LO STUDIO DELL’ENAC
Piano degli aeroporti Venezia diventa hub con Ronchi ”satellite”
«Trieste punti alle rotte mitteleuropee però prima serve l’alta velocità ferroviaria»
di PIERCARLO FIUMANÓ
TRIESTE L’architetto Giulio De Carli, ammininistratore delegato di One Works, ha appena ricevuto dall’Enac (l’Ente nazionale dell’aviazione civile) e dal ministero delle Infrastrutture, l’incarico, in cordata con Kmpg e Nomisma, di avviare gli studi per il nuovo piano nazionale degli aeroporti. Il masterplan dell’aeroporto di Venezia, elaborato da De Carli, prevede una stretta integrazione con il treno ad alta velocità e la rete ferroviaria regionale: «Venezia come hub aeroportuale, servito da una rete infrastrutturale adeguata agli standard europei. E l’aeroporto di Ronchi scalo specializzato nelle rotte verso l’Est Europa».Architetto De Carli, è difficile immaginare un piano che integri gli aeroporti italiani dopo il caos degli ultimi tempi..Il nostro è uno studio propedeutico alla redazione del piano nazionale degli aeroporti. Il caso Italia è molto importante perchè, sia sul fronte del trasporto aereo e dei vettori che hanno assicurato il servizio in questi anni, sia sul fronte delle infrastrutture, c’è stato molto disordine. La lunga vicenda Alitalia, ora arrivata a un punto di svolta significativo dopo anni di piani di risanamento e progetti industriali annunciati e mai realizzati, si è finalmente chiarita con un assetto stabile. Il mercato nel frattempo, a causa della crisi economica, ha operato una selezione delle piccole compagnie.Sul fronte delle infrastruttuere c’è molto da fare per razionalizzare la geografia degli aeroporti.L’arrivo dei vettori low cost, soprattutto nei piccoli scali, ha «drogato» il mercato generando flussi importanti di traffico anche su scali di piccola dimensione verso destinazioni non necessariamente servite da bacini di utenza. Sono state sfruttate certe opportunità ma al di fuori di ogni pianificazione. Caos e assenza di pianificazione hanno così prodotto nell’ultimo decennio una crescita in media del 5% l’anno mentre in alcuni casi (Bergamo, Venezia, Treviso) ci sono state anche crescite a due zeri. Stiamo studiando la situazione nel suo complesso. Assieme all’Enac trarremo le conclusioni necessarie per elaborare precisi indirizzi strategici.E cioé?Vorremmo mettere ordine nel sistema aeroportuale e infrastrutturale. L’obiettivo è quello di dare risposte coerenti fra disponibilità di infrastrutture al servizio dell’utenza e la domanda di bacini di traffico. Oggi c’è molta approssimazione e poca coerenza. Prima della crisi, che ha portato alla revisione al ribasso dei traffici, diversi studi documentavano una saturazione della capacità aeroportuale in Italia entro il 2015. Se gli effetti della crisi persisteranno accadrà nel 2020.Che fine faranno Trieste e gli aeroporti minori?Il nostro studio non metterà una croce sugli aeroporti minori annunciandone la chiusura ma cercherà di documentare gli scenari prospettici che mostreranno in modo analitico e scientifico che cosa accadrà. Anche lo sviluppo di un piccolo scalo come Ronchi deve essere pianificato in una ottica europea con infrastrutture che saldino diverse modalità di trasporto.Lei ha avviato il masterplan dell’aeroporto di Venezia: un caso di pianificazione premiato a Bruxelles. Cosa prevede?Il masterplan dello scalo veneto prevede l’integrazione con il treno ad alta velocità e la rete ferroviaria regionale che arriveranno direttamente in aeroporto. Venezia si trova al centro di un nodo autostradale importantissimo. L’aeroporto ha una buona capacità di spazio e già oggi sta pianificando una crescita che potrà essere realizzata quanto sarà necessario. Ciò non significa che si stia già progettando una seconda pista, ma quando servirà si farà. Lo scalo veneziano diventerà un hub aeroportuale per il Nordest. Sono previsti collegamenti con il Nord America, Emirati Arabi, Far East. Il trasporto aereo mondiale si sta riorganizzando intorno a poli dove è possibile garantire frequenze e destinazioni.Quindi anche Trieste diventerà uno scalo «satellite» integrato nell’hub aeroportuale di Venezia..Sì. Gli aeroporti minori dovranno coordinarsi con gli hub dove è garantita l’intermodalità. Trieste può offrire una domanda specifica e mirata per la sua collocazione geografica: penso ai collegamenti con l’Est Europa che mi sembrano una vocazione di carattere regionale interessante.Trieste però continua ad avere collegamenti poco frequenti e scomodi con Milano Malpensa e la capitale..In futuro il collegamento Trieste-Milano sarà servito da una linea ferroviaria ad alta velocità. Mi auguro che ciò avvenga in tempi rapidi come oggi accade fra Roma e Milano. La competizione fra treno e aereo è salutare.Oggi il viaggio in treno da Trieste a Venezia dura oltre due ore. Come raggiungere il Marco Polo?È vero. La prospettiva futura però non sarà questa. Che si possa partire da Trieste e si possa raggiungere il Marco Polo con treni veloci e da qui prendere il volo per Milano sarà una situazione normale: penso alla Germania, ad esempio. Non è una situazione meno scomoda di quella di oggi: i manager triestini non amano alzarsi alle 4 del mattino per raggiungere Malpensa da Trieste.Il futuro è nell’alta velocità. Ma se ne parlerà fra anni...Ci dovrà essere una risposta rapida a una richiesta di mobilità rapida. I piccoli aeroporti dovranno essere chiamati a svolgere questo tipo di servizio in attesa che si completino i progetti integrati fra aeroporti e ferrovie. Credo molto nel ruolo che gli aeroporti possono svolgere mentre si realizzano altre infrastrutture. Bisogna conoscere il quadro evolutivo.E in futuro?Nei prossimi anni la vita dell’aeroporto di Trieste resterà legata anche a servizi come i collegamenti con Milano e Roma, ma la prospettiva non sarà questa. Trieste dovrà integrarsi in un hub aeroportuale, che sarà quello di Venezia, collegato a una rete infrastrutturale e all’alta velocità. Nel frattempo potrà curare una specializzazione verso l’Est Europa. Alla fine vince chi pianifica meglio il proprio futuro.Il rovescio della medaglia è che l’alta velocità si farà fra diversi anni ma intanto le piccole e medie tratte ferroviarie sono disastrate e con tempi medi di percorrenza insostenibili.Sono d’accordo ma pianificare significa anche sostenere il costo di infrastrutture e servizi. Credo che l’inserimento dell’aeroporto di Venezia in un progetto europeo (Ten) di sviluppo delle reti aeroportuali sia importantissimo. Il futuro è in Europa, il futuro è nella mobilità.
