
Diciamo la verità.
Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei valori, non ci è mai stato simpatico e non ci è stato simpatico in particolare quando ha deciso di gettare la toga buttandosi in politica.
E' bene quindi ripercorrere la sua vicenda, partendo proprio dal momento in cui accarezzò l'idea di impegnarsi nell'agone politico.
Subito dopo le elezioni del 27 marzo 1994, Silvio Berlusconi gli chiede di abbandonare la magistratura e di entrare a far parte del suo governo come Ministro dell'Interno. Di Pietro, pur dichiarandosi lusingato di fronte a numerosi giornalisti, non accetta e preferisce continuare il suo lavoro di magistrato, seguendo il consiglio offertogli da Borrelli. Anni dopo, nella campagna elettorale del 2008 Berlusconi ha negato di aver offerto un Ministero a Di Pietro. Durante una puntata di Porta a porta, lo stesso Berlusconi ha negato la validità della laurea conseguita da Di Pietro, sostenendo che gli è stata data dai servizi segreti. Per tutta risposta Antonio Di Pietro ha pubblicato sul suo blog la pergamena del suo titolo di studio, con tanto di commento polemico: "Io parlo con i fatti, non con menzogne o allusioni. Lo dimostra la laurea in giurisprudenza conseguita il 19 luglio 1978. Lo stesso anno in cui il Presidente del Consiglio si iscrisse alla P2". "Voglio anche ricordare al Presidente del Consiglio che il suo ex sodale Bettino Craxi non era laureato".
Il 6 dicembre del 1994, poco prima che si riuscisse a tenere alla Procura di Milano l'interrogatorio dell'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, indagato per corruzione, si dimetterà clamorosamente dalla magistratura. La spiegazione resa all'epoca fu quella di voler evitare "di essere tirato per la giacca", ma sul dettaglio si susseguirono nel tempo dallo stesso interessato varie versioni: Di Pietro prima addusse l'esigenza che i veleni sul suo conto - dal "poker d'assi" di Rino Formica al dossier de "Il Sabato", dall'inchiesta del GICO sull'autosalone di via Salomone alle indagini bresciane attivate dalle denunce degli inquisiti - non danneggiassero l'immagine della Procura di Milano. Successivamente lamentò come ragione scatenante la fuga di notizie sul mandato di cattura a Berlusconi, reso noto durante la conferenza di Napoli sul crimine transnazionale mentre Di Pietro si trovava a Parigi per rogatorie internazionali.
Una sentenza assolutoria nei confronti di diversi imputati, tra cui Paolo Berlusconi e Cesare Previti, accusati di aver fatto indebite pressioni affinché Di Pietro abbandonasse la magistratura, ha sostenuto che Di Pietro si fosse già determinato a lasciare la toga, presumibilmente per darsi alla politica, quando venne avanzata la richiesta di interrogare Silvio Berlusconi. La sentenza afferma anche che alcuni fatti ascrivibili al magistrato potevano presentare rilevanza disciplinare.
Una sentenza assolutoria nei confronti di diversi imputati, tra cui Paolo Berlusconi e Cesare Previti, accusati di aver fatto indebite pressioni affinché Di Pietro abbandonasse la magistratura, ha sostenuto che Di Pietro si fosse già determinato a lasciare la toga, presumibilmente per darsi alla politica, quando venne avanzata la richiesta di interrogare Silvio Berlusconi. La sentenza afferma anche che alcuni fatti ascrivibili al magistrato potevano presentare rilevanza disciplinare.
Dopo questi anni da protagonista della magistratura italiana, sono partite contro di lui diverse indagini giudiziarie, tutte risolte in assoluzioni piene o archiviazioni. Nel 1995 viene indagato dal sostituto procuratore di Brescia Fabio Salamone, ipotizzando reati di concussione e abuso d'ufficio in seguito a dichiarazioni rese dal generale Cerciello (sotto accusa in un processo sulla corruzione della guardia di finanza), ma il giudice per le indagini preliminari archivia il procedimento[13].
