
RASSEGNA STAMPA
(riportiamo da Messaggero Veneto, edizione di Udine, pagina I)
Le ultime parole, lasciate scritte decine di volte su un foglio: «Aiutami Signore». Era seguito dai servizi sociali e, da un giorno, era ospite del vicino asilo notturno Fogolar
Si uccide impiccandosi nella chiesa di Pracchiuso
Un cinquantenne ha usato le corde delle campane per togliersi la vita. Se n’è accorta la farmacista
di ANNA ROSSO
Si è impiccato nella chiesa di Sant’Antonio, alle corde delle campane. È morto così, ieri sera in via Pracchiuso, un cinquantenne che aveva girato l’Europa per lavoro e aveva avuto la sua ultima dimora udinese in viale Cadore. Era un uomo cui la vita aveva piano piano rubato i sogni, ma non la dignità e la fede. Le sue ultime parole, lasciate scritte decine di volte su un foglio, sono state «Aiutami Signore».
Soffriva da tempo nel corpo (aveva con sé tantissima documentazione sanitaria), ma soprattutto nell’anima, anche a causa della solitudine. Era ospite da un giorno del Fogolar, l’asilo notturno che dista pochi metri dalla chiesetta. Ai gestori della struttura, che lo hanno accolto mercoledì mattina su invito dei servizi sociali del Comune, aveva detto di non avere più i genitori, nè sorelle, fratelli, mogli o figli. «Era stato ospitato per qualche giorno da un amico. Ma poi aveva dovuto andare via. E così si era rivolto a noi. Quando è arrivato, era già molto avvilito e non ci aveva nascosto la sua volontà di farla finita. Sembrava che l’incontro con l’assistente sociale l'avesse un po’ rincuorato...».Ieri sera è stata una dottoressa della farmacia Ariis – negozio che sta proprio accanto, sulla sinistra, alla chiesetta di Sant’Antonio da Padova – ad accorgersi che nell’edificio religioso stava accadendo qualcosa. Aveva sentito suonare le campane e sapeva che ciò non avveniva mai alle 18.15. Si, perchè la chiesa è aperta tutti i giorni dalle 7.30 alle 19.30, ma la messa viene celebrata solo una volta al mese, il primo martedì. È quindi uscita per vedere che cosa stesse capitando. Le è bastato affacciarsi alla porta per trovarsi di fronte alla scena drammatica. Ed era la seconda tragedia in poche ore, in quanto un’altra persona che viveva in condizioni difficili ieri è stata trovata morta in città, in un casolare nella zona di via Bariglaria.Poi sono arrivati i soccorsi: le pattuglie della Squadra volante e un’ambulanza del 118. Il personale sanitario, dopo pochi istanti, ha capito che non si poteva fare più nulla per salvare quell’uomo. Si poteva solamente constatare il decesso e per questo è arrivato anche il medico legale.Dopo pochi minuti si è presentato il parroco, don Cristiano Cavedon: «Non era un parrocchiano – ha detto uscendo dalla chiesetta –, anche se ho avuto l’impressione di averlo già visto. Non lo so quale percorso lo abbia condotto a compiere questo gesto nella Casa del Signore. Forse un “filo” doppio: da una parte la disperazione e, dall’altra, la fiducia in Dio». Davanti alla porta, per vedere cos’era accaduto, si è fermata anche la signora Silvana Petri, sacrestana di quella chiesetta-gioiello da ben 10 anni. «C’è un incendio?» ha chiesto preoccupata alla polizia. «...perchè ho lasciato qualche candela accesa». E quando è stata informata dell’accaduto il suo sorriso (era appena stata, vestita da Mary Poppins a una festa di Carnevale per anziani) si è trasformato in un’espressione malinconica. «Avrei dovuto chiudere la chiesa più o meno a quest’ora – ha aggiunto –, qui c’è sempre tanta gente che viene a pregare. Un tempo questa, costruita nel 1355, era la chiesa di San Valentino. Poi è stata realizzata quella più grande...».