DUE GIORNI PER DECIDERE
Lite sul referendum la Lega alza il muro: no all’election-day
Possibile il voto assieme ai ballottaggi Cicchitto (Pdl): «Trattiamo, ma su tutto»
di GABRIELE RIZZARDI
ROMA «Manteniamo la nostra assoluta contrarietà all’accorpamento tra il referendum e le elezioni europee perché crediamo che sia incostituzionale». La partita sull’election day, ancora tutta da giocare, divide i poli e Roberto Calderoli al termine del vertice con Bossi conferma il no chiario e tondo della Lega. Ma dietro le parole del ministro della Semplificazione, che parla di un clima ottimo nella maggioranza e assicura che alla fine sarà trovata una soluzione, prende corpo la possibilità di un’intesa che preveda un mini-accorpamento del referendum sulla legge elettorale con il secondo turno delle elezioni amministrative previsto per il 21 giugno. Ipotesi che richiederebbe comunque una legge ad hoc perché la norma attuale prevede che per i referendum si possa votare in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. «Nei prossimi giorni parleremo con Berlusconi» dice Calderoli, per il quale c’è comunque un problema costituzionale di segretezza del voto: «Un elettore dovrebbe rifiutare la scheda del referendum se va a votare per le altre elezioni e quindi si capirebbe che il suo è un rifiuto politico».Una motivazione che non convince Dario Franceschini. Il segretario del Pd insiste sulla necessità di destinare ai terremotati aquilani i risparmi che deriverebbero dall’accorpamento delle elezioni amministrative ed europee con il referendum. «Sono settimane che ripetiamo che non ha senso sprecare più di 400 milioni di euro per impedire di votare la stessa domenica, il 7 giugno, europee, amministrative e referendum insieme. Non ha proprio senso far pagare agli italiani una specie di Bossi-tax», spiega Franceschini, che deve fare comunque i conti con chi nel Partiro democratico non condivide il sistema bipartitico che uscirebbe fuori dal referendum elettorale. Se vincessero i sì, il premio di maggioranza (55%) non verrebbe più assegnato alle coalizioni ma alla lista che otterrebbe più voti.«Una legge come questa - protesta Calderoli - consentirebbe ad una lista di maggioranza relativa, paradossalmente anche soltanto con il 10% dei consensi, di ottenere fino al 55% dei seggi. È una cosa che non si è vista neppure nel Ventennio». Il ministro leghista è allarmatissimo e a Franceschini che lo invita a non sprecare soldi che potrebbero essere utilizzati per i terremotati dell’Abruzzo, risponde che «sciacallo è chi in questo momento specula sui morti e sugli sfollati».La data del 21 giugno soddisferebbe la Lega perché il raggiungimento del quorum al secondo turno delle amministrative è molto difficile, considerando anche che tutti i piccoli comuni ne sono esclusi. Nell’attesa che venga presa una decisione, il presidente del comitato promotore del referendum, Giovanni Guzzetta, convoca una conferenza stampa a Montecitorio insieme a Mario Segni e Arturo Parisi, per chiedere al governo di non cedere al «ricatto della Lega». Per il comitato promotore, la data del 21 giugno è una «farsa». «Il risparmio è esiguo. Si passerebbe da una porcata da 400 milioni a una porcata da 300 milioni» spiega Guzzetta, che chiede al governo di convocare entro domani il Consiglio dei ministri che dovrebbe accorpare per il 7 giugno il referendum elettorale alle europee.
AGIBILE IL 53% DELLE CASE. UN CRONISTA: ECCO COME HO PERSO DUE FIGLI E MIO PADRE
L’Aquila ci prova: voglia di ricominciare
Maroni: per ricostruire necessari 12 miliardi. Mutui, rate sospese ai terremotati
Pubblichiamo l’articolo del collega Giustino Parisse del quotidiano «Il Centro» di Pescara che nel sisma ha perso il padre e due figli.
di GIUSTINO PARISSE
L’AQUILA Quanto era bella Onna quella notte, prima dello scossone orrendo. La luna rischiarava i vicoli: via dei Calzolai, via Oppieti, via dei Martiri, via Ludovici, via della Ruetta, via delle Siepi. Dentro, mille anni di storia e milioni di storie: uomini e donne che quel piccolo paese in fondo alla valle dell’Aterno avevano costruito e amato. In quella orrenda notte abbiamo perso tutto: le vite umane, le case, il nostro paese.Non sentirò più gli odori: da bambino a ogni passo c’era una stalla. Sotto gli animali, sopra gli uomini. Nei giorni di festa i profumi del pomodoro fresco per fare il sugo rallegrava il palato ancor prima di consumare il pasto. E poi le voci, la colonna sonora di un paese di gente semplice. Quella notte dopo lo scossone orrendo le voci non c’erano più. La luna rischiarava il silenzio. Il dolore tanto forte da spezzare le corde vocali. Quella notte era una bella notte. Nella mia casa c’erano due angeli, erano nel loro lettino. Riposavano. Attendevo già il rumorio di un mattino normale. Quando si alzavano per contendersi il bagno. La mamma che li chiamava: sbrigatevi, è tardi, la scuola vi attende. L’ultima carezza, l’ultima rassicurazione.L’orrendo scossone. La corsa verso quelle camerette, il grido spezzato: papà, papà. Domenico arrivo, arrivo.Resisti, resisti. Polvere, sassi, disperazione. Dall’altra parte della casa il grido della mamma: Maria Paola è qui. Lo sento. Un barlume: arrivo ad aiutarti. No, è solo speranza.L’orrendo scossone non perdona. Nella notte, sul tetto che non è più un tetto, l’abbraccio di un padre e una madre.Quella casa che diventa una tomba, la tomba dei sogni, la tomba dei tuoi figli per i quali hai lottato e poi quella notte scopri che li hai solo portati nel baratro. È la tua storia che finisce, è la tua casa che sparisce, il tuo paese che non c’è più. Poi le luci del giorno beffarde. C’è il sole, sullo sfondo brilla il Gran Sasso. Gli uccelli cantano la primavera. Tu sei là, a guardare il vuoto. Arrivano gli amici, i soccorsi. E inizia il rosario della morte: Gabriella, Luana, Berardino, Susanna, Fabio e poi ancora, ancora e ancora: fino a 38. Era quella la mia gente, è quella la mia gente anche nella morte.I miei bambini estratti dalle macerie. Nemmeno il coraggio di guardarli. La morte non deve avere un volto. La vita deve trionfare: il ricordo è del sorriso, degli occhi pieni di gioia, non del ghigno mortale di una faccia disfatta. Mamma che si salva: il volto insanguinato non lo riconosco. Papà è ancora seppellito sotto una montagna di macerie. Si lavora per portarlo via. Poi vado via anche io, fuggo dall’orrore.Fuggo dalla mia storia. Fuggo dalla mia vita. Tutto finisce nella notte dell’orrendo scossone. Non sento la radio, non guardo la tv. Poi, qualche sera dopo, incrocio con gli occhi l’immagine della chiesa parrocchiale: là si sono sposati mia madre e mio padre, là sono stato battezzato, là ho pregato con la mia gente la statua della Madonna delle Grazie. Mi dicono che devono portarla via. Era nella sua nicchia dalla fine del 1400, quando la mano ispirata dell’artista Carlo dell’Aquila l’aveva modellata. Siam peccatori ma figli tuoi, Maria di Grazie prega per noi: il canto è risuonato milioni di volte, almeno venti generazioni di onnesi hanno toccato quella statua, l’hanno baciata e hanno sfiorato quel bambino Gesù che stringe forte forte fra le manine un uccellino. La Madonna se ne va, depositata dentro un container.Terremotata anche lei. Tornerà, sì tornerà, quando le macerie risorgeranno. Via dei Martiri non c’è più: nel 1944 la mano cattiva dell’uomo l’aveva resa simbolo della sofferenza, dell’uomo che si accanisce sull’uomo. Diciassette onnesi, la mia gente, annientati dalla follia di una guerra senza senso.Quella strage mi ha perseguitato per trenta anni: ho cercato di capire, di spiegare, di dare una ragione a quella violenza tanto assurda. Ho sperato anche di dare uno spunto per cercare giustizia. Oggi via dei Martiri piange altri morti: stavolta l’assurdo è il tremendo scossone. Tanti anni fa scavando nella storia del mio paese mi sono imbattuto nelle carte dell’archivio parrocchiale. Mi colpì una data: 2 febbraio 1703. Il parroco di quel giorno scrisse: ora sesta, orrendo scossone, la chiesa parrocchiale per intercessione di San Piero Apostolo è rimasta in piedi, una sola persona è morta.Nel 1753 fu costruito il campanile, intorno una scritta a ricordo del parroco che lo aveva fatto realizzare: Beneditus Pezzopan, Unda prepositus. Due giorni fa i vigili del fuoco hanno preso la campana grande recuperata fra le macerie del campanile. L’hanno fatta suonare nella tendopoli. Sarà rinascita? Alla mia gente dico andate avanti, io non so se ce la farò, non so nemmeno come sono riuscito e scrivere questi pochi pensieri. Grazie alla mia seconda famiglia: gli amici e colleghi del quotidiano «Il Centro». Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutato e confortato in questi giorni.Quanto era bella Onna quella notte prima dello scossone orrendo.
