Sotto protezione
Mercoledì sera, puntata speciale di “Che tempo che fa”. C'è Roberto Saviano, il giovane scrittore napoletano autore del caso letterario “Gomorra”: due milioni di copie vendute in Italia a partire dal maggio 2006, tradotto in una cinquantina di paesi.
Monologo di Saviano: quaranta minuti che ci vogliono svelare l'Italia più vergognosamente nascosta. Se al nord non siamo così avvezzi al sangue e ai colpi d'arma da fuoco, c'è un'Italia che vi è fin troppo avvezza.
Camorra insegna: al sud i bambini diventano ben presto cinici. Mentre giocano in strada, a loro rischio e pericolo, si imbattono nello “sparato in testa” di turno, in una terra in cui la media giornaliera di persone uccise è pari a due o tre.
Camorra spaventa: i giornali non testimoniano questa guerriglia giornaliera, né quelli locali né, tanto meno, quelli nazionali. Quando cronaca dovrebbe far rima con racconto, camorra semina terrore e subentrano silenzio e omissione. Ne conseguono incredulità e scetticismo: se non ci vivi al sud e non sei informato su come funzionano le cose, i racconti di Saviano ti possono sembrare frutto di una malata fantasia, triste, ma vero.
Camorra abitua: abitudine alla morte, al pericolo, e rassegnazione all'omertà.
Roberto Saviano è prima di tutto uno scrittore, uno che con le parole ci sa fare. Avrebbe potuto scrivere romanzi basati su storie inventate, ma ha deciso di raccontare la sua terra. Scelta di vita che gli è costata cara. Da ben tre anni vive sotto copertura, e forse tutto questo non se l'aspettava quando ha scritto “Gomorra”. Ha cambiato una decina di case, la sua nuova famiglia sono dei carabinieri, non ha vita privata e dichiara di “esistere” solo “pubblicamente”, cioè nelle occasioni in cui è chiamato a parlare del suo libro e della sua condizione di vita. Ossessione per la verità, domanda Fazio? Può darsi: sta di fatto che coi proventi del suo libro Saviano ci paga gli avvocati, chè la camorra ama giocare con un abile strumento, la diffamazione. Il requisito per essere considerato senza ombra di dubbio un grande scrittore? Essere accusato di plagio, e a Saviano è capitato pure questo; tra l'altro il compianto e saggio Enzo Biagi gliel'aveva predetta quest'accusa. Saviano fa tenerezza, sembra un ragazzo timido, traspare il nervosismo e la paura che si porta dietro da ben tre anni, traspaiono il senso di colpa per aver esposto la propria vita e quella della propria famiglia al dolore e al pericolo, quasi avesse fatto qualcosa di sporco, quando invece ha solo amato a tal punto la propria terra da descriverla senza censure.
Ospiti della serata due grandi scrittori contemporanei: Paul Auster e David Grossman. Si parla di letteratura e della forza della parola. Grossman è uomo che di dolore se ne intende: ha perso un figlio nella guerra israelo-palestinese. Offre un dolcissimo consiglio a Saviano, consiglio che chi ama scrivere non può fare a meno di adorare: “non dimenticare mai di essere uno scrittore, quando uno scrittore scrive non è più vittima, l'atto della creazione rende liberi e sovrani di sé stessi e ci aiuta proprio nei momenti in cui anche la realtà che amiamo tanto descrivere finisce per sovrastarci”.
Beh, caro Saviano, non ti sei scelto la via più semplice, ma il dostoevskijano sottosuolo qualcuno si deve pur sobbarcare l'onere di farlo emergere. Ti abbraccio da lontano e ti informo che almeno qualcuno tra noi ventenni e trentenni, che ti abbiamo ascoltato, forse non insegnerà ai propri figli il cinismo, ma piuttosto correrà il rischio di imprimere in loro la dolce speranza che le parole possono cambiare il mondo.
GIOIA MOLINARI
Nessun commento:
Posta un commento