiore alla durata tipica di una recessione». In ogni caso fare previsioni è difficile perchè - osserva il capo economista del Fmi Olivier Blanchard - «questa recessione ha caratteristiche uniche».Le successive riprese sono «di solito lente, caratterizzate da una debole domanda esterna, soprattutto se anche gli Stati Uniti sono in recessione: durante le recessioni del 1975 e del 1980 il calo accentuato delle importazioni statunitensi ha contribuito a una notevole contrazione del commercio mondiale». Per capire comunque quanto durerà una recessione bisogna determinare il momento in cui è partita paese per paese: negli Usa ha avuto inizio - spiega Marco E. Terrones dell'ufficio studi del Fondo nel corso di una conferenza stampa - nel giugno 2008. Una data quindi diversa da quella fissata dal National Bureau of Economic Research (Nber), l'istituto di ricerca economica incaricato di misurare i cicli economici statunitensi, secondo cui la recessione negli Usa è iniziata nel dicembre 2007. La discrepanza con il Fmi - spiega l'istituto di Washington - è legata ai diversi parametri utilizzati per misurare il ciclo.Il Fondo invita comunque alla cautela nel valutare le previsioni, in quanto «esclusa l'attuale recessione» dal 1960 a oggi «ce ne sono quindici» che possono «essere associate a crisi finanziarie, con tre episodi di recessione globale: 1975, 1980 e 1992»: «eventi del genere sono stati quindi rari e per questo le previsioni vanno prese con cautela», vanno «evitate conclusioni affrettate».Le Borse mondiali, tuttavia, non hanno dato peso alle valutazione del Fondo monetario internazionale. Gli indici americani hanno chiuso in forte rialzo: il Dow Jones archivia la seduta a +1,1% mentre il Nasdaq termina le contrattazioni a +2,6%. Positivo anche l'S&P500 (+1,55%). Hanno prevalso gli acquisti anche nelle principali borse europee. Parigi archivia la seduta chiude a +1,76%, Francoforte a +1,3%, Londra a +1,69%. Bene anche Piazza Affari dove il Mibtel segna un rialzo dell'1,77% e S&P Mib dell'1,93%. A correre sono soprattutto gli assicurativi su cui gli investitori si stanno riposizionando. E basta poco, viste le attuali basse quotazioni, a far ripartire i titoli. Fonsai (+15,85%) è protagonista del finale di seduta. Forti rialzi anche per Unipol (+10,45%), aiutata anche dalle parole dell'ad Carlo Salvatori sull'andamento dei primi mesi dell'anno. Terzo miglior titolo dell'S&PMib è Mediolanum (+8,19%).