SI RIAFFACCIA L’INCUBO DEI CAVALCAVIA: «CI DIVERTIVAMO». DENUNCIATI
Sassi contro l’autobus: presi 4 sedicenni
Colpito il finestrino anteriore: sulla ”20” all’una di notte c’era solo il conducente
di CORRADO BARBACINI
Quattro ragazzi di sedici anni sono stati fermati dalla polizia dopo che si erano divertiti a lanciare i sassi contro i finestrini di un autobus in transito. È successo attorno all’una della notte tra sabato e domenica all’altezza di Aquilinia. Si è riaffacciato l'incubo del lancio delle pietre dai cavalcavia. Lo scopo era chiaro: centrare a pietrate i bersagli mobili come un mezzo pubblico.Nel bus della linea 20 che stava rientrando verso il deposito dopo l’ultima corsa non c’erano passeggeri. Ma solo per un miracolo, per una minima frazione di tempo, il conducente non è stato colpito dalle pietre gettate nel buio dall’alto verso il basso da una sorta di montagnola ricavata dalla strada che comincia a salire in quel punto e che quindi si trova più in alto rispetto alla strada dove passava l’autobus.I sassi, come poi hanno accertato gli agenti della squadra volante del commissariato di Muggia, hanno raggiunto il bus sui vetri delle porte anteriore e centrale del mezzo pubblico. I quattro sono stati denunciati alla procura per i minori. A loro carico non è stato ipotizzato solo il reato di danneggiamento aggravato, ma anche quello ben più importante di attentato alla sicurezza dei trasporti.L’allarme è scattato pochi minuti dopo l’una. Il conducente dell’autobus che era all’altezza dell’incrocio di Montedoro, dopo aver sentito il rumore non si è spaventato. Ha continuato a guidare e si è fermato dopo una trentina di metri per controllare quello che era successo. Intanto dallo specchietto retrovisore ha visto quattro ragazzi che fuggivano dopo la bravata.Il guidatore dopo aver trovato i vetri rotti ha telefonato al 113 avvisando dell’accaduto la sala operativa della polizia. «Alcuni ragazzi hanno lanciato i sassi contro l’autobus che stavo guidando», sono state le sue parole.Per una pura coincidenza la pattuglia della squadra volante si trovava in quel momento non lontano da Aquilinia, a un centinaio di metri dal punto in cui si è fermato il bus. Subito sono scattate le ricerche dei lanciasassi che in breve, grazie anche alle indicazioni del guidatore del bus, sono stati raggiunti all’altezza dell’ingresso dell’Autamarocchi. I quattro ragazzi stavano tornando verso le rispettive abitazioni a Muggia. Ma il conducente del bus aveva bene in mente l’immagine dei quattro che scappavano. «Sono stati loro, non ho dubbi», ha detto ai poliziotti. Così gli agenti, dopo averli identificati, li hanno accompagnati a casa raccontando ai genitori quello che era accaduto, invitandoli in commissariato. «Non sapevamo cosa fare, volevamo passare la serata in modo diverso, più esaltante», si sono giustificati i minorenni. Ora dovranno spiegarlo al giudice che quello per loro era solo un gioco, un passatempo.L’ultimo episodio simile risale a marzo di due anni fa in via del Molino a Vento. Da via Petitti di Roreto quattro teppisti avevano preso pietre e mattonelle e le lanciavano con forza sulle auto parcheggiate nella strada sottostante. I sassi avevano sfiorato alcuni passanti, rimasti per fortuna incolumi, mentre tre vetture erano state danneggiate.
SISMA E TELECAMERE
LA SFILATA DEI POLITICI di FRANCO DEL CAMPO
Andare o non andare? Essere vicini a chi soffre o apparire davanti alle telecamere? Il dilemma esiste, ma non ha sfiorato molti autorevoli uomini politici.Cosa è più opportuno fare in una situazione del genere, quando un pezzo d'Italia è stato raso al suolo?
Quando ci sono centinaia di morti e migliaia di famiglie hanno perso quasi tutto? Chi ha delle cariche politiche e istituzionali in certi momenti ha il dovere di essere presente, di farsi vedere e toccare con mano persone e cose, anche per capire meglio la realtà che lo circonda. Gli italiani hanno sempre guardato con invidia e ammirazione la casa regnante inglese, che durante la seconda guerra mondiale, sotto le bombe naziste, non ha mai abbandonato Londra e il suo popolo, a differenza dei Savoia, che hanno barattato la loro fuga abbandonando Roma e l'esercito senza ordini. Anche per Bush, l'inizio della fine è stata la sua assenza dopo la distruzione di New Orleans a causa dell'uragano Katrina.Adesso, dentro la tragedia del terremoto che ha colpito l'Aquila e la sua provincia, cosa devono fare i nostri politici? Andare a vedere di persona e magari testimoniare la loro vicinanza o andare a farsi vedere dalle telecamere per rilasciare dichiarazioni che potevano fare anche da casa? Proviamo a ragionare davanti a quelle immagini che ci arrivano insistenti dalle televisioni. È senza dubbio giusto e doveroso che i vertici dello Stato siano presenti sul territorio per dare una parola di conforto e di speranza (facendo poi seguire i fatti). Così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha visitato le zone terremotate, indossando - unico tra i presenti - un casco dei vigili del fuoco, con lo sguardo severo e il viso insolitamente rugoso. Così ha fatto il presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, che si è subito tolto il medesimo casco e si è seccato con i giornalisti che si accalcavano intorno a lui. Ma lo hanno fatto anche una decina di ministri, presidenti di Regioni e Province (di destra e di sinistra), che forse potevano accontentarsi della testimonianza del presidente della Repubblica e del Consiglio. Invece - a quanto pare - devono esserci tutti e tutti devono farsi vedere, rilasciare interviste probabilmente inutili. Ogni personalità che arriva in quelle zone impegna un paio di elicotteri, qualche auto, decine di carabinieri e poliziotti, interrompe il lavoro dei volontari e dei vertici della Protezione civile e dei vigili del fuoco che devono accompagnarli e guidarli nel tour mediatico. «Dieci ministri in tre giorni. Incredibile, adesso finalmente si ricordano di noi…», ha detto Stefania Pezzopane, sconosciuta presidente della Provincia de L'Aquila, che - assieme al sindaco della città - pur essendo rappresentante di quel territorio e conoscendo quelle persone spaventate, quasi non esiste per le televisioni nazionali. A Pezzopane, in particolare, non è piaciuto il ministro dell'Agricoltura, Luca Zaia, che appena sceso dall'elicottero, prima di dare un'occhiata in giro, «è corso subito davanti alle telecamere della Rai».Come si spiega tutta questa mobilitazione mediatica? Forse perché tra poco ci saranno le elezioni europee? Visto che ormai siamo tutti andreottiani, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Ora, però, basta: chi non è proprio indispensabile resti a casa propria e lasci lavorare chi è veramente indispensabile, come i volontari della Protezione civile e i pompieri. I giornalisti, invece, ci raccontino quello che vedono e soprattutto ci aiutino a non dimenticare.Franco Del Campo
ACCORPARE O NON ACCORPARE?
