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lunedì 9 marzo 2009

UDINE CITTA' SANA??? (ARTICOLO di VINCENZO TANZI)



UDINE CITTA’ SANA???
Non scherziamo, per favore…ancora nuove antenne!!!
Ultima quella di borgo Grazzano… E il comune china la testa
Negli ultimi anni la questione delle antenne per la telefonia mobile è diventato un problema talché le cronache cittadine hanno dato ampio spazio, anche sé a fasi alterne. Eppure a Udine, sopratutto all’insaputa della maggior parte dei cittadini, sono successe cose importanti. E’ il momento di ricapitolare la vicenda, fare il punto della situazione e riflettere su cosa si può fare.
LA VICENDA
Tutto risale al 1999 quando i primi comitati di cittadini, allarmati per il proliferare delle installazioni, iniziano a organizzarsi. Gran parte dei comitati sparsi nelle varie zone della città, nel febbraio 2000 creano un coordinamento con l’obiettivo di creare un unico organismo. Nei mesi successivi i cittadini, oltre a promuovere varie forme di protesta nei confronti dell’inattività dell’amministrazione comunale e la sua reticenza di fronte alla richiesta di rendere pubblica la mappatura delle installazioni, si documentano e organizzano iniziative pubbliche di informazione con esperti. Nel frattempo cominciano a diffondersi i risultati di studi scientifici che suggeriscono un limite massimo di esposizione ai campi elettromagnetici di 0,2 volt per metro. La normativa vigente dal 1999 (Decreto 381/1998) ne consente 6, e ai controlli dell’ARPA in più di un’occasione tale limite risulta superato. La stessa norma, tuttavia, indica come obiettivo ulteriore la minimizzazione dell’esposizione, indicando con chiarezza che i gestori sono chiamati non ad assestarsi sul limite massimo ma a ottenere, per ogni installazione, il minimo livello di esposizione tecnicamente possibile. L’ARPA, l’Agenzia regionale preposta ai controlli, risulta impreparata ad affrontare l’incombenza che le si pone di fronte, sia dal punto di vista tecnico-strumentale che da quello dell’entità delle verifiche da operare. E’ ovvio, del resto, che più è alto il numero delle installazioni, meno l’attività di controllo può essere seria ed efficace. Fra il 2000 e il 2001 diversi Comuni friulani approvano varianti ai piani regolatori con cui stabiliscono precise collocazioni per le antenne, a distanza di sicurezza dalle aree abitate. Nonostante le richieste in questo senso da parte dei Comitati cittadini, il Comune di Udine adotta una semplice delibera con cui pone alcune limitazioni alle nuove installazioni. La delibera ha temporaneamente successo nel rallentare il ritmo di crescita delle installazioni, ma è debole sul piano giuridico e viene attaccata dai gestori con vari ricorsi al Tar. Il Comune affida poi alla Fondazione Bordoni di Bologna l’incarico di redigere linee guida per la regolamentazione. Il documento prodotto dalla Fondazione viene contestato dai Comitati per le infondate assunzioni di principio che esso contiene, che ne inficiano la validità scientifica. In ogni caso le linee guida restano lettera morta, né si sa più nulla dell’ipotesi di installare una rete di centraline di monitoraggio dei campi elettromagnetici. Nel frattempo esce una legge-quadro nazionale (36/2001), con cui si intende disciplinare l’intera questione dei campi elettromagnetici. La legge rinvia a successivi regolamenti per la parte che riguarda gli aspetti di merito, ma mostra il chiaro intendimento di restringere l’autonomia decisionale delle Regioni e dei Comuni. Intendimento riaffermato con il decreto legislativo 198/2002 (“decreto Gasparri”), che mira a esautorare completamente la competenza urbanistica dei Comuni, ma la cui legittimità e applicabilità concreta è contestata da più parti. Essa non si estende comunque al Friuli-Venezia Giulia, in quanto regione a statuto speciale. Il Comune di Udine mantiene quindi una piena potestà regolamentare a fini urbanistici e di minimizzazione dell’esposizione, esplicitamente prevista dalla legge-quadro. Le pressioni dei Comitati e l’incombenza dei ricorsi al Tar persuadono infine il Comune a preparare una variante al piano regolatore. Il punto principale consiste nell’introduzione dell’obbligo da parte dei gestori di presentare un piano annuale delle installazioni esistenti e progettate. Nonostante i Comitati, esaminata la bozza, ne segnalino i numerosi punti di debolezza, la variante viene approvata nel luglio 2002 ed entra subito in vigore in via provvisoria. L’iter prevede infatti la possibilità di osservazioni da parte di gestori e cittadini e una successiva approvazione definitiva. La variante viene tuttavia pubblicata sul Bollettino ufficiale regionale con grave ritardo: così i Comitati possono presentare le proprie osservazioni solo nel novembre 2002, ma nel frattempo quasi tutti i gestori hanno presentato i propri piani e sono emerse in modo lampante le debolezze della variante. Che tali debolezze siano dovute a incapacità o all’intenzione deliberata di non infastidire troppo i gestori poco importa ai fini pratici. Riassumiamo le insufficienze più importanti:
