
Fino ad oggi ci siamo limitati a descrivere in linea generale i terminal di rigassificazione proposti nelle nostre zone e abbiamo fatto il punto sulla situazione attuale della produzione energetica e del mercato internazionale del gas.
Vogliamo ora soffermarci sulle problematiche annesse alla produzione di gas attraverso questi impianti, suddividendole in ambientali, marittime e di sicurezza.
Le problematiche ambientali afferiscono tanto all’atmosfera, quanto al mare.
Riguardo all’atmosfera, in base ad un rapporto dell’EPA (Environmental Protection Agency – Agenzia per la Protezione dell’Ambiente) Americano, "Le caratteristiche chimiche del metano e le interazioni con l’atmosfera concorrono in modo significativo all’effetto serra. […] Il metano (incombusto) produce, a parità di peso, un effetto serra circa 21 volte maggiore di quello prodotto dal biossido di carbonio (CO2).” Questo fa capire che eventuali fughe di gas metano nel processo di rigassificazione – del tutto normali e previste, anche se imprevedibili in quantità – parteciperebbero in maniera non indifferente all’effetto serra, andando quindi in direzione diametralmente opposta agli accordi previsti dal protocollo di Kyoto (va ricordato che gli Stati Uniti d’America non lo hanno sottoscritto, mentre l’Italia si).
Inoltre secondo studi accreditati (Doyle, Energy geopolitics, Scientific American, 2004) il trasferimento del gas naturale via mare con metaniere è un processo che richiede molta energia e implica una gestione costosa e complessa; ogni gasiera di GNL, consumando circa cento tonnellate di carburante al giorno, produce emissioni più nocive di quelle provenienti dalle centrali termiche attualmente in uso.
Riguardo la fauna marina va considerato l’utilizzo di acqua di mare per il processo di rigassificazione: la stessa, una volta ceduto il suo contenuto termico al gas per riscaldarlo, viene immessa nuovamente in mare. Il prelievo di acqua marina, stimato in 38.000 mc/h, porterebbe nel ciclo produttivo una quantità di acqua tale per cui si rende necessario l’utilizzo di 2 p.p.m. (parti per milione) di ipoclorito di sodio (candeggina) per non incrostare le tubature; per fare un paragone si sottolinea che la quantità immessa nelle tubature degli acquedotti è mediamente pari a 0,15 p.p.m.. Tale quantità, una volta immessa, rimane all’interno dell’acqua che viene poi restituita al mare al termine del ciclo produttivo, andando quindi ad inserirsi all’interno dell’ecosistema marino con comprensibili possibili danni a flora e fauna.
L’acqua restituita al mare da parte del ciclo produttivo, inoltre, ha una temperatura di 5°C inferiore rispetto a quando viene prelevata; di conseguenza quest’acqua si dirigerebbe verso i fondali marini, contribuendo a portare verso gli stessi, oltre che uno scambio termico non indifferente, l’ipoclorito di sodio citato in precedenza.
Il problema dell’acqua fredda e dell’ipoclorito di sodio va riferito naturalmente al periodo di funzionamento previsto dell’impianto, ovverosia circa 330 giorni all’anno per trent’anni. Biologi e ricercatori affermano che il Golfo di Trieste, sia per caratteristiche morofologiche, che per caratteristiche di maree, correnti e vento, non garantisce un ricambio d’acqua tale da rendere tale problema ininfluente.
Dal punto di vista del traffico marittimo, tutti i sostenitori di questi impianti e soprattutto le varie Capitanerie di Porto hanno fatto a gara per sottolineare che, nonostante l’elevato numero di navi metaniere che ciascuno dei due impianti porterebbe (senza considerare la possibilità che possano essere realizzati entrambi), non vi sarebbero problemi di integrazione con l’esistente traffico marittimo.
A nostro avviso, considerando la movimentazione di metaniere che un impianto di rigassificazione comporta, risulta difficile pensare che – in un Golfo piccolo e stretto come il nostro – non vi possano essere ripercussioni sul traffico delle navi merci e delle petroliere, per non parlare delle navi da crociera, dei traghetti e di tutte le attività diportistiche private. Tale considerazione viene fatta soprattutto in considerazione dell’elevato sistema di sicurezza che la movimentazione delle metaniere impone, sia durante il loro viaggio, sia durante la loro permanenza all’attracco dell’impianto, che prevede, tra le altre cose, distanze minime non indifferenti da mantenere nei loro confronti.
Riguardo specificatamente alla sicurezza, non sono note le possibili dinamiche e le possibili conseguenze di una fuoriuscita di GNL: ciò impone ai progettisti delle semplificazioni e delle ipotesi puramente teoriche e che, in quanto tali, non possono certo essere esaustive, pur affermando gli stessi che gli impianti di rigassificazione sarebbero (il condizionale è d’obbligo) più sicuri delle centrali nucleari. Ammesso e non concesso che ciò sia vero, va considerato non solo il terminal nel suo normale ciclo di funzionamento, ma tutto l’apparato circostante, con particolare riferimento alle manovre di attracco delle navi metaniere. In questo senso, se un terminal in mezzo al mare può dare sufficienti garanzie in caso di eventi catastrofici, lo stesso non si può certo dire per uno a terra, soprattutto se installato in una zona non adeguatamente lontana da centri abitati o da altri siti industriali.
MARCO TORBIANELLI
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