UN CONSIGLIO CHE BOSSI NON ASCOLTERÀ di ROBERTO WEBER
Comunque vada a finire la vicenda del referendum, a oggi la battuta migliore è di Franceschini, segretario del Partito democratico: «Non ha senso far pagare Bossi-tax». La ”Bossi-tax”, per chiarirci, sarebbe il costo (sembra 400 milioni di euro) che gli italiani dovrebbero sostenere qualora il referendum sulla legge elettorale anziché essere effettuato nello stesso giorno delle elezioni europee, fosse spostato di una settimana o di due in concomitanza con il secondo turno delle elezioni amministrative (in questo caso il costo scenderebbe a circa 300 milioni di euro).Come vi è agevole comprendere, si tratterebbe di una ”tax” indebita, che avrebbe un unico fine: fare in modo che in una splendida giornata estiva gli italiani scelgano il mare e la collina e il referendum non raggiunga il quorum. Ciò ne invaliderebbe l'efficacia, a tutto favore della Lega.Solo della Lega? A dire il vero anche a favore dell'Udc di Casini, di Rifondazione comunista e dei partiti di sinistra minori, dell'Idv di Antonio di Pietro, della Destra di Storace, insomma di tutti i partiti che non possono ambire a una ”funzione maggioritaria” e che quindi da un meccanismo che andrebbe a dare il premio di maggioranza al partito che prende più voti uscirebbero ”cancellati”.Gli unici partiti effettivamente interessati a una vittoria referendaria ”potrebbero” essere il Pdl e il Pd. Il Pdl perché con il 37 o 40% dei voti avrebbe il controllo del Parlamento andando a nuove elezioni e il Pd perché gioco forza si ritroverebbe a drenare consensi e voti dagli altri partitini e comunque svolgerebbe una funzione da magnete. In fondo, secondo lo schema potenziato delle scorse elezioni, dove in una certa misura - bisognerebbe tuttavia studiarsi a fondo in che misura - scattò il meccanismo del voto utile e il Pd sfiorò il 34% dei consensi.Prima domanda: è opportuno che per favorire gli interessi di una serie di forze politiche, si facciano spendere 400 milioni agli italiani? A noi - e credo alla maggioranza dell'opinione pubblica informata - sembra di no, in particolare di questi tempi. Seconda domanda: è ”sportivo” sottrarsi al giudizio degli elettori, facendo rinviare la partita? Secondo noi e secondo la maggioranza degli sportivi italiani naturalmente no, perché le regole sono sacrosante e non vanno cambiate in corsa, soprattutto se il ”cambio” costa 400 milioni di euro.
E allora ci permettiamo di dare un consiglio a Bossi, che è uomo accorto ma anche coraggioso. Faccia bene i conti e accetti di andare alle urne nello stesso giorno delle elezioni europee. Penso che abbia piuttosto poco da temere. I ”conti” sono presto fatti: alle europee avremo una partecipazione inferiore alla volta scorsa: è ipotizzabile che nel migliore dei casi l'affluenza oscilli fra il 60 e il 66% degli italiani. Ragionevolmente di questi una parte cospicua, non meno del 30%, voterà per i partiti cosiddetti ”minori” e sarà quindi poco interessata a una forma di eutanasia politica. A questa fascia di elettorato è probabile che si aggiunga una certa quota di elettori del Pd che temono di dare in mano una super-maggioranza a Silvio Berlusconi, senza contare che qualche scricchiolio si potrebbe avvertire anche all'interno dell'elettorato del Pdl. Sono finiti infatti i tempi della ”militarizzazione” dell'opinione e mentre i partiti piccoli o territoriali proprio per la loro natura di ”nicchia” conservano una certa capacità di indirizzo, quelli grandi fanno acqua da più parti.Bossi ascolterà il nostro consiglio? Ne dubito. È presumibile invece che si punti alla soluzione di mediazione in chiave dorotea: si voterà nella domenica di ballottaggio e non ci sarà alcun quorum.Per l'infelicità dei ”referendari”, per le tasche alleggerite degli italiani e per qualche punticino in meno raccolto dai partiti di centrodestra, niente di che ma un piccolo freno. A centrodestra infatti, specie al Nord, sono piuttosto pragmatici e 400 milioni in fumo qualche fastidio lo creeranno. È tuttavia un prezzo che Berlusconi sa di dover pagare, memore del fatto che quando lascia la Lega Nord la sconfitta per lui è dietro all'angolo.Roberto Weber
Rinasce il ”Maggiore” rimesso a nuovo
Ristrutturati 8mila metri quadrati, spesi 20 milioni. Il 4 giugno l’inaugurazione
di GABRIELLA ZIANI
La grande impalcatura scende e scende. Il 18 aprile sarà terminato dopo due anni un altro pezzo di restauro dell’ospedale Maggiore, nei due mezzi lati su piazza dell’Ospitale e via Slataper. Ieri l’ultimo sopralluogo da parte del direttore tecnico dell’Azienda ospedaliero-universitaria, Pierfrancesco Martemucci, coi responsabili del consorzio Edilsa che ha realizzato i lavori, mentre il manager Franco Zigrino ha già concordato con la Regione, e col presidente Renzo Tondo, la data inaugurale. Sarà il 4 giugno, salvo imprevisti, frequentissimi peraltro quando si parla di lavori pubblici. Tutti i ritardi però a questo punto dovrebbero essere stati già ingeriti e superati, dato che la fine lavori di questo lotto si discosta abbastanza da quanto scritto a suo tempo sulla carta (aprile 2008), da quanto in seguito sperato visto il veloce andamento del cantiere (ottobre 2008) e anche da una prima attesa di veder uscire gli operai dal cantiere il 18 gennaio scorso. Quest’ultima data è stata prolungata per necessità di aggiungere adeguamenti impiantistici.«A questo punto tutto è concluso - dice Zigrino -, ci sono 160-170 persone all’opera contemporaneamente, poi ci servirà un mese per le operazioni di collaudo e per la sistemazione degli arredi, acquistati da tempo: le ditte aspettano solo l’ordine di consegna».Nei nuovi spazi, che misurano attorno agli 8000 metri quadrati e sono costati circa 20 milioni di euro, troveranno sede reparti che già sono al Maggiore ma in posti provvisori, come Odontostomatologia che con appositi interventi fu traslocata per lasciar spazio al restauro, e che adesso radunerà anche la sezione di reparto che è a Cattinara, con 40 poltrone dentistiche in totale; la Dialisi, che avrà finalmente una sede più acconcia; il Centro prelievi, di cui si può dire altrettanto; gli ambulatori di Neurofisiopatologia, l’area funzionale di Cardiologia. Ma per i cittadini sarà una novità anche trovare il Cup non più al terzo piano di via Stuparich (palazzina che verrà demolita col prossimo lotto di lavori) ma al piano terra dell’ospedale, dove all’ingresso si troverà anche l’Ufficio relazioni col pubblico. L’atrio, zona «monumentale», verrà da qui in avanti ristrutturato a parte: «Sarà un intervento di recupero storico, che richiede un lavoro completamente diverso e una particolare attenzione al dettaglio» specifica Martemucci.Nel dettaglio, dunque, ecco dove si troveranno i reparti con la nuova collocazione. Nei piani interrati ci saranno locali tecnici (al servizio soprattutto della dialisi) e magazzini. Al piano terra, su piazza dell’Ospitale: Cup, Centro prelievi, Neurofisiopatologia (che fa parte della Clinica neurologica di Cattinara e dove si fanno esami come l’elettroencefalogramma, l’elettromiografia, le prove per l’epilessia). Sempre al piano terra, ma su via Slataper, si troveranno la Cardiologia (diretta da Gianfranco Sinagra come il reparto del polo di Cattinara) e gli ambulatori per la riabilitazione cardiologica. Al primo piano, su questo lato, si sistemerà l’Odontostomatologia. Al secondo piano si insedieranno la Dialisi e la direzione sanitaria. Il terzo piano sarà interamente occupato da uffici e sale riunioni: si tratta del sottotetto mansardato, un restauro filologico.
Il massacro che cambiò la gente Nordest nel gorgo della paura di GIANFRANCO BETTIN
Di casolare in casa, di villetta in villa, d’improvviso, i cani si mettono ad abbaiare. E’ il cane della villa più grande a cominciare. Si chiama Luna ed è un bravo pastore tedesco. Ululati, latrati, guaiti gli rispondono e si richiamano nella notte. È una notte d’agosto, un agosto strambo, tipico delle estati meteopatiche di questi anni. Fa caldo ma pioviggina. La luna, tra nuvole e foschia, si vede e non si vede, è appena uno spicchio. Troppo poco per eccitare i cani. Non è alla luna che abbaiano. Hanno sentito qualcosa. C’è qualcuno, in giro, qualcuno che non conoscono e che sentono come una minaccia. Estranei. Forestieri – foresti, si dice qui. Da foris, che in latino significa semplicemente “fuori”, ma, per assonanza, evocandone l’oscurità perigliosa, richiama anche l’antica insidia ai bordi dei villaggi, la silva, la foresta. .G.P.S.Non ci sono solo i cani a sorvegliare le case, a scrutare chi passa da quelle parti. Lassù, oltre le nubi, c’è un occhio astrale, sempre sveglio, a osservare tutto, anche nel buio. C’è un’auto in giro, una Bmw 318 scura, e l’occhio la vede. Passa e ripassa sulla strada lungo il fiume, percorre il tunnel della ferrovia. Vicino a una grande villa rallenta, si ferma un momento, e poi riparte, infila una rotonda, si allontana. Sempre, però, a intervalli irregolari, ritorna nei pressi della villa. L’occhio la segue, ne registra i percorsi. L’ululato dei cani e il silenzio vigile dei satelliti, l’istinto per la guardia di animali fedeli e la memoria indelebile della tecnologia più avanzata, capace di identificare un’auto a distanza siderale, di seguirla passo per passo nel Global Positioning System, raccontano la stessa cosa: c’è qualcuno in giro, e compie strani percorsi attraverso il paese sul fiume, intorno a una villa immersa nel verde.