Delitto Ambrosi: fermati tre romeni, caso risolto Tra loro l’ex giardiniere

di FERRUCCIO FABRIZIO
NAPOLI «Mamma ho fatto un guaio, ho ucciso due persone». Sono le 21 quando Marius Acsiniei, 22 anni, chiama la madre in Romania. Lo fa dal cellulare di Franco Ambrosio, uno dei «trofei» razziati nella villa della Gaiola dove l’ex re del grano e la moglie sono stati massacrati nella notte dell’orrore. Delle sue vittime il ragazzo era stato il giardiniere e la paura di essere riconosciuto avrebbe scatenato in lui un raptus di follia omicida. Ma è tradito dal cellulare rubato all’imprenditore, usato con una nuova scheda. «Ho ucciso due persone, colpendole, e non mi rendevo neanche conto di quello che facevo», le sue parole sono intercettate facilmente dagli agenti di Napoli che lo bloccano sul litorale domizio, tra Licola e Giugliano.«Figlio mio tornatene subito a casa» gli aveva detto la madre. Ma Acsiniei non ha avuto il tempo di fuggire e una volta fermato ha fatto arrestare altri due romeni: Valentin Dumitriu, 22 anni, stalliere, e Calin Petrica, 24 anni, operaio in un autolavaggio. I tre, tutti immigrati incensurati, addosso avevano parte del bottino: telefonini, soprammobili e una sveglia. Sulle spalle l’accusa di omicidio e rapina firmata dal pm D’Alessio, e una vita segnata da una notte balorda. Fuori la questura sono stati insultati da decine di persone al grido «bastardi», mentre gli inquirenti potevano dire chiuso dopo sole 24 ore il barbaro duplice omicidio della Gaiola.Troppi gli indizi a carico, definiti schiaccianti dal questore Santi Giuffrè, infinite le tracce lasciate nella villa dove i tre romeni hanno agito in stato di ubriachezza dopo aver scolato fiumi di vino e champagne. Hanno bivaccato per ore in una dependance attigua alla villa, gozzovigliando in attesa di entrare in azione. Acsiniei, l’ex giardiniere, ha lasciato impronte su una bottiglia di acqua minerale e sulle ante dell’armadio posto nella camera da letto dei coniugi Ambrosio. Altre impronte sono state trovate sul comodino e sulla porta della dependance. I tre hanno cercato di cancellare con un panno bagnato le tracce lasciate sul frigorifero, ma l’uso del cianoacrilato da parte della Scientifica ha permesso di identificare comunque le impronte. E poi quella incredibile leggerezza: accendere la mattina dopo il cellulare rubato alla vittima. Alla polizia è bastato seguire il tracciato dell’apparecchio e localizzare con una Bmw dotata di satellitare i presunti killer. L’arma utilizzata sarebbe una chiave ad N utilizzata per svitare i bulloni delle ruote di automobile, ma non è stata trovata. I tre erano giunti a Posillipo dal litorale domizio, dove vivevano, a bordo della linea Cumana e avevano bivaccato il giorno di Pasquetta nella bella campagna della Gaiola.Qui l’ex patron di Italgrani Franco Ambrosio aveva messo radici da quando era diventato il re del grano e personaggio da jet set. La sera del delitto era tornato a casa intorno alle 20, dopo aver trascorso un paio d’ore con gli avvocati: preparava la difesa nel processo d’appello dopo la condanna a nove anni (tre cancellati dall’indulto) per il fallimento del suo impero. Tanti si chiedono perché l’imprenditore che avrebbe fatto sparire mille miliardi in paradisi fiscali e che avrebbe venduto pellicce pure ai Caraibi, vivesse in una villa senza nemmeno un cane da guardia.


Triestina, c’è il Grosseto In Uefa Udinese eliminata

di CIRO ESPOSITO
TRIESTE Tre match in otto giorni. Tre occasioni per lanciare l’Unione verso i play-off o comunque per delineare il suo destino nei prossimi due mesi. L’ultimo trittico (dal 14 al 21 marzo scorso) non portò fieno in cascina della Triestina. Ma quello che si apre al Rocco contro il Grosseto ha presupposti diversi dal ciclo che si concluse con altrettante sconfitte (con Brescia, AlbinoLeffe e Parma). Questo almeno sulla carta. In primo luogo perché gli avversari sono più abbordabili (Grosseto, Vicenza e Treviso). Secondo perché, almeno per il momento, gli infortunati ci sono (Figoli, Milani e in parte Tabbiani e Pani) ma non sono tanti quanti in quella circostanza. Ma soprattutto perché soltanto otto partite separano la squadra di Maran dal traguardo play-off. Il tecnico non si tira indietro e carica i suoi a cominciare dal primo match. «Dobbiamo vincere questa partita in qualsiasi modo - spiega il tecnico - perché dobbiamo lanciare un segnale importante. La voglia c’è. Tutti devono giocare al 200%». E gli avversari. «Non mi fido di una squadra che nel girone d’andata ha dimostrato grande continuità. Ma più che agli avversari noi dobbiamo guardare a noi stessi» conclude Maran. E allora per affrontare i toscani, che con una sconfitta uscirebbero definitivamente dalla lotta per la promozione, Maran si affida alla formazione più equilibrata e vincente. Al Rocco scenderanno in campo gli undici che hanno travolto due settimane fa il Rimini. A Della Rocca e Granoche il compito di perforare la difesa avversaria con il sostegno dei due esterni Testini e Antonelli. Al centro i mastini Gorgone e Princivalli. Schieramento di difesa immutato grazie anche al recupero di Cottafava. Anche in questa occasione la società ha deciso di venire incontro al pubblico con i prezzi scontati (la prevendita è stata chiusa ieri sera). E poi l’incasso sarà devoluto alle popolazioni dell’Abruzzo terremotato. Un motivo un più per i calciofili triestini per trascorrere una serata allo stadio.