Una seconda indagine viene aperta sempre a Brescia sulla base di affermazioni dall'avvocato Carlo Taormina (allora difensore del generale Cerciello), la testimonianza di Giancarlo Gorrini e dossier anonimi su presunti traffici illeciti tra l'ex pm e una società di assicurazioni. L'inchiesta successivamente prende una strada completamente diversa e il pm Salamone arriva ad ipotizzare un complotto finalizzato a far dimettere Di Pietro per mezzo di ricatti e dossier anonimi. Per fare luce sulla vicenda il pm interroga gli ispettori ministeriali Dinacci e De Biase, i ministri Alfredo Biondi, Cesare Previti e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, mentre suo fratello Paolo viene indagato per estorsione. Secondo le ricostruzioni dei pm tutto sarebbe iniziato dopo che fu recapitato a Silvio Berlusconi un invito a comparire dalla procura di Milano il 21 novembre 1994: Previti avrebbe telefonato all'ispettore ministeriale Dinacci e l'avrebbe messo in contatto con Gorrini il quale si sarebbe presentato lo stesso giorno all'ispettorato per presentare le sue documentazioni contro Di Pietro. Questo avveniva il 23 novembre 1994. Il 29 il ministro Alfredo Biondi ha ordinato di aprire l'inchiesta su Di Pietro. Il 6 dicembre Di Pietro annuncia le dimissioni ed il 10 l'inchiesta viene archiviata. È allora che Salamone mette sotto controllo diversi telefoni e dalle telefonate di Gorrini sulla vicenda emerge il nome di Paolo Berlusconi, suo conoscente e l'incriminazione per lo stesso. Successivamente vengono incriminati anche Cesare Previti, Sergio Cusani per estorsione[22] e lo stesso Silvio Berlusconi per estorsione ed attentato ai diritti politici del cittadino. In questa inchiesta emerge l'esistenza di un dossier del SISDE su Di Pietro chiamato "Achille".
Dopo le indagini si arriva ad un processo con imputati Previti, Paolo Berlusconi e gli ispettori ministeriali che indagarono sul Di Pietro. Il 18 ottobre 1996 mentre è ancora in corso il processo sul presunto complotto contro Di Pietro la procura generale di Brescia rimuove dall'incarico i pm Salamone e Bonfigli per una presunta "grave inimicizia" con Di Pietro (che comunque non era imputato) che "giunge al livello di pervicace odio privato". Il successivo ricorso in cassazione di Salamone contro la decisione della procura viene respinto. Il 21 gennaio 1997 il procuratore che sostiene la pubblica accusa in sostituzione di Salamone (Raimondo Giustozzi) rinuncia ad interrogare i testimoni convocati dall'accusa e chiede subito l'assoluzione per tutti gli imputati. Istanza che viene accolta dal giudice.
Una seconda indagine viene aperta sempre a Brescia sulla base di affermazioni dall'avvocato Carlo Taormina (allora difensore del generale Cerciello), la testimonianza di Giancarlo Gorrini e dossier anonimi su presunti traffici illeciti tra l'ex pm e una società di assicurazioni. L'inchiesta successivamente prende una strada completamente diversa e il pm Salamone arriva ad ipotizzare un complotto finalizzato a far dimettere Di Pietro per mezzo di ricatti e dossier anonimi. Per fare luce sulla vicenda il pm interroga gli ispettori ministeriali Dinacci e De Biase, i ministri Alfredo Biondi, Cesare Previti e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, mentre suo fratello Paolo viene indagato per estorsione. Secondo le ricostruzioni dei pm tutto sarebbe iniziato dopo che fu recapitato a Silvio Berlusconi un invito a comparire dalla procura di Milano il 21 novembre 1994: Previti avrebbe telefonato all'ispettore ministeriale Dinacci e l'avrebbe messo in contatto con Gorrini il quale si sarebbe presentato lo stesso giorno all'ispettorato per presentare le sue documentazioni contro Di Pietro. Questo avveniva il 23 novembre 1994. Il 29 il ministro Alfredo Biondi ha ordinato di aprire l'inchiesta su Di Pietro. Il 6 dicembre Di Pietro annuncia le dimissioni ed il 10 l'inchiesta viene archiviata. È allora che Salamone mette sotto controllo diversi telefoni e dalle telefonate di Gorrini sulla vicenda emerge il nome di Paolo Berlusconi, suo conoscente e l'incriminazione per lo stesso. Successivamente vengono incriminati anche Cesare Previti, Sergio Cusani per estorsione[22] e lo stesso Silvio Berlusconi per estorsione ed attentato ai diritti politici del cittadino. In questa inchiesta emerge l'esistenza di un dossier del SISDE su Di Pietro chiamato "Achille".
Dopo le indagini si arriva ad un processo con imputati Previti, Paolo Berlusconi e gli ispettori ministeriali che indagarono sul Di Pietro. Il 18 ottobre 1996 mentre è ancora in corso il processo sul presunto complotto contro Di Pietro la procura generale di Brescia rimuove dall'incarico i pm Salamone e Bonfigli per una presunta "grave inimicizia" con Di Pietro (che comunque non era imputato) che "giunge al livello di pervicace odio privato". Il successivo ricorso in cassazione di Salamone contro la decisione della procura viene respinto. Il 21 gennaio 1997 il procuratore che sostiene la pubblica accusa in sostituzione di Salamone (Raimondo Giustozzi) rinuncia ad interrogare i testimoni convocati dall'accusa e chiede subito l'assoluzione per tutti gli imputati. Istanza che viene accolta dal giudice.
(1a puntata - continua domani 30 dicembre)
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