LA GIORNATADEGLI ASSASSINI
Alin ha trascorso quella giornata un po’ a casa e un po’ in giro. Abita in un condominio, a Motta di Livenza, al civico numero 6 di via Giovanni Amendola. Uno dei tanti condomini recenti, moltiplicatisi negli ultimi anni, nei quali gli immigrati hanno trovato alloggio, acquistando o affittando da proprietari privati. Da qualche tempo, nell’appartamento Alin ospita un albanese di 33 anni, in Italia senza permesso di soggiorno, inutilmente espulso più volte. Si chiama Naim Stafa, è un tipo robusto, con modi da duro, che vive arrangiandosi in vari modi, ma soprattutto sfruttando donne, di preferenza romene o albanesi. Prima di arrivare nel Veneto, è stato per alcuni anni in galera a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Alin – Alin George Bogdaneanu è il suo nome completo - vive a Motta da un paio d’anni. È in Italia da sette, dapprima a Roma, dove ha vissuto per un po’ con la famiglia (un fratello, la madre, il padre, ora morto da qualche anno), e quindi nel Veneto. Alin ha un lavoro regolare e una casa in affitto in cui ha preso ufficialmente residenza. Quella giornata, e le sue premesse, Alin la racconta in uno degli interrogatori dopo l’arresto. “Ho conosciuto Naim Stafa circa un anno fa. Abitava vicino a me assieme a Martin Dervishi, un altro albanese. Erano dediti a furti e ad altri reati. Stafa, in particolare, sfruttava la prostituzione di una ragazza poi fermata a Venezia ed espulsa. Quando Dervishi è stato arrestato, Naim è venuto ospite a casa mia, dove è rimasto fino al 21 agosto 2007. Molto amico di Naim era Artur Lleshi, chiamato ‘Turi’. I due erano stati in carcere assieme, mi sembra a Napoli. Turi per aver picchiato una donna, Naim per prostituzione, furti, droga e armi. Artur viveva a Villorba con una prostituta rumena, Sabrina, che lavorava a Conegliano e lo manteneva. Naim preferiva svolgere attività di sfruttamento della prostituzione. Quando io ho comprato la macchina lui spesso l’ha usata per andare in giro a cercare donne. Verso i primi di agosto, ha trovato una donna bulgara che per una settimana ha lavorato per lui. Un giorno, su istruzioni di Naim, ho accompagnato la donna a Mestre dove abitava prima, perchè diceva che aveva bisogno di prendere i suoi abiti. Invece, dopo essere entrata in casa, non è più tornata. Anzi, mi sono accorto che tre macchine con targa bulgara l’hanno portata via. Naim si è molto arrabbiato con me, per questo, e mi ha minacciato pesantemente. Allora l’ho ricondotto nel luogo dove la ragazza era scappata e dove c’erano ancora quei bulgari con i quali lui, allora, ha parlato a lungo. Dopo, mi ha detto che si erano messi d’accordo, nel senso che loro gli avrebbero portato altre ragazze. Naim era armato. Quando pensava che avrebbe potuto picchiarsi con qualcuno prendeva sempre il suo coltello a scatto. Questo è successo la domenica. Il giorno dopo, lunedì, in mattinata siamo andati a casa di un amico di Naim, un albanese che abitava vicino a Treviso. Quando siamo arrivati nei pressi, Naim gli ha telefonato. Mi aveva detto che doveva procurarsi delle armi, invece ha preso della droga, circa dieci grammi di cocaina, senza pagare nulla. Poi siamo andati a prendere Artur a casa di Sabrina a Villorba (in via Monte Grappa, 21, ndr) e, a metà pomeriggio, ci siamo diretti verso casa mia. Premetto che ancora l’anno scorso Naim mi ha chiesto dove abitavano i miei padroni. In un’occasione gli ho mostrato dalla strada la casa di via Sant’Antonino. Anche lunedì pomeriggio abbiamo percorso la stessa strada e Naim mi ha ripetuto la stessa domanda. Alla mia indicazione – transitavamo proprio davanti – ha fatto un cenno ad Artur dicendogli: ”Guarda, la casa è questa”».
SOTTOBOSCO
È un sottobosco equivoco, losco, o peggio, quello in cui si muovono normalmente i tre che si apprestano ad agire nella notte tra il 20 e il 21 agosto. Basta leggere i racconti sull’ultima giornata, per capire come vivano immersi in una fitta rete di illegalità, violenze, rapporti ambigui o esplicitamente criminali.Tra i personaggi che ritornano nei racconti di questi interrogatori ci sono anche degli italiani: è una fauna multietnica – di nostrani e foresti insieme – in cui i tre complici di origine balcanica si incrociano, ad esempio, con l’italiano che, a Scorzè, gli passa la cocaina, o con l’altro italiano che a Motta di Livenza gli custodisce una pistola, come emerge dagli interrogatori. Oppure con il vicino, italiano anche questo, che, quando Alin, sconvolto dalla scoperta di cosa è davvero successo nella villa, gli chiede consiglio circa una possibile confessione, lo dissuade, dicendogli di non immischiarsi, di non cercare guai.È un intreccio di complicità e connivenze, a loro volta intrecciate con gli aspetti regolari e banali dell’esistenza, della vita quotidiana - case legalmente affittate, in cui si prende residenza formalmente, lavori svolti con le carte in regola, documenti a posto, frequentazione di luoghi come il condominio, i negozi, le vie e le piazze, i locali pubblici del paese e di tutta la Marca e dintorni, i luoghi dell’esperienza più comune. Un contesto in cui, a più di qualcuno tra i tanti che si muovono costantemente tra legalità e illegalità, appare del tutto ovvio, “naturale” verrebbe da dire, rapinare, scippare, penetrare nelle case e nell’intimità altrui, sfruttare donne, schiavizzarle, risolvere i problemi e i conti aperti con la violenza, uccidere, in qualche caso efferatamente, dopo aver torturato, umiliato. Alin, il bravo ragazzo, ci sta senza problemi, frequenta ed ospita nella propria casa chi fa queste cose per “mestiere”. L’inquieto, forse psichicamente instabile, Artur non immagina neanche altre modalità di vita, esterne a questo circuito criminale. Naim Stafa sembra sguazzarci dentro, come un predatore naturale.