1) viene estesa eccessivamente la permanenza di impianti provvisori o sperimentali.
2) viene consentito un periodo di ben tre anni per la rimozione degli impianti fuori norma e l’obbligo di rimozione riguarda poi solo gli impianti privi di autorizzazione edilizia o che abbiano cessato il servizio: praticamente nessuno. Il Comune rinuncia così a ogni impegno concreto per il risanamento delle situazioni più a rischio.
3) contrariamente a quanto faceva la delibera vigente prima dell’approvazione del piano, non sono previste distanze minime dalle abitazioni, dai luoghi di lavoro e dalle aree sensibili (scuole ecc.), nonostante fosse possibile giustificarle sotto il profilo urbanistico.
4) i tempi per la verifica dei piani da parte del Comune sono troppo ristretti (90 giorni): infatti sono ormai completamente saltati.
5) si prevede l’acquisizione del parere dei soggetti portatori di interessi diffusi, come i Comitati, ma non se ne specificano tempi e modalità né in che termini tale parere entri a far parte delle decisioni. Non è prevista inoltre alcuna forma adeguata di informazione dei cittadini riguardo ai piani dei gestori e alle singole installazioni.
6) ai gestori viene chiesto di giustificare la scelta dei siti e le caratteristiche tecniche degli impianti “evidenziando che tali scelte consentono di ridurre al minimo i livelli di esposizione generati”. Però non è prevista la costituzione in seno al Comune di un organismo tecnico di verifica, cosa ovviamente indispensabile se si vuole evitare che la verifica si riduca a un atto puramente burocratico.
7) il punto più grave, e quasi incredibile in quanto rende praticamente inutile la variante, è tuttavia che il comune decide di rinunciare alla possibilità di censura delle scelte tecniche e di localizzazione dei gestori, riservandosi la semplice formulazione di osservazioni e proposte, cui i gestori possono decidere di non ottemperare senza che ciò impedisca il rilascio delle autorizzazioni edilizie.
LA SITUAZIONE
La situazione attuale è la seguente:
i piani dei gestori prevedono l’installazione di un numero superiore al centinaio di nuove antenne, la maggior parte delle quali per le trasmissioni UMTS. La documentazione fornita in diversi casi è risultata lacunosa, tale da impedire al Comune una valutazione puntuale. Da parte loro i gestori sostengono, infatti, di essere tenuti a rispettare semplicemente il limite di 6 volt/metro imposto dalla normativa. Da notare che il decreto 381/1998 impone loro l’obbligo di non superare detto limite, ma anche prevede in sede di pianificazione e realizzazione una serie di accorgimenti atti a rendere l’esposizione la più bassa possibile. Compito del Comune, invece, dovrebbe essere proprio quello di verificare se i gestori ottemperino a tale norma. Questo perché, diversi siti ove già installate o di prossima realizzazione sono vicinissimi ad abitazioni e aree sensibili scuole, ospedali, ect. Dall’altra parte, i cittadini scoprono giorno dopo giorno l’amara realtà nuove installazioni, ancora una volta senza che si sia sentito il dovere di informarli minimamente di cosa li aspetta. Il silenzio del Comune verso il pubblico rimane pressoché totale.
COSA SI PUO’ FARE?
E’ possibile rimediare a una situazione gravemente compromessa, praticamente fuori controllo? Sì, ma a due condizioni.
Il COMUNE deve al più presto farsi parte attiva, il primo obiettivo sarebbe interessare la Regione affinché apporti una modifica della legge 28/2004 introducendo distanze minime dai siti sensibili, più in generale adottare strumenti di controllo e censura fissi al solo scopo di monitorate 24 su 24 i livelli di emissioni di onde elettromagnetiche ed, infine, redigere dei veri e seri protocolli d’intesa affinché il controllo del territorio torni nelle mani dell’amministrazione comunale senza lasciare all’arbitrarietà delle scelte di localizzazione ai gestori delle compagnie della telefonia mobile.
I CITTADINI devono a loro volta farsi parte attiva, chiedendo al Comune tutte le informazioni relative alle installazioni pianificate nelle aree che li riguardano, mobilitandosi con ogni forma di protesta e rivolgendosi se del caso agli organi giudiziari laddove queste informazioni vengano rifiutate o le concessioni edilizie siano rilasciate in spregio alle più elementari regole di prudenza e opportunità, deturpando il contesto paesaggistico ossia a ridosso delle case o all’interno del centro storico, senza che si siano valutate scelte per soluzioni alternative e più idonee.
VINCENZO TANZI

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