
Il concetto di identità è, indubbiamente, tema complesso e molteplice, si articola attraverso variegati livelli di problematicità ed interpretabilità. Identità è parola che evoca appartenenza a una sfera psicologia individuale e a un contesto culturale più ampio, ma è anche ricchezza (in quanto ci consegna ad una totalità che di riflesso è fatta nostra e sembra appartenerci, arricchendoci) con l’assunzione di vincoli: genetici, morfologici e familiari. Questi diversi vincoli annunciano come la nostra identità si formi dialetticamente (e mai deterministicamente) risultando condizionata ed arricchita - allo stesso tempo - dalle varie sfere del sociale e dai contesti fisici in cui è immersa l’esperienza di vita. Una volta per tutte, più che di identità plasmata, è logico parlare di identità in continua “riscrittura” visto che - coscientemente o meno - ognuno di noi assume molteplici sfere identitarie, ambiti di appartenenza e percorsi esperienziali. Quando si parla d’identità degli individui, senza volerlo, si parla della propria identità culturale. Emerge senza nessun dubbio con l’assunzione di una lingua madre, di una religione, di paesaggi quali orizzonte di riferimento e di una serie identificabili artefatti fisici (città, architetture, monumenti, libri, opere artistiche od oggetti di uso comune), ma anche di stili di vita, di abitudini e gusti alimentari. In Italia questa specificità è ancora più evidente vista la speciale intensità e capillarità della diffusione del patrimonio culturale e paesaggistico del territorio, un modello senza pari di conservazione contestuale. Un vero e proprio “modello italiano” come un quadro perfetto, un puzzle inedito realizzato da pezzi “unici” tra questi l’identità nazionale, la cittadinanza, l’integrazione, e il ruolo primario e fondamentale delle nostre città. Patrimonio culturale che s’incastra con il patrimonio territoriale da tutelare e valorizzare (paesaggi culturali, città, architetture, opere d’arte) insieme ai manufatti artigianali di qualità e alla filiera eno-gastronomica dei prodotti certificati e protetti, è oramai parte integrante di una visione e di politiche economiche in atto. Inscritte in questo nuovo orizzonte problematico si spiegano alcune politiche culturali recenti che iniziano a sperimentare percorsi non consueti per comunicare ai cittadini il significato e il valore del patrimonio storico del Paese. Il nodo principale da sciogliere è come rendere partecipi alle testimonianze e i valori identitari del passato soprattutto alle giovani generazioni, figlie della cultura network e dei dispositivi mobili di comunicazione. A questo processo identitario in continuo fermento si aggiunge l’emergere di una cittadinanza più vasta in continua richiesta ed in continua rielaborazione. Esempio specifico quando parliamo di cittadinanza per gli extracomunitari. Il problema che si vuole sottolineare non riguarda tanto, sul piano giuridico, i requisiti necessari per poter divenire cittadino italiano pleno jure, quanto piuttosto ad una cittadinanza vista e vissuta come atto concreto di “volontà” a prescindere dalla provenienza e dal culto religioso professato. Questa importante riflessione assume oggi una rilevanza assoluta, visto l’aumento esponenziale di stranieri che entrano in Italia in cerca di fortuna, o quantomeno per migliorare la propria condizione sociale. Senza dubbio sotto questo profilo che si hanno (ed avranno in futuro) i problemi più delicati, se non si attuano politiche con l’obbiettivo dell’effettiva integrazione degli immigrati nelle comunità locali. Occorre innanzitutto rispondere ad un ampliamento della pluralità delle differenze, controllare “la qualità” degli immigrati, (combattendo con ogni mezzo la “piaga” della clandestinità) perchè senza un fermo contrasto della clandestinità non sarà mai possibile creare politiche di cittadinanza degli immigrati. Resta infine da considerare la questione culturale dell’immigrazione, perché anche laddove fosse risolto il problema della tutela giuridica e della partecipazione attiva e civica degli immigrati, non è da escludere che permangano altre barriere all’integrazione sostanziale degli immigrati. Evidentemente insieme a tutte le problematiche descritte, un altro fattore che gioca un’importanza strategica molto rilevante è il ruolo delle città e la loro capacità di assorbire in tutti i sensi i nuovi arrivati. La proliferazione di termini quali “città globali”, “borghi tecnologici”, “enclaves etniche” e “iper ghetti” testimonia l’enorme sforzo che le scienze sociali e umane stanno compiendo nel tentativo di collocare, in una teoria coerente, i profondi cambiamenti che coinvolgono, da alcuni decenni, le società civili, i loro modelli organizzativi e relazionali e lo spazio fisico nel quale si manifestano, cioè le città. È ormai chiaro che la maggioranza degli immigrati si stabilisce nelle grandi città, poiché è qui che esiste più opportunità di lavoro. Le grandi città offrono inoltre a coloro che sono appena arrivati la possibilità di vivere sia vicino ai familiari che alla gente del loro stesso Paese di origine, offrono un’ampia molteplicità di stili di vita, di contatto con altre realtà culturali e una vasta gamma di attività. Tuttavia le città stanno cercando di promuovere e tracciare un percorso in cui le azioni locali nel campo dell’immigrazione e dell’integrazione si costruiscano sulla base delle precedenti esperienze e, allo stesso tempo, siano aperte alle novità, come auspicato dalla situazione attuale. Un passo importante da affrontare all’interno delle politiche locali sarebbe un’analisi completa che miri alla definizione, alla progettazione di una visione più ampia delle diverse politiche che interessano l’immigrazione, e cioè: l’accesso al mercato del lavoro e lo stimolo dell’attività economica locale, lo studio e l’apprendimento delle lingue, la fruizione dei servizi sociali e sanitari, l’accesso all’abitazione e la lotta per evitare discriminazioni negli spazi urbani, la partecipazione a tutti gli ambiti della vita comunitaria per una buona interazione con la società autoctona e tanto altro ancora. In questo modo anche il ruolo delle città diventa primario e contribuisce all’accettazione, all’accoglienza e all’integrazione degli immigrati. Le città conoscono bene la realtà e sanno se sussiste l’effettiva possibilità di attuare le politiche e le iniziative che vengono proposte. Credo sinceramente che le città italiane, le nostre città possano contribuire in modo definitivo, innovativo e creativo alla costruzione di un disegno, di un “modello italiano” moderno e magari, perchè no, pronto per essere esportato a livello comunitario ridisegnando così una nuova politica d’immigrazione e d’integrazione più coerente ma soprattutto tanto più realistica.
VINCENZO TANZI
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