«Noi, i ricercatori che l’Italia non riesce a trattenere» di FURIO BALDASSI
All’estero e ritorno. E poi ancora fuori. Con la prospettiva, più che probabile, di non tornare proprio. Pacchi postali in nome della ricerca. Quella che, ormai, in Italia non si può più fare. Non è la solita storia dei «cervelli in fuga», quella di Giovanni Russo e Gabriella Stocca, ma qualcosa di più. È la fotografia di un Paese che annaspa nelle sue contraddizioni, taglia dove dovrebbe implementare, spende soldi, magari pochini, per formare generazioni di scienziati e docenti e poi se li vede scappar via di sotto il naso. È l’Italia dell’ottimismo a 32 denti e della disperazione sotterranea, dei «fannulloni» e di quelli che non riescono proprio a lavorare. Un Paese imbalsamato nei suoi ricordi e quasi disinteressato al suo futuro. Una nazione, insomma, da mollare. Come si apprestano a fare, per l’ennesima volta e probabilmente per sempre, i nostri due triestini. Che non sono né gli unici né gli ultimi.Eppure, anche per loro, parlano i curricula, anche se evidentemente non basta. Gabriella Stocca, 46 anni, si è laureata in biologia alla locale Università e successivamente ha ottenuto alla Sissa un dottorato in biofisica. Il suo palmares è di tutto rilievo, e passa per l’Università di Georgetown, a Washington D.C., la Vanderbilt University di Nashville, poi ancora Washington al National Health Institute, prima di tornare in Europa ma a Freiburg, in Germania. Trieste, l’iperscientifica Trieste resta, in tale contesto, il luogo dell’anima, non quello dove operare. E il futuro, infatti, è targato ancora Nashville. «Dopo tanti anni fuori dall’Italia – racconta – mi avevano spedito un modulo dal ministero per capire perché fossi emigrata e se avessi avuto voglia di tornare. La risposta adesso la so, ed è semplice, semplicissima: all’estero ho i mezzi per lavorare, qui no. Punto».Storia analoga quella di Giovanni Russo, 45 anni, una laurea triestina in economia seguita da un Ph.d., sempre in economia, alla Free University di Amsterdam. Dal 1997 al 2004 è stato ricercatore e poi associato all’Università di Utrecht, in Olanda. Poi ha cercato il rientro, non foss’altro che per far crescere in tranquillità i suoi tre figli. L’Italia lo ha «premiato» con due contratti a tempo determinato da professore di economia delle risorse umane a Trieste e a Torino. Senza certezze, senza mezzi, nel marasma politico-clientelare dal quale l’Università italiana non è mai riuscita ad affrancarsi del tutto. Dal gennaio di quest’anno è di nuovo ricercatore ad Amsterdam, e fa praticamente il pendolare, per non creare troppe turbative alla famiglia. «La cosa che mi fa più arrabbiare – sottolinea Giovanni – è che poi ci prendono anche in giro. Gli olandesi si vantano di andare a vivere da soli a 16-17 anni, dimenticandosi di dire, però, che da loro lo Stato concede regimi agevolati di affitti per gli studenti e sussidi di disoccupazione che qui ci sogniamo!». «Non ho difficoltà ad ammettere – interviene Gabriella – che se mia madre non mi avesse dato una mano per qualche bolletta non ce l’avrei fatta. Chi, del resto, può farcela con lavori a progetto che vengono pagati 500 euro al mese?».Come riferiamo anche a lato, non è però un problema solo di soldi, quanto di ambiente e di impostazione stessa del lavoro. «Quando sono arrivato in Olanda – ricorda Giovanni – un addetto mi ha mostrato la mia stanza, assegnato un computer moderno, un budget col quale fare fronte a libri, riviste, conferenze. Poi mi ha chiesto se mi serviva altro, ma avevo già tutto. In Italia mi sono stretto in una stanzetta con altri colleghi, anche se ce n’era una vuota di un collega che non si vede da anni ma che deve conservarla, il computer era vecchio ma in compenso il telefono non c’era proprio, così come una parvenza di fondo per la ricerca... Devo andare avanti?».«La Sissa – rammenta a sua volta Gabriella – ci aveva detto fin dai primi giorni: preparatevi a viaggiare, e ritengo sia positivo. Ma una cosa è fare un’esperienza all’estero, un’altra è dover restarci per sempre».
Monito di Obama «Non siamo ancora fuori pericolo»
NEW YORK «I barlumi di speranza» che si intravedono nell'economia americana «non significano che i tempi duri sono finiti. Non siamo ancora fuori pericolo: il 2009 continuerà a essere un anno difficile. Davanti a noi si potrebbero ancora nascondere delle trappole». Pur constatando i progressi raggiunti, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, invita alla cautela, facendo così eco all'ottimismo mostrato dal presidente della Fed Ben Bernanke, secondo il quale «la recessione sta rallentando» come indicano alcuni «timidi segnali: le attuali condizioni economiche sono difficili ma le fondamenta della nostra economia sono forti, e non ci sono problemi che non possono essere superati, con pazienza e costanza. La Fed sicuramente farà la sua parte per riportare prosperità nell'economia», afferma Bernanke, assicurando che la Fed interverrà «al momento opportuno» per contrastare i rischi di inflazione. L'inatteso calo delle vendite al dettaglio negli Stati Uniti a marzo ha pesato su Wall Street più delle parole del presidente della Fed, Ben Bernanke. In serata il Dow Jones perdeva l'1,28% a 7955,07 punti, l'S&P arretrava dell'1,37% a 846,94 punti e il Nasdaq perdeva l'1,34% a 1631,13 punti.Di fronte agli studenti della Georgetown University, Obama traccia un bilancio di quanto fatto nelle «prime dodici settimane» e invita gli americani ad avere pazienza, viste le grandi sfide da affrontare: ricostruire l'economia americana è come «costruire la casa sulla roccia» di cui si parla nella «parabola» di Matteo: «non finiremo in un anno. Ma sono sicuro che la casa resisterà e che il sogno dei nostri fondatori vivrà anche nel nostro tempo».Le misure adottate dall'amministrazione «stanno iniziando a generare segni di miglioramento nell'economia», afferma Obama, «ma questo – spiega – non vuol dire che i tempi duri sono finiti. La severità di questa recessione causerà ulteriori perdite di posti di lavoro, ulteriori pignoramenti e dolori». Gli analisti stimano che il Pil Usa si contrarrà nel primo trimestre 2009 di oltre il 5%, mentre il tasso di disoccupazione nei prossimi mesi è destinato a salire al 9,8%.«Non c'è alcun dubbio che i tempi sono ancora duri. Non siamo ancora fuori pericolo: ma dal punto in cui siamo, per la prima volta, iniziamo a vedere barlumi di speranza», aggiunge Obama citando i cinque pilastri che «faranno crescere la nostra economia» e cioè: «nuove regole per Wall Street che premino l'innovazione; nuovi investimenti nell'educazione; nuovi investimenti in energie rinnovabili e tecnologie; nuovi investimenti nell'assistenza sanitaria; e nuovi risparmi nel budget federale così da ridurre il debito per le future generazioni». È determinante riscrivere le regole che governano il sistema finanziario, anche per far sì che non si ripetano casi gravi come Aig. «Nessuno è stato più frustrato di me» nel salvare la compagnia assicurativa, afferma senza mezzi termini. Nei mesi scorsi, Bernanke aveva definito il salvataggio di Aig quello che lo aveva fatto «più arrabbiare».Fra i salvataggi portati a termine, il presidente si sofferma poi su quello del sistema finanziario e delle banche, oggetto degli stress test che «a breve ci diranno di quanto ulteriore capitale le banche hanno bisogno. Idealmente – aggiunge – questi bisogni di risorse dovrebbero essere soddisfatti da investitori privati. Ma dove non sarà possibile, terremo conto delle nostre responsabilità, spingeremo per gli aggiustamenti necessari e daremo sostegno per pulire i bilanci». I risultati degli stress test saranno diffusi fra alcune settimane, arco di tempo durante il quale si chiarirà anche l'indirizzo per General Motors e Chrysler. Per ristrutturare il settore automobilistico «sono necessarie scelte difficili, qualche volta impopolari. Speriamo che Chrysler trovi un partner e che Gm sviluppi un piano che le consenta di imboccare nuovamente la strada della redditività».Ieri è stata una giornata positiva per le Borse europee, vivaci e galvanizzate dai risultati migliori delle attese registrati nel trimestre da Goldman Sachs, un faro per l'intero comparto bancario mondiale.