Santoro: «Lasciatemi lavorare. Vauro? Tornerà»

ROMA Per la censura sono bastate dieci vignette. Per la «resurrezione» ne ha avute 14. Michele Santoro ha sfidato il direttore generale Rai e ha ospitato al telefono e in striscia Vauro Senisi, finito alla gogna per le vignette sul terremoto. Il direttore generale Mauro Masi lo ha sospeso per la vignetta sulle cubature dei cimiteri. Ma l’arcivescovo dell’Aquila, Molinari, tra i più contenti per la defenestrazione di Vauro, precisa che a farlo arrabbiare è stata la vignetta su Berlusconi Nerone. «Avvertite Masi, abbiamo sbagliato il corpo del reato», avverte Santoro. Poi la palla passa a Francesca finta vignettista.Parla con Vauro al telefono. «Si lo so che nessuno ha censurato Berlusconi sulla barzelletta sull’Olocausto, ma lui è più furbo, ritratta», dice. «Lo so che ha mimato una raffica contro le giornaliste russe, ma poi ha detto di averlo fatto simpaticamente e di aver mirato alle gambe. Vauro fai attenzione perché Masi ha detto che d’ora in poi saranno censurate tutte le battute che non capisce, tranne quelle del fantasma formaggino».Ora scusa ma tocca alle vignette riparatorie, dice Francesca, sottolineando che in Italia uno che ha sensibilità specula prima delle tragedie e poi si unisce al coro del dolore. Francesca alias Vauro propone come «atto riparatorio»: la Via Crucis del precario. 14 stazioni. La prima recita: «condanna a morte». Embè con quello stipendio pensavi anche di campare.La serata era cominciata molto più soft. «Berlusconi ci divide, ma io vi adoro anche se qualche volta non vi capisco». Michele Santoro, in apertura della puntata «riparatoria» di Annozero, ringrazia tutti i colleghi per la solidarietà ricevuta e a sua volta mostra «compassione» per i giornalisti del Giornale che «poveretti, si trovano a dover scrivere pagine e pagine su di me». «Ma come? Avete fatto memorabili battaglie per la libertà di satira, avete condotto una battaglia a favore delle vignette sull’Islam e adesso ve la prendete con Vauro?», Gli chiede Santoro. «Se questa è la puntata di riequilibrio... A me sembra una puntata di sfida e di attacco», commenta Mario Giordano, direttore del Giornale.Al presidente della Camera che ha bollato come indecente la puntata di Annozero sul terremoto, Santoro ricorda che all’epoca delle vignette su Maometto, lo stesso Fini dichiarò che sarebbe stato un segnale di «intolleranza» non pubblicarle. E Vauro? Per ora è a San Pietroburgo, ma Santoro è certo che la sua matita tornerà a graffiare già giovedì prossimo. Perché? «Perché bisogna fare come dice Emilio Fede che ha detto che affinché Berlusconi vinca ci deve essere Annozero». «Noi siamo un Tg4 fatto bene, Vauro tornerà, Berlusconi vincerà e tutti vivremo felici e contenti».Tocca poi a Marco Travaglio fare le pulci all’informazione passata sul terremoto sui giornali e in televisione.Travaglio la prende da lontano. Comincia con i titoli dei quotidiani, e ancora del Giornale, sul terremoto in Umbria di dodici anni fa. Al governo c’era Romano Prodi. «Soccorsi scoppia la rissa», titolava il giornale della famiglia Berlusconi.

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