Soffriva da tempo nel corpo (aveva con sé tantissima documentazione sanitaria), ma soprattutto nell’anima, anche a causa della solitudine. Era ospite da un giorno del Fogolar, l’asilo notturno che dista pochi metri dalla chiesetta. Ai gestori della struttura, che lo hanno accolto mercoledì mattina su invito dei servizi sociali del Comune, aveva detto di non avere più i genitori, nè sorelle, fratelli, mogli o figli. «Era stato ospitato per qualche giorno da un amico. Ma poi aveva dovuto andare via. E così si era rivolto a noi. Quando è arrivato, era già molto avvilito e non ci aveva nascosto la sua volontà di farla finita. Sembrava che l’incontro con l’assistente sociale l'avesse un po’ rincuorato...».Ieri sera è stata una dottoressa della farmacia Ariis – negozio che sta proprio accanto, sulla sinistra, alla chiesetta di Sant’Antonio da Padova – ad accorgersi che nell’edificio religioso stava accadendo qualcosa. Aveva sentito suonare le campane e sapeva che ciò non avveniva mai alle 18.15. Si, perchè la chiesa è aperta tutti i giorni dalle 7.30 alle 19.30, ma la messa viene celebrata solo una volta al mese, il primo martedì. È quindi uscita per vedere che cosa stesse capitando. Le è bastato affacciarsi alla porta per trovarsi di fronte alla scena drammatica. Ed era la seconda tragedia in poche ore, in quanto un’altra persona che viveva in condizioni difficili ieri è stata trovata morta in città, in un casolare nella zona di via Bariglaria.Poi sono arrivati i soccorsi: le pattuglie della Squadra volante e un’ambulanza del 118. Il personale sanitario, dopo pochi istanti, ha capito che non si poteva fare più nulla per salvare quell’uomo. Si poteva solamente constatare il decesso e per questo è arrivato anche il medico legale.Dopo pochi minuti si è presentato il parroco, don Cristiano Cavedon: «Non era un parrocchiano – ha detto uscendo dalla chiesetta –, anche se ho avuto l’impressione di averlo già visto. Non lo so quale percorso lo abbia condotto a compiere questo gesto nella Casa del Signore. Forse un “filo” doppio: da una parte la disperazione e, dall’altra, la fiducia in Dio». Davanti alla porta, per vedere cos’era accaduto, si è fermata anche la signora Silvana Petri, sacrestana di quella chiesetta-gioiello da ben 10 anni. «C’è un incendio?» ha chiesto preoccupata alla polizia. «...perchè ho lasciato qualche candela accesa». E quando è stata informata dell’accaduto il suo sorriso (era appena stata, vestita da Mary Poppins a una festa di Carnevale per anziani) si è trasformato in un’espressione malinconica. «Avrei dovuto chiudere la chiesa più o meno a quest’ora – ha aggiunto –, qui c’è sempre tanta gente che viene a pregare. Un tempo questa, costruita nel 1355, era la chiesa di San Valentino. Poi è stata realizzata quella più grande...».
Tutta la sua vita chiusa in una valigia
Lavorava nella ristorazione, ma aveva anche un diploma di stilista di moda
CHI ERA
Tutta la vita di un uomo racchiusa in una valigia, dal certificato di nascita alle buste paga, dai referti sanitari a un colorato diploma di stilista di moda. Il cinquantenne che si è tolto la vita ieri sera, come testimonia il libretto di lavoro sul quale sono annotati decine di contratti, era uno che si è sempre dato da fare. Ha lavorato in Austria, Germania, Olanda ed Inghilterra, quasi sempre nel settore della ristorazione. Spesso faceva anche qualche “stagione” a Lignano. Insomma, era uno che si rimboccava le maniche e che, molto probabilmente, preferiva non chiedere nulla agli altri. Chissà, magari era anche riuscito, per un po’, ad accantonare qualche risparmio. Poi sono cominciati gli acciacchi. E infatti la polizia ha trovato decine di carte riguardanti visite varie ed accessi al pronto soccorso. Uno stato di salute non più ottimale, unito alla mancanza di affetti familiari (di cui lui stesso ha parlato ai responsabili dell’ufficio notturno) hanno probabilmente spezzato l’equilibrio interiore di quest’uomo, che ormai troppo spesso negli ultimi giorni diceva «Non ce la faccio più».Sulla sua valigia rossa e blu c’è una fascetta che “parla” del suo viaggio più recente: l’11 febbraio era atterrato a Venezia. In teoria, proveniva dall'Olanda, che risulta essere stata la sua residenza negli ultimi due anni. Anche se, di nascita, il cinquantenne è originario della provincia di Alessandria, in Piemonte.All’asilo notturno Fogolar, sin dal suo arrivo, era sembrata una brava persona, seppure in un momento di difficoltà. Era ben vestito e curato. Parlava con garbo e non cercava di nascondere i suoi sentimenti. Anzi, ne parlava, quasi per cercare di alleggerire un po’ il peso che aveva sul cuore. «Sapeva che avrebbe potuto rimanere da noi per almeno otto giorni – spiegano ancora al Fogolar, struttura gestita da Comune e Caritas che può ospitare fino a 23 persone – qui, come gli avevamo detto, avrebbe potuto riflettere, per poi ripartire. E invece...». (a.r.)
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