Dipiazza: «Non mi candido nemmeno se lo chiede Silvio»
TRIESTE «Se Silvio Berlusconi mi chiede di correre per l'Europarlamento? Gli spiegherò perché è giusto che rimanga sindaco di Trieste». Gli appelli si moltiplicano, gli ultimi sono quelli di Renzo Tondo e Ettore Romoli. Ma Roberto Dipiazza insiste sul “no” alle europee. Il sindaco di Trieste l’ha ribadito lunedì a Isidoro Gottardo e non ha certo cambiato idea ieri: «Finisco il mandato e poi aspetto. La politica mi cercherà sempre». Niente da fare per chi ci crede ancora. Il sindaco friulano di Trieste, l’uomo che secondo tutti potrebbe davvero farcela a portare il Friuli Venezia Giulia in Europa è sempre più categorico.Nemmeno se lo chiamasse Berlusconi si farebbe convincere: «Mi fanno piacere le manifestazioni di stima ma, per rispetto dei cittadini, devo portare a termine i lavori in città. Nel caso di telefonata del premier, spiegherei pure a lui perché è corretto che svolga il mio compito sino all’ultimo». Non mancano argomentazioni già usate: «Nel Parlamento europeo non potrei incidere, e invece a me piace fare le cose». Nel 2011? «Non ho problemi di carattere personale, vivo delle mie attività. E poi la politica mi chiamerà, sono una valore aggiunto».Osservazioni trasferite a Gottardo. Il coordinatore regionale del Pdl prende atto e spiega: «La candidatura Dipiazza, che sostengo sin da quando sembrava non ci dovessero essere le preferenze, sarebbe indiscutibilmente la più forte, ma il problema è convincerlo. Ci ho parlato e mi ha ribadito il suo no con obiezioni non strumentali». E allora che si fa? «E’ il nazionale che decide le candidature – precisa Gottardo –, siamo in attesa che il presidente Berlusconi fissi i criteri. Dopo di che gli segnalerò opportunità e disponibilità. Ma le liste non le facciamo noi, nonostante qualcuno insista per mettere il cappello sul sindaco di Trieste». La situazione non è ancora definita.I quattro parlamentari uscenti si ricandidano, gli si lascerà terreno facile? O si preferirà la competizione e si allargherà dunque la schiera dei nomi forti? Di certo, ricorda Gottardo, «la partita per il Friuli Venezia Giulia, che esprime solo il 10% degli elettori della circoscrizione, è molto dura. Tenendo pure conto – aggiunge – che il Veneto userà queste europee come una sorta di preliminari per le regionali del prossimo anno». In ogni caso, conclude il coordinatore pidiellino, «non ci verranno imposti candidati veneti. Dipiazza o non Dipiazza, ai nostri candidati penseremo noi». Dopo Roberto Menia e Ferruccio Saro, anche Tondo insiste però per Dipiazza: «Lo voglio alle europee». E pure Ettore Romoli lancia un appello: «Ascolto con dispiacere le sue intenzioni di rinuncia perché il sindaco di Trieste, persona eccezionale e di dimostrate capacità, è realmente l’uomo giusto al momento giusto avendo la rara fortuna di essere nato in un Friuli “imperiale”, con un forte legame con la provincia di Gorizia e primo cittadino del capoluogo regionale: sembra che tutto spinga perché sia il candidato alle europee. Mi auguro dunque – sottolinea il sindaco di Gorizia – che i vertici del partito mettano in atto un forte pressing per convincerlo. Penso in particolare alla più alta autorità del Pdl locale, il presidente Tondo, che fa parte a Roma dell’ufficio di presidenza. Se glielo si chiederà in maniera compatta, sono convinto che alla fine Dipiazza accetterà». Ci crede anche Saro, che convoca i sostenitori a Martignacco, giovedì sera, per un incontro su crisi, Pdl ed elezioni. Non mancheranno critiche alla conduzione Gottardo e il rilancio della candidatura Dipiazza. Marco Ballico
Altre due navi assalite dai pirati Trecento ostaggi
ROMA È ormai allarme rosso, sul fronte pirateria, nel Corno d'Africa: i bucanieri sono tornati oggi all'assalto, attaccando tre navi - ma riuscendo a sequestrarne solo due - e facendo salire il bilancio del bottino degli ultimi mesi a circa 300 marinai presi prigionieri.Sul piede di guerra dopo i blitz francesi e statunitensi dei giorni scorsi, i pirati hanno comunque catturato ieri un cargo greco e una nave battente bandiera del Togo, mentre resta nelle loro mani il rimorchiatore italiano «Buccaneer» con 16 membri di equipaggio, tra cui 10 nostri connazionali.Mentre si susseguono le riunioni interministeriali - anche ieri c'è stato un incontro all'Unità di crisi della Farnesina - e si tenta di aprire un canale di contatto per negoziare, sulla vicenda resta lo stretto riserbo del Ministero degli esteri per non compromettere l'incolumità degli ostaggi.Al momento comunque non sarebbe ancora arrivata alcuna richiesta di riscatto da parte dei pirati somali e la nave italiana starebbe alla fonda nelle acque prospicienti la costa Nord della Somalia. Tra le località di provenienza e le famiglie dei 10 marittimi italiani montano intanto ansia e apprensione.Mentre gli Stati Uniti sono sempre più convinti della necessità di rafforzare le misure contro le azioni di pirateria e il Pentagono - tra le varie opzioni all'esame - non esclude anche quella di missioni terrestri, sulla vicenda sono intervenute ieri anche le Nazioni Unite. La pirateria è un «flagello internazionale che devasta la Somalia» ha spiegato il rappresentante speciale Onu per il Paese africano, Ahmedou Ould-Abdallah sottolineando di essere «convinto che sforzi concreti, quali una forte presenza marittima internazionale al largo delle coste somale, possano marginalizzare e quindi sconfiggere le attività dei pirati». In merito, ai primi del mese è partita da Taranto la fregata «Maestrale» per partecipare alla Missione Atalanta, l’operazione di contrasto alla pirateria nell’Oceano Indiano guidata dall’Unione europea. La nave della Marina militare, agli ordini del capitano di fregata Angelo Virdis, in teatro operativo è inserita in un gruppo aeronavale con unità britanniche, francesi, greche, tedesche, e spagnole guidato dal commodoro greco Antonios Papaioannou. «Atalanta» è iniziata il 13 dicembre 2008 ma l’impegno della Marina contro la pirateria risale al 2005. La «Maestrale» ha 220 uomini d’equipaggio e dispone di due elicotteri Ab-212.Da registrare, comunque, che negli ultimi sequestri - come nel caso del «Buccaneer» - le imbarcazioni sono state portate non, come al solito, nelle acque al largo di Eyl ma più a Nord, tra Puntland e Somaliland (autoprocloamatosi indipendente nel marzo '91), area contesa tra le due regioni. Elemento che alcuni osservatori leggono come scelta strategica per esacerbare i contenziosi geografici tra Puntland e Somaliland, da sempre forti. E, ancora, si fa anche notare che l'attuale premier somalo Omar Abidrashid Sharmare è un migiurtino (cioè del Puntland), appartenente al principale dei clan regionali degli Osman Mahamud. Una variabile non secondaria - per gli osservatori - rispetto a possibili sviluppi incrociati tra pirateria e blitz militari.Tornando alla cronaca di ieri, la mattina è stato sequestrato il cargo «Irene E.M.», battente bandiera di Saint Vincent, di proprietà greca, con 22 filippini di equipaggio. Subito dopo è finito nelle mani dei banditi anche un altro cargo, battente bandiera del Togo, la «Sea Horse», con una stazza di circa 5.000 tonnellate, abbordata da uomini armati su tre o quattro scialuppe mentre fonti Nato hanno riferito di un terzo attacco. I pirati somali hanno infatti aperto il fuoco ieri anche contro la «Safmarine Asia», nave di 22mila tonnellate battente bandiera liberiana, attaccata a colpi di armi automatiche e lanciagranate da pirati a bordo di tre battelli. La nave però è riuscita a resistere all'assedio.
