
10 FEBBRAIO: LA GIORNATA DEL RICORDO
La “Giornata del Ricordo” è stata istituita con la legge n°92 del 30 marzo 2004, in memoria dei martiri delle foibe e degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
Queste tristi pagine di storia sono rimaste soltanto tali per tanti anni e solo da qualche tempo se ne è ricominciato a parlare, si è ricominciato a restituire dignità a quelle migliaia di connazionali torturati ed uccisi nelle nostre zone nel secondo dopoguerra, si è ricominciato a ricordare il dramma di quelle centinaia di migliaia di connazionali (si parla di oltre 350.000 persone) costretti all’esilio per sfuggire alla feroce repressione delle truppe partigiane del Maresciallo Tito.
Le uccisioni nelle foibe sono l’inno alla follia umana, non peggiore delle camere a gas naziste: decine di persone venivano legate assieme e portate sull’orlo delle foibe, profonde spesso molte centinaia di metri. Si sparava in testa al primo, che cadendo portava con sé tutti gli altri: chi non moriva nella caduta, moriva di stenti sul fondo della foiba, nel buio, seppellito vivo dai morti.
Quelli che ebbero invece la fortuna di non essere caricati sui camion per essere uccisi nelle foibe, subirono comunque ogni sorta di umiliazione: buttati fuori di casa dopo che già da tempo veniva loro negato ogni diritto come anche solo il poter acquistare il pane, picchiati selvaggiamente per strada, nelle scuole, in chiesa, torturati e poi esposti al pubblico ludibrio. Infine costretti a fuggire oltreconfine, lasciando le proprie cose, i propri ricordi e la propria vita per sfuggire ad un vero e proprio genocidio, per la sola colpa di essere italiani e conseguentemente fascisti, legati indissolubilmente a quella realtà – inutile negarlo – che aveva in precedenza sconvolto quelle stesse terre, quello stesso popolo che poi si è ribellato agendo attraverso dei carnefici rimasti a tutt’oggi impuniti pur avendo operato nelle nostre terre.
Peccato solo che le colpe di un’intera nazione (e di un unico dittatore) siano state pagate solo da una piccola parte di italiani, quelli geograficamente più vicini, al punto che tutti gli altri se ne sono dimenticati, non ne hanno voluto sapere fin da subito: uno degli aspetti più aberranti di questa vicenda infatti è che tutti questi italiani al loro arrivo in Italia sono stati considerati dei semplici fuggiaschi e non dei disgraziati, dei fratelli da accogliere ed aiutare; molti di loro hanno resistito e sono rimasti in queste zone, ma moltissimi si sono imbarcati per le terre americane, canadesi ed australiane, andando a vivere a migliaia di chilometri dalle loro terre natie, per guadagnarsi da vivere attraverso mestieri umilissimi, come scavare rape nella neve a mani nude.
Oggi finalmente con questa celebrazione si è voluto ricordare questi martiri e questi esuli, un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso qualcosa che volenti o nolenti ci appartiene come italiani, fa parte della nostra cultura e non può, non deve essere dimenticata.
Queste tristi pagine di storia sono rimaste soltanto tali per tanti anni e solo da qualche tempo se ne è ricominciato a parlare, si è ricominciato a restituire dignità a quelle migliaia di connazionali torturati ed uccisi nelle nostre zone nel secondo dopoguerra, si è ricominciato a ricordare il dramma di quelle centinaia di migliaia di connazionali (si parla di oltre 350.000 persone) costretti all’esilio per sfuggire alla feroce repressione delle truppe partigiane del Maresciallo Tito.
Le uccisioni nelle foibe sono l’inno alla follia umana, non peggiore delle camere a gas naziste: decine di persone venivano legate assieme e portate sull’orlo delle foibe, profonde spesso molte centinaia di metri. Si sparava in testa al primo, che cadendo portava con sé tutti gli altri: chi non moriva nella caduta, moriva di stenti sul fondo della foiba, nel buio, seppellito vivo dai morti.
Quelli che ebbero invece la fortuna di non essere caricati sui camion per essere uccisi nelle foibe, subirono comunque ogni sorta di umiliazione: buttati fuori di casa dopo che già da tempo veniva loro negato ogni diritto come anche solo il poter acquistare il pane, picchiati selvaggiamente per strada, nelle scuole, in chiesa, torturati e poi esposti al pubblico ludibrio. Infine costretti a fuggire oltreconfine, lasciando le proprie cose, i propri ricordi e la propria vita per sfuggire ad un vero e proprio genocidio, per la sola colpa di essere italiani e conseguentemente fascisti, legati indissolubilmente a quella realtà – inutile negarlo – che aveva in precedenza sconvolto quelle stesse terre, quello stesso popolo che poi si è ribellato agendo attraverso dei carnefici rimasti a tutt’oggi impuniti pur avendo operato nelle nostre terre.
Peccato solo che le colpe di un’intera nazione (e di un unico dittatore) siano state pagate solo da una piccola parte di italiani, quelli geograficamente più vicini, al punto che tutti gli altri se ne sono dimenticati, non ne hanno voluto sapere fin da subito: uno degli aspetti più aberranti di questa vicenda infatti è che tutti questi italiani al loro arrivo in Italia sono stati considerati dei semplici fuggiaschi e non dei disgraziati, dei fratelli da accogliere ed aiutare; molti di loro hanno resistito e sono rimasti in queste zone, ma moltissimi si sono imbarcati per le terre americane, canadesi ed australiane, andando a vivere a migliaia di chilometri dalle loro terre natie, per guadagnarsi da vivere attraverso mestieri umilissimi, come scavare rape nella neve a mani nude.
Oggi finalmente con questa celebrazione si è voluto ricordare questi martiri e questi esuli, un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso qualcosa che volenti o nolenti ci appartiene come italiani, fa parte della nostra cultura e non può, non deve essere dimenticata.
MARCO TORBIANELLI
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