
Nella puntata odierna vogliamo trattare i “pro” e i “contro” del progetto del rigassificatore “Alpi Adriatico” da realizzarsi in mezzo al Golfo.
Per fare un parallelo con l’altro progetto, di cui parleremo nella prossima puntata, soffermeremo la nostra attenzione su quattro elementi fondamentali: impatto visivo, impatto ambientale, impatto sul traffico navale, impatto sulla sicurezza.
L’impatto visivo del terminal off-shore è da considerarsi da due punti di vista, il primo razionale, il secondo emotivo. Dal punto di vista razionale, basandosi esclusivamente sui foto inserimenti da Muggia e da Grado che sono allegati al progetto, si può affermare che data la distanza di almeno dodici chilometri dalla costa, la presenza del terminal è quasi impercettibile, lo si può tranquillamente “confondere” con una delle tante petroliere o navi cargo che normalmente transitano nel nostro Golfo. Dal punto di vista emotivo è naturalmente impensabile osservare il panorama del nostro Golfo da terra o dal mare con questo “neo” proprio nel mezzo, che per quanto piccolo, mal si colloca e crea sicuramente fastidio e imbarazzo.
L’impatto ambientale va valutato in primo luogo nei confronti delle oasi faunistiche presenti in vicinanza dello spiaggiamento della condotta sottomarina. Per quanto sicuramente nel corso della posa in opera delle tubazioni vi saranno notevoli disagi, si ritiene che ad opera compiuta non vi saranno particolari preclusioni per gli animali di queste zone.
In secondo luogo vanno valutate le conseguenze dell’utilizzo dell’acqua di mare (tema trattato nella puntata precedente) nei confronti della flora e della fauna ittica: per diminuire il prelievo dell’acqua marina si potrebbe utilizzare per la rigassificazione parte del calore prodotto dalla centrale elettrica prevista a bordo della piattaforma (aumentandone eventualmente la potenza elettrica).
Proprio su questo punto si fondano i maggiori dubbi, perché la società proponente è la stessa che è proprietaria della centrale termoelettrica di Monfalcone, per la quale si è già provveduto alla riconversione di un ciclo produttivo da carbone a gas. Non si capisce infatti come mai non si sia pensato di aumentare la potenza prodotta dalla centrale elettrica del terminal, in modo da creare la quantità di calore necessaria per il ciclo di rigassificazione, creando quindi un ciclo chiuso (closed loop) invece del previsto ciclo aperto (open loop). In questo modo, non solo non verrebbe utilizzata l’acqua di mare, ma si potrebbe portare fino alla centrale di Monfalcone l’energia elettrica prodotta in eccesso, unitamente al gas necessario alla produzione in loco di energia elettrica.
Riguardo il traffico marittimo, se è vero che il terminal è previsto in un punto alquanto lontano dalle rotte navali, va sottolineato che il codice internazionale della navigazione prevede distanze minime di una certa consistenza da mantenere nei confronti di una nave metaniera e questo potrebbe creare notevoli problemi alle navi più grandi.
Il problema della sicurezza dell’impianto e dei pericoli derivanti dalle manovre di attracco è di minimo interesse, dal momento che la distanza dai centri abitati è notevole: andranno naturalmente realizzate tutte le necessarie valutazioni per le imbarcazioni di passaggio, che dovranno mantenersi a debita distanza.
Concludendo, al di là dell’impatto visivo e di quanto questo possa incidere sul turismo, non vediamo controindicazioni per questo progetto, soprattutto se potranno venir prese in considerazione le valutazioni inerenti il collegamento del terminal alla centrale elettrica di Monfalcone.
MARCO TORBIANELLI
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