IL SINDACO QUARNERINO: MA L’UI DEVE AIUTARMI
Cherso rivuole il leone di San Marco
CHERSO Una città e un Comune capaci di emanare un fascino particolare, inossidabile, un qualcosa che sa d’antico ma che allo stesso tempo non indugia a rivolgere lo sguardo al futuro. Cherso città e la sua isola traggono e danno energia in un moto perpetuo, in grado di rapire coloro che le visitano la prima volta. E anche dopo. A reggere le sorti di questo «brillante» incastonato nel mare del Quarnero è Gaetano Negovetic, 56 anni, chersino doc, sposato con due figli, membro dell’Hdz, il partito di centrodestra al potere nel Comune isolano e in Croazia.Signor sindaco, Cherso e i chersini devono molto al turismo. Che stagione avrete, quali saranno gli effetti della recessione?Mi attendo gli stessi risultati dell’anno scorso e dunque né aumenti, né cali. L’isola non ha un gran numero di posti letto e basa la sua industria ricettiva su ospiti abituali, quelli che arrivano da decenni e neppure si sognano di rinunciare alla destinazione chersina. L’Albergo Kimen e il Campeggio Kovacine sono stati sottoposti negli ultimi anni a capillari interventi di miglioria, presupposto fondamentale per trattenere i vecchi ospiti e attirarne di nuovi.Il rifacimento della principale strada di Cherso e Lussino, la D–100, sta andando però per le lunghe.Sì ma nonostante i numerosi problemi, i lavori proseguono e attualmente si sta ristrutturando il segmento da Hrasta a Belej, lungo 5,1 chilometri. Entro la fine dell’anno o all’inizio del 2010, comincerà la ristrutturazione del troncone Vodice-Batajna, dopo di che resterà ancora il tratto verso Faresina. Difficile dire quando l’opera sarà portata a termine ma intanto rincuora il fatto che maestranze e ruspe siano in azione.Quali i maggiori progetti infrastrutturali nell’isola?La nostra amministrazione è molto impegnata in questo campo. Intanto posso dire che tutta Cherso è coperta dalla rete idrica, anche le località più lontane o che contano poche decine di abitanti, come nel caso di Lubenizze. San Martino e Vallone dispongono finalmente di moderne fognature, a Tramontana stiamo per potenziare l’acquedotto, mentre per Orlez, Caisole e Lubenizze stiamo progettando nuove reti fognarie. Uno dei maggiori investimenti riguarda l’approntamento del nuovo depuratore delle acque reflue a Cherso città. Si stanno inoltre ristrutturando diverse altre strade. Nel capoluogo provvederemo alla ripavimentazione della centrale via dello Statuto di Cherso e inoltre, in zona Brajda, vengono edificati 37 alloggi, grazie all’edilizia popolare agevolata.Come giudica la collaborazione con la locale Comunità degli italiani, fondata dal presidente Nivio Toich?La cooperazione è ottima, grazie anche al pluridecennale lavoro dell’impareggiabile Toich, che al momento della scomparsa era presidente del Consiglio comunale e pertanto il mio collaboratore più stretto. La Città e la Comunità degli italiani provvedono congiuntamente alla manutenzione della sede comunitaria, di proprietà del sodalizio. Gli ambienti si trovano in un edificio obsoleto, anche pericolante e dunque mi attendo un maggiore impegno da parte dell’Unione italiana per il suo risanamento, che credo dovrebe cominciare prossimamente.La ricollocazione del leone marciano sulla Torre dell’orologio?È una questione che spetta al Ministero della cultura e noi, come autonomia locale, rispetteremo qualsiasi decisione del dicastero. Colgo l’occasione per invitare il deputato italiano Furio Radin e l’Unione italiana, quali parte interessate, ad adoperarsi presso le competenti istituzioni per la risistemazione del simbolo della Serenissima sulla principale torre chersina.È soddisfatto o meno della qualità dei collegamenti fra Cherso e la terraferma?La situazione è molto migliore rispetto agli Anni 90. Ci sono linee di traghetto e di catamarano che funzionano bene, anche se sono dell’avviso che la mia città dovrebbe avere un proprio collegamento di catamarano con Fiume. Molte volte, a causa del maltempo, il catamarano non salpa nemmeno da Lussinpiccolo, mentre invece potrebbe farlo da Cherso, che ha un porto molto ben protetto dai venti. Voglio aggiungere che sono in corso i lavori di ristrutturazione e allargamento dello scalo traghetti di Faresina: permetteranno ai ferry un sicuro approdo e stazionamento, a prescindere dalle condizioni meteo.Andrea Marsanich
«Da abbattere 70 orsi e 10 lupi»
LUBIANA In Slovenia, entro la fine dell’anno, saranno abbattuti 70 esemplari di orso bruno e 10 di lupo. Lo ha stabilito il governo, per mantenere l’equilibrio della popolazione di queste due specie protette.Una decisione che preoccupa il Wwf italiano ma che secondo i promotori rientra nelle normali campagne di contenimento degli esemplari di queste specie da parte della Slovenia. Il decreto, in vigore dall’11 aprile, è stato firmato nei giorni scorsi dal ministro all’Ambiente Karl Erjavec. Prevede specifiche finestre temporali durante le quali i cacciatori potranno abbattere gli animali previsti. Per gli orsi bruni si va dal 1.o gennaio al 30 aprile e dal 1.o ottobre al 31 dicembre. Per i lupi, invece, dal 1.o gennaio al 28 febbraio e, ancora, dal 1.o ottobre al 31 dicembre. Secondo il ministro Erjavec, le popolazioni delle due specie protette in questione godono di ottima salute. Gli orsi bruni, in particolare, si concentrano soprattutto nelle zone a Sudest della Slovenia, al confine con la Croazia. La presenza di lupi invece pare sia più sparsa sul territorio. Attualmente, secondo le stime, in Slovenia vivono 430 esemplari di orso bruno. I lupi invece si attesterebbero tra le 70 e le 100 unità. Il dato è meno preciso, mancando un adeguato metodo di censimento di questi animali.«Questi animali – così Erjavec – hanno spazio a sufficienza e un habitat adeguato. Ma non hanno nemici naturali». Da qui, la necessità di provvedere alla limitazione annua del loro numero. La quantità massima di animali da uccidere è stata tuttavia ridotta in questi ultimi anni, per adeguarsi a specifiche normative europee in materia. «Questo decreto è legato alla necessità di mantenere il giusto equilibrio ecologico – ha tenuto a precisare il ministro -. Non ha nulla a che fare con i danni che questi animali possono causare». E in effetti, molti agricoltori hanno a che fare ogni anno con «visite» inaspettate e non volute di questi animali, che causano danni soprattutto a coltivazioni e allevamenti (rarissimi gli attacchi all’uomo). Nel corso del 2008 sono stati 1494 i danni totali causati da esemplari di specie protette, di cui 609 dovuti agli orsi. Il governo ha erogato risarcimenti per un totale di oltre 520 mila euro (164 mila solo per danni causati da orsi). Il decreto è stato giudicato «tardivo» dai rappresentanti dei guardaboschi sloveni, che ritengono infatti che entro la prima scadenza (il 30 aprile) non si riusciranno a uccidere molti orsi e quindi si rischiano maggiori danni nel periodo estivo.Dal Ministero, invece, replicano che le scorrerie estive sono legate alla presenza di cibo che attira i plantigradi e non al loro numero.Dalla Facoltà di biotecnica dell’Università di Lubiana, giunge inoltre la rassicurazione che la popolazione di orsi in Slovenia è ben seguita e che le misure finora adottate per mantenerne l’equilibrio in natura hanno funzionato bene.Ben diversa la posizione Oltreconfine. Nonostante le rassicurazioni del governo di Lubiana, il Wwf italiano teme che questa «caccia all’orso» sia motivata solo dai danni arrecati da questi animali e giudica eccessivo il numero di esemplari da abbattere. Propone quindi di permettere agli orsi una maggiore libertà di movimento anche verso altre zone del Paese e d’istituire una nuova area a loro dedicata nei pressi di Tarvisio.
"SFUEI DAL FRIÛL LIBAR - IL GIORNALE DEL FRIULI LIBERO". INDIRIZZO INTERNET http://www.ilgiornaledelfriuli.net EDIZIONE ON LINE DELLA TESTATA ISCRITTA COME GIORNALE QUOTIDIANO ON LINE, A STAMPA, RADIOFONICO E TELEVISIVO NEL REGISTRO DEL TRIBUNALE DI UDINE IN DATA 8 APRILE 2009 AL N. 9/2009. Si pubblica dal 25 novembre 2008. Proprietario: Alberto di Caporiacco. Direttore responsabile: Alberto di Caporiacco. Sede di rappresentanza in Udine, piazza S. Giacomo 11/16, 2. piano.
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