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domenica 8 febbraio 2009

TREVISO. "LA MIA SARA COME ELUANA, NON RINUNCEREI MAI A TENERLA IN VITA"



Parla il padre della ragazza che dopo un'operazione nel dicembre 2001 entrò in stato di coma irreversibile.


«Sa quanto è passato? 2066 giorni». Flavio Righetto parla con calma, ma gli occhi tradiscono l’enorme dolore che si porta dentro. Oltre duemila giorni fa, sono sette anni, la figlia minore Sara, diciassettenne, entrava nella sala operatoria del reparto di neurochirurgia del Ca’ Foncello di Treviso. Era dicembre del 2001, il 19. Poche settimane prima i medici avevano diagnosticato alla ragazza un tumore al cervello. Le avevano dato poche speranze: «Non arriverà a Natale». Ma lei e i suoi genitori non si arresero e, assieme, decisero di affrontare quell’intervento disperato. Per Sara e per la sua famiglia fu l’inizio di un tunnel. L’operazione tecnicamente riuscì. Il tumore venne asportato, ma a carissimo prezzo: Sara, da allora, non si è più risvegliata. «Coma vegetativo», sentenziarono i medici. Sette anni. Da allora Flavio, la moglie Silvia e il figlio maggiore Dario si prendono cura di Sara. Ogni giorno. Lei vive stesa in un letto nella casa di famiglia a Quinto, a due passi da Treviso. Una normalissima villetta a schiera. Il Comune, facendo uno strappo alla regola, ha concesso ai Righetto di costruire una nuova stanza su un pezzetto di terra lungo quindici metri. Lì riposa Sara, trovano spazio le sue cose, le attrezzature mediche che l’aiutano a vivere. Respira da sola, anche se una bombola d’ossigeno è sempre a disposizione per soccorrerla, ma viene alimentata con un sondino. Sara non si muove, non sente, non parla, non sembra riconoscere nessuno. É come sospesa. Ma quando dorme chiude gli occhi e quando è sveglia li tiene aperti. Solo questo piccolo movimento dimostra che in lei c’è ancora una scintilla di vita. «Qualche volta scende una lacrima», dice il papà. Flavio e sua moglie non vogliono smettere di lottare. «Sara è mia figlia e non la lascerò - dice Flavio -, fino a quando avrò la forza fisica e psicologica le starò accanto. Non la darò a nessuno. Nessuno può immaginare che cosa voglia dire reggere questo dolore». Flavio lavora. A Quinto gestisce un’edicola. Ogni giorno si sveglia alle quattro e mezza di mattina, entra nella stanza di Sara e la accudisce: la cambia, la gira. Le fa una carezza, la saluta. Poi, alle cinque e un quarto, apre l’edicola. «Dopo l’operazione abbiamo girato gli ospedali di tutta Italia per tre anni, ma con pochi risultati. I medici dicono che non c’è speranza, che non si riprenderà. Ma io, fino a quando Sara starà con noi, continuerò a sperare». Flavio non vive sotto una campana di vetro. Segue la vicenda di Eluana Englaro. Capisce il dolore del padre, ma non seguirebbe mai la sua strada: «Non voglio giudicare, non mi spetta. Posso comprendere che non ce la faccia più, ma io non rinuncerei mai al piccolo piacere di dare una carezza a mia figlia: fa piacere a me, ma so che anche Sara è contenta. Non sceglierei mai di mettere fine alla sua vita, potrei farlo solo impazzendo. Sul caso Englaro si sta facendo troppa confusione, però c’è qualcosa che non mi torna: perchè non ha lasciato Eluana con le suore che l’accudivano, che le regalavano un sorriso? Immagino però che un giorno, quando Eluana non ci sarà più, quel papà si sentirà più solo». Flavio parla senza agitarsi, ma gli occhi continuano a tradire. Quando nomina Sara diventano rossi di commozione. È un papà che ragiona col cuore e che lotta disperatamente per difendere la sua famiglia: «Prima dell’operazione - ricorda - Sara mi disse che non voleva rimanere un vegetale. Era agitata, nervosa. Io le risposi: "Ma cosa dici, guarda che domani ti preparo una pastasciutta". So che lei, adesso, non vorrebbe farla finita. Quella volta disse così perchè spinta dall’emozione e dalla paura. Ma io conosco bene mia figlia. È sempre stata una ragazza piena di vita; aveva diciassette anni, era una studentessa discreta e molto bella». Sara ora ha 24 anni e tra meno di un mese, il primo marzo, ne farà 25. Sarà un giorno come tanti altri, la vita continuerà a scorrere. Un fiume diventato rigagnolo, ma che Flavio non intende interrompere. E continua a parlare anche di Eluana, non riesce a capacitarsi che possa morire. Flavio non è un integralista, ma una persona pratica che accanto al dolore vive ogni giorno. Fatica a capire anche chi scende in strada per manifestare contro la morte di Eluana o chi passa la notte davanti all’ospedale di Udine con i cartelli in mano: «Lo dico a tutti: perchè queste persone che manifestano non traducono le loro azioni in qualcosa di veramente utile? Perchè non aiutano famiglie come la mia? L’altro giorno vedevo in televisione le persone che all’una e mezza di notte si mettevano davanti all’ambulanza che trasportava Eluana in clinica. La volevano fermare. In casa mia, a quell’ora, ci eravamo alzati già un paio di volte per guardare Sara. Quella gente, invece di protestare, potrebbe aiutarci: se lo facesse si sentirebbe meglio».


(da Il Gazzettino di oggi)

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